Frammenti letterari e filosofici/I paesi e le figure/Le figure
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LE FIGURE.
I. — la pittura espressiva.
La pittura, over le figure dipinte, debbono essere fatte in modo tale, che i riguardatori d’esse possano con facilità conoscere, mediante le loro attitudini, il concetto dell’animo loro. E se tu hai a fare parlare un omo dabbene, fare che li atti sua sieno compagni delle bone parole; e similmente se tu hai a figurare uno omo bestiale, fallo co’ movimenti fieri, gittando le braccia contro all’auditore, e la testa col petto, sportato fori de’ piedi, accompagnino le mani del parlatore: a similitudine del muto che, vedendo due parlatori, benchè esso sia privato dell’audito, niente di meno, mediante li effetti e li atti d’essi parlatori, lui comprende il tema della loro disputa.
Io vidi già in Firenze uno sordo accidentale, il quale se tu li parlavi forte, lui non ti intendea, e parlando piano, sanza suono di voce, lui t’intendea solo per lo menar delle labbra. Or mi potresti dir: — non mena le labbra uno, che parla forte, come piano? e menandole l’uno come l’altro, non sarà inteso l’altro come l’uno? — A questa parte io lascio dare la sentenza alla sperienza: fa parlare uno piano e poi forte, e pon mente le labbra.
II. — avvertimento al pittore.
Poni mente per le strade, sul fare della sera, i volti d’omini e donne, quando è cattivo tempo, quanta grazia e dolcezza si vede in loro!
III. — la pittura deve mostrare la passione della figura dipinta.
Il bono pittore ha da dipingere due cose principali, cioè l’omo e il concetto della mente sua. Il primo è facile, il secondo difficile, perchè s’ha a figurare con gesti e movimenti delle membra, e questo è da essere imparato dalli muti, che meglio ’l fanno, che alcun’altra sorte di omini.
IV. — come il muto è maestro del pittore.
Le figure delli omini abbiano atti propri alla loro operazione in modo che, vedendoli, tu intendi quello che per loro si pensa o dice; li quali saranno bene imparati da ch’imiterà li moti delli muti, li quali parlano con movimenti delle mani e degli occhi e ciglia e di tutta la persona, nel voler esprimere il concetto dell’animo loro.
E non ti ridere di me, perchè io ti propongo un precettore sanza lingua, il quale t’abbia a insegnare quell’arte, che lui non sa fare, perchè meglio t’insegnerà co’ fatti, che tutti li altri con le parole. E non sprezzare tal consiglio, perchè loro sono li maestri de’ movimenti, e intendono da lontano di quel che uno parla, quando egli accomoda li moti delle mani con le parole.
V. — il pregio della pittura sta nella rispondenza del segno al significato.
Farai le figure in tale atto, il quale sia soffiziente a dimostrare quel che la figura ha nell’animo, altrimenti la tua arte non fia laudabile.
VI. — segue.
Come la figura non fia laudabile se in quella non apparisce atto, ch’esprima la passione dell’anima.
Quella figura è più laudabile, che con l’atto meglio esprime la passione del suo animo.
VII. — varietà infinita nell’espressione dei sentimenti.
Tanti son vari li movimenti delli omini, quanto sono le varietà delli accidenti, che discorrono per le loro menti; e ciascuno accidente in sè move più o meno essi uomini, secondo che saranno di maggiore o di minore potenza e secondo l’età, perch’altro moto farà, sopra un medesimo caso, un giovane ch’un vecchio.
VIII. — le età dell’uomo.
Come si deono figurare l’età dell’omo, cioè: infanzia, puerizia, adolescenza, gioventù, vecchiezza, decrepitudine.
Come i vecchi devono essere fatti con pigri e lenti movimenti, e gambe piegate ne le ginocchia, quando stanno fermi, e pie’ e pari, distanti l’uno dall’altro, schiene declinanti in basso, la testa innanzi inclinata, e le braccia non troppo distese.
Come le donne si deono figurare con atti vergognosi, gambe insieme strette, braccia raccolte insieme, teste basse e piegate in traverso.
Come le vecchie si debbon figurare ardite e pronte a rabbiosi movimenti, a uso di furie infernali, e i movimenti deono apparire più pronti nelle braccia e teste, che nelle gambe.
I putti piccioli con atti pronti e storti, quando seggano, e, nello stare ritti, atti timidi e paurosi.
