Galateo insegnato alle fanciulle/Lezione VII - I complimenti

Lezione VII - I complimenti

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LEZIONE VII.

I complimenti.

Tu conosci benissimo, Marietta mia, i complimenti d’uso, che esistono fra noi in famiglia, per istrada, in visita, non è vero? T’è naturale al mattino appena t’alzi l'informarti, se la mamma e quante altre persone di parentela, d’amicizia od anche di semplice conoscenza avvicini, hanno dormito bene. Se stai per escir di casa, saluti gli astanti con un bacio od una stretta di mano, secondo le persone, od anche con una semplice riverenza o qualche parola, che esprima ossequio, augurio, desiderio di presto rivederli, dicendo p. es.: Buon giorno, buona sera, felice notte, a ben rivederci; oppure: ho l’onore di riverirla, di presentarle i miei omaggi e simili. Per istrada, se incontri qualche persona di conoscenza, atteggi tosto le labbra al sorriso, t’inchini leggermente con modestia; e se sono persone di stretta relazione, verbalmente le saluti, con esse ti fermi e domandi notizie della salute loro e di quella dei loro cari, mostrandoti lieta d’ogni loro buona fortuna e prendendo viva parte ad ogni loro disgrazia. Se esci con la mamma od altra signora che per grado od età siati [p. 31 modifica] superiore, cedi ad essa la destra od il passo più comodo sul marciapiedi; le offri di portarle lo scialle, o l’ombrello, de’ quali in quell'istante ella non si serva per evitarle l'incomodo peso, e li porti con ogni riguardo, ma non la tedii con troppa insistenza se ella rifiuta di confidarteli. Altrettanto fai quando offri qualche cosa a chicchessia, come p. es., cibo, bevanda, profumi, modo di ricrearsi o di riposare. La troppa insistenza nel far accettare è inurbanità, come lo è del pari il farsi troppo pregare per cose che è in nostro potere di conceder subito. Una fanciulla, ad esempio, che sapendo declamar benino o suonare, cantare, con sufficiente precisione qualche cosetta, si faccia pregare e ripregare, accusando ignoranza o timidezza, è assai più ineducata di quella che implorando compatimento pel poco che sa fare, tosto aderisce ai desiderii de’ parenti e degli amici e con grazia umilmente si presenta, declama e suona il meglio che può per ricrearli. Se tu vai in visita pure per prima cosa saluti con garbo entrando ed uscendo, cedi il passo agli altri, ti siedi dopo tutti, compostamente, e lasci sempre alle persone di te più degne il miglior posto. Ad un complimento procuri di risponderne un altro, ma se la frase gentile, breve, spiritosa non ti viene spontanea, piuttostochè dir banalità, lungaggini, od imbrogliarti e farti credere stupida o pretensiosa o troppo commossa dalla lode ricevuta, meglio è che tu risponda con un grazioso inchino. Il [p. 32 modifica] complimento dice il monsignor Della Casa, dev’essere fatto come il sarto fa degli abiti, il quale piuttosto li taglia vantaggiosi che scarsi; ma non però sì che dovendo tagliare una calza ne riesca un sacco od un mantello.

Se poi, desideroso di sentire come tu li esprima, v’ha chi ti preghi di narrare qualche aneddoto, qualche avventura a te nota, fatti uno studio di essere semplice, concisa ed elegante nel tempo stesso, per non impazientare chi t’ascolta, incominciando la narrazione da Adamo ed Eva, affinchè non t’avvenga ciò che accadde a certi deputati di Marsiglia, i quali per far pompa d’erudizione principiarono il loro discorso dalla partenza di Annibale da Cartagine e vennero interrotti da Enrico IV, re di Francia dalla seguente sortita: «Annibale partendo da Cartagine aveva pranzato ed io vado a pranzo adesso».

Se vuoi, per la prima, fare un complimento a qualcheduno, studiati di essere (come già ho accennato per la risposta) breve e di squisita gentilezza, sia per non obbligare per troppo lungo tempo la persona, che tu lodi, ad ascoltarti, sia per non offendere la sua modestia. — Il dire direttamente ed esplicitamente ad una persona, p. es.: «Com’è bella, com’è istruita, com’è ricca!» — sono complimenti che urtano assai più di ciò che piacciano. Indirettamente ed in modo velato, lo può sentire anche una sovrana, senz’adontarsene. Quando l’imperatrice Maria Teresa domandò ad un suo ufficiale, presentatosi [p. 33 modifica] a lei per la prima volta, se credeva realmente che la principessa N. N. fosse la più bella dama del mondo, il compìto cavaliero, ammirando la cara avvenenza dell’imperatrice, rispose: lo credetti fino a ieri, Maestà.

Queste usanze, questi complimenti, figlia mia; sono l’espressione della squisitezza di sentire, che si desidera in ogni persona ben educata. Chi li pratica per pura formalità, spesso trascende all’affettazione e diventa ridicolo, mentre chi sente veramente con nobiltà, si comporta con disinvoltura e la sua fisionomia, i suoi modi ritraggono la dolcezza, la bontà, la gentilezza d’animo che informa il suo cuore. Per questa medesima cagione esiste l’uso delle visite di congratulazione pei matrimonii, per onorificenze ottenute o per altri lieti eventi; di condoglianza per le morti od altre sventure; d’augurio in prossimità del nuov’anno, di viaggi da intraprendere, di solenni feste e pei lontani delle lettere così dette di complimento.

