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sempre gelosamente custodita, e pregò; ripetendo più volte quelle poche preci che gli avevano insegnato stando all’ospedale; quindi s’addormentò profondamente e non si destò se non quando il sole era già in alto.
Prima di sera la nave era ancorata nel porto di Napoli dopo un rapido e felice viaggio.
Per alcune provviste di paste e di liquori il caporale, scendendo a terra, menò seco Zaccaria, il quale era sbalordito girando per le vie di quella popolosa città. Si fermava dinanzi agli acquaiuoli, ai maccheronai, agli ostricari, alle marionette, ai corricoli, alle venditrici di polpi bolliti, e di formentone abbrustolito sulla brace. Vide la piazza di San Francesco di Paola con la chiesa ed il portico semicircolare, vide il palazzo reale, la banchina di santa Lucia, la magnifica strada di Toledo tutta adorna di belle botteghe ed il Vesuvio, il quale con un fitto pennacchio di fumo facevalo trasecolare.
Da Napoli a Messina i venti essendo poco propizî fu d’uopo tenere il mare per sette giorni. Sorpassato il golfo di Policarpio, si navigò sempre lungo le coste della montuosa Calabria finchè fra Scilla e Cariddi, entrato il canal di Messina, si prese il porto di quella ridente città, che con le sue belle case, le vaste strade ed i vari fortilizî si estende lunghesso le rive.
Si trattava ora di far rotta direttamente per Costantinopoli, il viaggio era lungo e si attesero i venti favorevoli. Dopo dieci giorni di felice, ma lenta navigazione, l’aria cominciò a turbarsi e scoppiò una violenta tempesta. La nave era ben costrutta, l’alberatura solida, il capitano esperto, e sebbene tutti si risentissero a bordo di quel continuo scotimento, dopo