IX. — del figurare uno che parli infra più persone.
Usera’ fare quello, che tu vuoi che infra molte persone parli, di considerare la materia di che lui ha a trattare, e d’accomodare ivi li atti appartenenti a essa materia: cioè se l’è materia persuasiva, che li atti sieno al proposito, se l’è materia dichiarativa per diverse ragioni, che quello che dice pigli colle sue due dita della mano destra uno dito de la mano sinistra, avendone serrate le due minori, e col viso rivolto verso il popolo, con la bocca alquanto aperta, che paia che parli; e, se lui sedeva, che paia che si sollevi alquanto ritto e innanzi con la testa; e se lo fai in piè fallo alquanto chinarsi col petto e la testa inverso il popolo.
Il quale figurerai lì tacito e attento, tutti riguardare l’oratore in volto con atti ammirativi, e fare le bocche d’alcuno vecchio, per maraviglia delle audite sentenze, tenere la bocca con le sua streme basi, tirarsi dirieto molte pieghe de le guancie, e con le ciglia alte ne le giunture, le quali creino molte pieghe per la fronte; alcuni sedenti colle dita della mano insieme tessute tenervi dentro lo stanco ginocchio; altri con l’uno ginocchio sopra l’altro, sul quale tenga la man, che dentro a se riceva il gomito, del quale la sua mano vada a sostenere il mento barbuto d’alcuno chinato vecchio.
X. — appunti sulla composizione del cenacolo.1
Uno, che beveva, lascia la zaina2 nel suo sito, e volge la testa inverso il proponitore.
Un altro tesse le dita delle sue mani insieme, e con rigide ciglia si volta al compagno; l’altro, colle mani aperte, mostra le palme di quelle, e alza la spalla inverso li orecchi, e fa la bocca della maraviglia.
Un altro parla nell’orecchio all’altro, e quello che l’ascolta si torce inverso lui, e gli porge li orecchi, tenendo un coltello nell’una mano e nell’altra il pane, mezzo diviso da tal coltello. L’altro, nel voltarsi, tenendo un coltello in mano, versa con tal mano una zaina sopra della tavola.
L’altro posa le mani sopra della tavola e guarda, l’altro soffia nel boccone, l’altro si china per vedere il proponitore, e fassi ombra colla mano alli occhi, l’altro si tira indirieto a quel che si china, e vede il proponitore infra ’l muro e ’l chinato.
XI. — come si deve fare una figura irata.
Alla figura irata farai tenere uno per li capegli, e ’l capo storto a terra, e con uno de’ ginocchi sul costato, e col braccio destro levare il pugno in alto: questo abbia li capegli elevati, le ciglie basse e strette, i denti stretti, e i due stremi d’accanto della bocca arcati; il collo grosso e dinanzi, per lo chinarsi al nimico, sia pieno di grinze.
XII. — come si figura uno disperato.
Al disperato farai darsi d’un coltello, e colle mani aversi stracciato i vestimenti, e sia una d’esse mani in opera a stracciarsi la ferita; e farailo co’ piè distanti e le gambe alquanto piegate e la persona similmente inverso terra, con capegli stracciati e sparsi.
UN GIGANTE FANTASTICO.3
LETTERA I.
La nera faccia, sul primo oggetto,4 è molto orribile e spaventosa a riguardare, e massime l’ingrottati e rossi occhi, posti sotto le paurose e scure ciglia, da fare rannuvolare il tempo e tremare la terra. E, credimi, che non è sì fiero omo che, dove voltava li infocati occhi, che volentieri non mettesse ali per fuggire, che Lucifero infernale parìa volto angelico a comparazione di quello. Il naso arricciato, con l’ampie nari, de’ quali uscivan molte e grandi setole, sotto le quali era l’arricciata bocca, colle grosse labbra, da le stremità de’ quali era pelo a uso delle gatte e denti gialli. Avanza sopra i corpi de li omini a cavallo dal dosso de’ piedi, in sù.
E rincrescendole il molto (pazientare), volta l’ira in furore, cominciò co’ piè, dimenati da la furia delle possenti gambe, a entrare fra la turba, e con calci gettava li omini per l’aria, i quali cadeano non altramente sopra gli altri omini, come se stata fussino una spessa grandine. E molti furon quelli, che, morendo, dettò morte; e questa crudeltà durò, finchè la polvere mossa da’ gran piedi, levata nell’aria, costrinse questa furia infernale a ritirarsi indirieto. E noi seguitammo la fuga.
