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gione bronzina, ed un fez sul capo. Costui, fatte togliere le sue robe dal battello, ricompensò largamente i barcaiuoli, volse attorno la sguardo con indefinibile espressione di contento, quasi dicesse: — Ah, finalmente ci sono! — Nello avviarsi che feceverso l’albergo Washington ravvisò all’improvviso il domestico di casa Gerli, e — Tommaso! — esclamò con grande gioja.

— Ah! la vede ch’è lei, signor Paolo! Con quella lunga barba mi pareva, e non mi pareva: ma ci avrei scommesso.

— E come va il signor Maurizio, le signorine? — fu la prima domanda del giovine.

— Oh, signor Paolo, la non puole andar peggio.

— Che cosa vuoi dire? Alcuno sarebbe forse malato — soggiunse Paolo ansiosamente.

— Ma come, non sa nulla ella? — ed il brav’uomo in poco d’ora snocciolò all’antico commesso tutti gli avvenimenti, dal giorno del natalizio del Gerli fino a quel momento, non tralasciando alcun particolare, e neppure la faccenda del pianoforte.

Intanto erano entrati nell’albergo, dove Paolo prese tosto dimora in due buone camere. Oltremodo contristato da quel racconto, il buon giovine perdè tutto quel po’ di gioia che provata avea nel rimettere il piede sul suolo natio, nel sapersi vicino alle ceneri di sua madre, presso il suo benefattore e presso colei la cui immagine in tutta la sua assenza giammai non erasi dipartita dal cuor suo. E mentre cambiava i suoi vestiti da viaggio, ch’erano alquanto bizzarri, con altri più proprî alla città: — attendi, diceva, attendi ancora un istante, mio ottimo Maso, ed io verrò