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private de’ lor figlioli ! Oh quante misere femmine private de la lor compagnia ! Certo certo, caro mio Benedetto, io non credo che, poi che ’l mondo fu creato, fusse mai visto un lamento, un pianto pubblico esser fatto con tanto terrore. Certo, in questo caso la spezie umana ha da invidiare ogni altra generazione d’ani¬ mali: imperocché se l’aquila vince per po¬ tenza li altri uccelli, il meno non sono vinti per velocità di volo, onde le rondini, colla lor prestezza, scampano dalla rapina del merlo ; i delfini con lor veloce fuga scampano da la rapina de le balene e de’ gran capidogli; ma, noi miseri!, non ci vale alcuna fuga, imperocché questa, con lento passo, vince di gran lunga il corso d’ogni veloce corsiero. Non so che mi dire o che mi fare, e’ mi pare tuttavia a notare a capo chino per la gran gola, e rimanere con confusa morte sepolto nel gran ventre. LETTERA II. Caro Benedetto de’ Pertarti. Caduto il fiero gigante, per la cagione della insanguinata e fangosa terra, parve che cadesse una montagna, onde la campa-