Oh! quanti varî assalimenti furono usati contro a questa indiavolata, a la quale ogni offesa era niente! Oh! misere genti, a voi non vale le inespugnabili fortezze, a voi non l’alte mura de la città, a voi non l’essere in moltitudine, non le case o palazzi, non v’è restato se non le piccole buche e cave sotterranee, a modo di granchi o grilli o simili animali: trovate salute e vostro scampo!
Oh quante infelici madri e padri furono private de’ lor figlioli! Oh quante misere femmine private de la lor compagnia! Certo certo, caro mio Benedetto, io non credo che, poi che ’l mondo fu creato, fusse mai visto un lamento, un pianto pubblico esser fatto con tanto terrore.
Certo, in questo caso la spezie umana ha da invidiare ogni altra generazione d’animali: imperocchè se l’aquila vince per potenza li altri uccelli, il meno non sono vinti per velocità di volo, onde le rondini, colla lor prestezza, scampano dalla rapina del merlo; i delfini con lor veloce fuga scampano da la rapina de le balene e de’ gran capidogli; ma, noi miseri!, non ci vale alcuna fuga, imperocchè questa, con lento passo, vince di gran lunga il corso d’ogni veloce corsiero. Non so che mi dire o che mi fare, e’ mi pare tuttavia a notare a capo chino per la gran gola, e rimanere con confusa morte sepolto nel gran ventre.
LETTERA II.
Caro Benedetto de’ Pertarti.
Caduto il fiero gigante, per la cagione della insanguinata e fangosa terra, parve che cadesse una montagna, onde la campagna, squassata di terremoto, è spavento a Plutone infernale. E, per la gran percossa, ristette sulla piana terra alquanto stordito, e sùbito il popolo, credendo fusse morto di qualche saetta — tornata la gran turba — a guisa di formiche, che scorrono a furia, correndo per il corpo del caduto robore — così questi scorrendo per l’ampie membra, laceravanle con spesse ferite.
Onde risentito il gigante e sentendosi quasi coperto dalla moltitudine, sùbito sentesi cuocere per le punture — mise un mugghio, che parve fusse uno spaventoso tuono, e posto le sue mani in terra e levato il pauroso volto, e postosi una delle mani in capo trovosselo pieno d’uomini appiccati a’ capegli a similitudine de’ minuti animali, che fra quegli sogliono nascere; onde, scuotendo il capo, gli omini lancia non altramente per l’aria, che si faccia la grandine, quando va con furor di venti, e trovossi molti di questi uomini esser morti, da quegli, che gli stavano sopra ritti, coi piedi calpestando. — E tenendosi a’ capegli e ingegnandosi nascondere fra quegli, facevano a similitudine de’ marinai, quando è fortuna, che corrono su per le corde, per abbassarle a poco vento. —
frammento.
Nuove delle cose di Levante? Sappi come nel mese di Giugno è apparuto un gigante che vien dalla deserta Libia:.... a similitudine delle formiche furiando.... su per l’arbore abbattuto dalla scure del rigido villano.
Questo gigante era nato nel Mont’Atalante, ed era un eroe, e ebbe a contrastare cogli Egizi e Arabi, Medi e Persi, viveva in mare delle balene, de’ gran capidogli e de’ navilî.
Marte temendo della vita, s’era fuggito sotto la (sedia) di Giove....
E per la gran caduta parve la provincia tutta tremasse.
Note
- ↑ Se si confronta questa specie di abbozzo del Cenacolo con l’opera finita, si ritroveranno facilmente alcuni degli elementi della prima, seconda e terza figura descritte nella prima figura, alla destra di Cristo (Giovanni); nella prima (Giacomo maggiore) e nella quarta (Matteo), alla sua sinistra. L’artifizio del coltello; il gruppo dell’uomo che parla e di quello che ascolta; l’episodio della tazza rovesciata si ritrovano nell’atteggiamento della terza figura a destra del Salvatore (Pietro), in quello delle due ultime figure a sinistra (Taddeo e Simone), in quello di Giuda. L’uomo che posa le mani sulla tavola e guarda è colla maggiore evidenza l’apostolo Bartolomeo della pittura. La penultima figura a sinistra (Giacomo minore) conserva qualche caratteristica delle ultime linee del frammento.
- ↑ la tazza.
- ↑ Quale sia la fonte di questa e della seguente lettera mi è stato impossibile determinare, sebbene quanche punto richiami certe espressioni del Morgante maggiore di Luigi Pulci. Venezia 1488. Ancora più difficile sarebbe precisare lo scope del contenuto di questa narrazione.
- ↑ incontro.