Fra la favola e il romanzo/Beneficio fatto non va perduto/IX

Beneficio fatto non va perduto - IX

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IX.



Maurizio intanto non rallentava mai il suo lavoro, sebbene una certa inappetenza lo travagliasse sovente, unita ad un mal essere che talvolta lasciavalo in una totale prostrazione di forze. Da principio si accagionò ad irritazione nervosa; ma invece la causa del suo male, quantunque egli rifuggisse dal confessarlo, era totalmente morale. Avvezzo da prima ad una vita comoda, ai grandi negozi, a non veder giammai le sue figliuole soggette ad alcuna privazione, e ridotto ora a quell’estremo, sentiva di momento in momento la sua virtù svanire. Egli faceva ricorso alla sua coscienza d’uomo onesto, pensava a chi era più di lui sventurato; ma non sempre riusciva a dominare lo sconforto dell’animo, e un po’ per giorno andò cadendo in una specie di marasmo, che lo rendeva inabile ad operare. Può facilmente immaginarsi quanto Sofia ed Emilia si accorassero per siffatto malore del padre, e quali cure gli usassero intorno con Maso e Caterina. Per quanto però grandi ed amorevoli queste si fossero, non potevano giungere a rimarginare la ferita che incessantemente [p. 50 modifica]lo tormentava, ed ei finì coll’essere preso da malattia di languore, per la quale dimagravasi a vista. Per tale nuova sventura le due sorelle stavano contristate nel più profondo del cuore; e sempre più dattorno al padre, lo spiavano, lo distraevano, lo accarezzavano, tentavano insomma in tutti i modi di rinfondere in lui quel vigore che sempre più andava diminuendo. In tale stato di cose i sussidi procurati dal lavoro di Maurizio vennero meno, non che quelli che le fanciulle ottenevano dalla pittura alla quale non potevano più attendere. Le spese, come accade ne’ casi di malattia, erano cresciute, e le povere figlie si trovavano proprio allo stremo d’ogni cosa. Maso, ad insaputa di tutti, avea venduto una vacca di sua proprietà; poi aveva accattato da suo nipote qualche po’ di danaro; ciò non bastava ai bisogni della famiglia, e le sorelle di comune accordo decisero di vendere il pianoforte, sebbene il suono di quell’istrumento servisse talvolta a sollevare l’afflittissimo spirito del malato. Ma, necessità non ha legge: ed un mattino Tommaso, che in cuor suo sentivasi straziato da disperarsi, fu spedito in città per trattare la vendita del pianoforte. Il buon vecchio non sapeva indursi a simile mercato, ed andava ciondolando per Livorno come uno smemorato. Capitò così mezzo arrembato allo sbarcatojo del porto, mentre varî battelli menavano a terra i passeggieri giunti da Napoli con una nave a vapore della compagnia Rubattino.

Così almanaccando, egli arrestossi a veder difilare quella numerosa processione di viaggiatori di variotipo, di differenti paesi. Uno di essi, fra gli altri, attirò la sua attenzione. Avea barba prolissa, [p. 51 modifica]carnagione bronzina, ed un fez sul capo. Costui, fatte togliere le sue robe dal battello, ricompensò largamente i barcaiuoli, volse attorno la sguardo con indefinibile espressione di contento, quasi dicesse: — Ah, finalmente ci sono! — Nello avviarsi che feceverso l’albergo Washington ravvisò all’improvviso il domestico di casa Gerli, e — Tommaso! — esclamò con grande gioja.

— Ah! la vede ch’è lei, signor Paolo! Con quella lunga barba mi pareva, e non mi pareva: ma ci avrei scommesso.

— E come va il signor Maurizio, le signorine? — fu la prima domanda del giovine.

— Oh, signor Paolo, la non puole andar peggio.

— Che cosa vuoi dire? Alcuno sarebbe forse malato — soggiunse Paolo ansiosamente.

— Ma come, non sa nulla ella? — ed il brav’uomo in poco d’ora snocciolò all’antico commesso tutti gli avvenimenti, dal giorno del natalizio del Gerli fino a quel momento, non tralasciando alcun particolare, e neppure la faccenda del pianoforte.