Ed in molti di questi casi si rivela, non solo la persona educata, ma eziandio quella di cuore. Alle feste, ai pranzi tutti sanno accorrere, perchè v’ha da godere. Gli amici di circostanza e non sinceri, i parassiti non sempre si trovano nel giorno del lutto. Aristippo allorchè seppe che Socrate suo amico era condannato a bevere la cicuta, cessò di vederlo, dicendo: «S’io potessi spezzare i suoi ferri, volerei in suo soccorso; nell’impossibilità d’essergli utile, mi risparmio il [p. 34 modifica] dolore che mi cagionerebbe la vista delle sue pene». L’egoismo d’Aristippo è pur troppo imitato da molti.

Ma tu, figlia mia, conoscendone tutta la bruttezza, accorrerai invece, in ogni tempo, dove la sventura dell’amica ti chiama, per porgere il conforto morale, che chi soffre dalla tua pietà attende.

Molte altre sociali usanze poi s’imparano per pratica, frequentando le persone distinte, meglio ancora che teoricamente. Epperciò ti raccomando con calore di prediligere le buone compagnie, osservarne il nobile tratto, compatire sì, ma non mai imitare i modi volgari di certa gente, che si fa un vanto di sprezzare il riserbo, il dignitoso ed aggraziato contegno, dicendosi superiore a tali cerimonie. Transigendo sulle distinte maniere è tanto facile guastarci ed eguagliare il becero e la ciana!

Massimo d’Azeglio il leggiadro scrittore, l’arguto parlatore, il distintissimo cavaliero, narra nelle sue memorie che fu un giorno severissimamente punito da suo padre, per essere egli entrato nella sala da pranzo prima di sua sorella invece di cederle il passo come avrebbe dovuto fare.

Lo scopo del complimento è nobilissimo. Esso c’impone di non dire, nè far mai cosa che menomamente incomodi, offenda, od anche solo dispiaccia a chicchessia, e di rendere il più che possiamo cara la nostra compagnia. Perciò se ti rechi in visita scegli un’ora opportuna per [p. 35 modifica] non interrompere il sonno, il pasto, il lavoro del visitato. Non la prolungare di troppo per non far perdere in chiacchiere un tempo prezioso; procura di presentarti vestita decentemente secondo il tuo stato, per non far vergognar alcuna della tua relazione. Semprecchè il puoi, adattati a parlar la lingua che il visitato ha più abituale. Trovandoti con molte persone, non parlar piano nell’orecchio di qualcuna, ma non tender tu stessa l’orecchio per ascoltare ciò che due in disparte si dicessero confidenzialmente. Peggio poi sarebbe allungar lo sguardo, per leggere una lettera che qualcuno avesse in mano o stesse scrivendo.

Se è una persona ammalata od afflitta che vai a visitare il complimento dev’esserti suggerito anzitutto dalla carità. Parla sommessamente, cammina in punta di piedi per non far rumore, non le scuotere il letto, appoggiandoviti ad ogn’istante, non l’obbligare a risponderti, se è debole, e ti guarda dal cagionarle emozioni forti, dandole improvvisamente notizie, sì buone che cattive, che troppo al vivo l’interessino, come sarebbero la morte di persona cara, l’arrivo d’un figlio lontano ecc.; ma prima preparala per gradi, nè mai le narrar fatti tetri e troppo commoventi. Trattienila il meno che tu puoi del suo male o della cagione della sua tristezza; procura anzi di distrarla piacevolmente con qualche fatto che ti riguardi e tenta di riaprirle il cuore alla speranza, dipingendole un avvenire di forse inattese [p. 36 modifica] gioie, che la compensino del duro presente. Ma ciò va fatto con molta delicatezza, astuzia e disinvoltura e non per certo tutti ne sono capaci. Se poi t’avviene di mancare a qualcuna di queste regole di buona educazione, di commettere qualsiasi sgarbatezza e di recar disturbo e noia a taluno in qualsiasi modo, sii pronta ad accusartene, chiedendone umilmente perdono e mostrandotene spiacentissima.

Per essere più sicura di comportarti in società come il galateo prescrive, figlia mia, prendi l’abitudine di essere sempre gentile, squisita di modi, anche in famiglia, colla mamma, coi fratelli e colle stesse persone di servizio.

Quest’ultime poi, se vuoi essere da loro rispettata, trattale con affabilità, sostituendo sempre al comando la preghiera, affinchè loro non pesi l’adempimento del dovere, ma non concedere giammai soverchia confidenza, nè abbassarti a scherzar con loro volgarmente. Se puoi insegnar loro qualche cosa di buono e di utile, è tuo debito: fallo con bontà; ma senza troppa dimestichezza, affinchè non acquistino il diritto di teco insolentire, come usano con le loro pari. Non prender mai parte ai loro pettegolezzi; non mostrarti curiosa di conoscere i fatti altrui, e se devi rimproverarle, fallo con dignità, senz’alterarti ed avvilirle con epiteti insultanti che irritano e non correggono.