Intanto erano entrati nell’albergo, dove Paolo prese tosto dimora in due buone camere. Oltremodo contristato da quel racconto, il buon giovine perdè tutto quel po’ di gioia che provata avea nel rimettere il piede sul suolo natio, nel sapersi vicino alle ceneri di sua madre, presso il suo benefattore e presso colei la cui immagine in tutta la sua assenza giammai non erasi dipartita dal cuor suo. E mentre cambiava i suoi vestiti da viaggio, ch’erano alquanto bizzarri, con altri più proprî alla città: — attendi, diceva, attendi ancora un istante, mio ottimo Maso, ed io verrò [p. 52 modifica]teco alla cascina. Non so resistere al desiderio di rivedere per il primo il mio infelice benefattore.... e....

Per quella riservatezza propria alle anime gentili, Paolo non seppe aggiungere altro; terminò d’acconciarsi in fretta, ed uscirono. Salito il giovine in una carozza, invitò Maso a sedergli d’appresso. Il buon vecchio oppose che non poteva tornare alla cascina senza aver prima tentato la vendita del pianoforte: ma assicurato da Paolo che egli stesso se ne toglierebbe l’incarico al suo ritorno in città, prese posto nella carrozza che di buon trotto parti alla volta di porta Maremmana.

Al rumor delle ruote, Emilia, ch’era presso una finestra, guardò giù nella strada, e vide Tommaso nella carrozza; e scorgendovi un altr’uomo corse a darne avviso a Sofia, immaginando che quegli fosse il compratore del pianoforte. Ambedue provarono una stretta al cuore. Per quanto fossero deliberate ad ogni sacrificio, ora pareva ad esse di perdere in quell’istrumento quasi un amico d’infanzia, e ritiraronsi, come per attingere coraggio, in camera del padre che in quel momento era assistito dalla Caterina. La carrozza si fermò dinanzi alla cascina, Paolo e Tommaso ne discesero, e per una scala esterna salirono al piano superiore. Il giovine rimase ad attendere nella prima camera; e Tommaso, in cerca delle fanciulle, s’avvicinò alla porta di Maurizio.

— Signorine, signorine, mormorò sommessamente, vengano fuori; buone notizie.

Le due sorelle credendo venduto il pianoforte, — è fatto — dissero fra loro.

— Vengano, vengano: v’è persona che brama salutarle. [p. 53 modifica]

Le fanciulle uscirono: e la Sofia alquanto corrucciata disse al vecchio domestico, ch’avea il volto tutto raggiante: — pure lo sapete, Tommaso, noi non vogliamo mostrarci ad alcuno. Se l’istrumento piace al signore, combinate voi, e non ci esponete ad arrossire.

In quell’istante il suono del pianoforte leggermente toccato portò all’orecchio delle due sorelle un dolcissimo motivo composto dalla Sofia, ed a Paolo oltremodo prediletto, e ch’ella non aveva più suonato dal giorno della partenza di lui.

— E ch’è mai questo? — esclamò Sofia slanciandosi verso la porta. La schiuse leggermente, fissò lo sconosciuto, il cuore le rilevò chi fosse. — Paolo.... soggiunse avanzandosi verso di lui; — signor Paolo, ella qui?

Emilia, che aveva udito il nome di Paolo, entrò anch’essa nella camera seguita da Tommaso, e per qualche istante fu messo da banda ogni modo cerimonioso.

Passata però la prima emozione e quella specie d’intrinsichezza che nasce nel rivedersi dopo lunga assenza, sì da una parte che dall’altra si riacquistò la calma necessaria. Paolo sforzossi a tornare riservato, rispettoso come se ancor fosse il commesso del banco Gerli, e le due sorelle tentarono riprendere la contegnosa amabilità delle figlie del ricco banchiere. Ma quel contegno ben presto svanì sotto lo sforzo delle lagrime che s’affollavano agli occhi, in ispecie, quando esse impresero a parlare della malattia del padre, e delle loro sventure. Ma Paolo troncò loro la parola dicendo che tutto eragli noto, poichè Tommaso aveagli narrato ogni più minuta e dolorosa particolarità. Egli avrebbe desiderato presentarsi [p. 54 modifica]al suo benefattore quel giorno istesso: ma per avviso delle due sorelle, di Tommaso, ed anche di Caterina, che per momenti era comparsa a far le feste al signor Paolo, fu giudicata imprudente una simile improvvisata, all’infermo, che trovavasi in quel giorno in uno stato di debolezza straordinaria; tanto più che il medico avea prescritto che per alquanti giorni fossegli risparmiata la benchè minima agitazione, Paolo perciò si contentò di allontanarsi, dopo ottenuto dalle due fanciulle il permesso di tornare il giorno seguente per visitarle, ed avere notizie del padre.