Firenze sotterranea/Capitolo XIV
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XIV
La popolazione de’ quartieri da me descritti è spartita in due: i poverissimi e i delinquenti. I primi soffrono il contagio de’ secondi; e i tristi per mestiere corrompono a poco a poco, i loro vicini. Vi ho citati già molti fatti, che rendon palese quello ch’io dico, comprovanti il mal governo che si fa dell’infanzia, e in che modo bambini innocenti sono addestrati a’ vizii più turpi, quindi stradati per la via dell’infamia. E noi siamo mallevadori di questa innocenza contaminata! Qual colpa hanno i poveri bimbi verso di noi?
Il lavorìo disonesto, che si fa ne’ luridi quartieri, apparisce chiaro, se si ripensi che, molti anni or sono, Firenze aveva venti o trenta pregiudicati; oggi ha circa un settecento persone, le cui gesta sono note alla Polizia. Un dugento tra gli abitanti del Ghetto, di Malborghetto, della Sacra, delle viuzze oltr’Arno, in cui vi ho condotti, sono quasi sempre nelle prigioni. Alcuni escono, altri v’entrano; è un continuo andare e venire; si comprende quanto sia espediente il provvedere.
Innanzi a tutto bisogna pensare a separare i poveri, gl’infelici, dai furfanti trincati; le famiglie, dove la madre e il padre, vecchi avanzi di prigioni, spingono i figliuoli al furto, le famiglie che vivono in una laida promiscuità, dalle altre, le quali derelitte, perseguitate da sciagure inenarrabili, cercarono riparo ne’ sordidi casolari, da me abbozzati.
A ciò può provvedere soltanto la carità cittadina! Annunziate il santissimo scopo: subito vi risponderanno con slancio... e lo so... uomini generosi, che offriranno le somme necessarie a edificare case per i poveri, case, in cui possano esser date stanze, a minor prezzo ancora di quello, che non sien già date da certe Società edificatrici.
È dunque da istituire una Società edificatrice, che abbia vero e proprio andamento di un’Opera Pia, e come tale sia regolata e amministrata1.
Per i pregiudicati, i ladri più noti, per la bieca popolazione, accatastata nei così detti alberghi del Ghetto, e nelle casupole di là d’Arno, per tutta quella gente, che non ha, nè può avere domicilio fisso, per i vagabondi, per coloro che non vogliono esercitare alcun mestiere, e si procurano una abitazione., un nascondiglio ne’ modi, di cui vi ho parlato, sapete che cosa è da fare?
La questione è di tal rilievo, che occorrono alcune spiegazioni.
Il sorvegliato, il pregiudicato, l’ammonito per delitti comuni, il ladro, che esce dalla prigione, non possiede un soldo.
Il giorno in cui è messo in libertà va a cercare gli amici, i compagni ne’ luoghi di ritrovo, che mi sono ingegnato descrivervi, i compari lo aspettano: lo festeggiano. Ne trova una buona metà di quelli, che aveva lasciati liberi, in prigione. Dà notizie dei colleghi, rimasti nelle carceri, ne chiede sugli altri, che non sono presenti, ma fruiscono della libertà a maturare e fornir nuove imprese.
Viene il momento della fame!... Che cosa ha da mangiare il ladruncolo, uscito di prigione? Gli rimane un solo rincalzo; il soccorso di altri ladri.
La carità, la previdenza sociale son tali che il delinquente, uscito da scontare la pena, dispregiato, scansato come se affetto di peste, poverissimo, senza denari, senza domicilio, senza vestito alle volte, non ha da sperare altro soccorso che dalla generosità di altri bricconi. Questa gli manca: allora si butta al partito estremo; la mendicità.
Ma non si può mendicare. A coloro che chiedono pane, la società risponde: hai fame? — io ti arresto! — È la logica dei ventri satolli verso i ventri digiuni. — Però sorvoliamo; ammettiamo che il ladruncolo trovi il mezzo di nutrirsi. Non ha tetto. Dove può andar a dormire la notte? Per andare nei sucidi raddotti del Ghetto, o altrove, gli ci vogliono dai tre ai cinque soldi. Chiederli in elemosina non può, nè è certo che sempre li troverebbe. Dove può procurarseli? Sul far della sera accadono molti piccoli furti. I ladruncoli rubano per andare a dormire. Il problema è terribile, e credete che anche in questo caso io non esagero.
Del rimanente, tutti hanno capito che un tal guaio esisteva; noi soli, noi, tanto spensierati, tanto indifferenti verso molte miserie che ci circondano, abbiamo sfoggiato una noncuranza, che fa strabiliare. Si direbbe che andiamo innanzi nella vita con una benda sugli occhi.
E pure in tutte le maggiori città d’Europa si è pensato e provveduto a tale sconcio.
Che più?
La Firenze Granducale, quella Firenze da cui partirono tante leggi savie, che furono esempio al mondo, avea fatto ciò che la nuova Firenze, o non vuole, o non sa.
Guardate Londra. Londra ha aperto i dormitorii pubblici per i sorvegliati dalla Polizia, gli uscenti dalle prigioni, i vagabondi, i tristi, in un modo o nell’altro vincolati al delitto.
La sera sono condotti ai dormentorii, pulitissimi: prima di andare a letto debbono entrare in un bagno caldo, e i loro vestiti sono gettati sopra un forno, riscaldato a tale temperatura, che uccide gl’insetti onde son pieni.
Non potete sempre rispondere con la prigione a chi vi chiede un pezzo di pane! Molto di quel denaro che spendete nelle carceri, vi sarebbe risparmiato da una carità ben intesa.
Nessuno può operare più pazzamente di noi. Non vogliamo che i tristi, i recidivi, i condannati trenta, o quaranta volte sieno sfrattati dai centri popolosi; mandati e, quel che più monta, tenuti a domicilio coatto: non vogliamo far nulla, dall’altro canto, per cercar di educarli e di emendarli. Aumentano anzi ogni giorno le perniciose agglomerazioni: le dannose connivenze: il male, che viene dagli esempii scellerati. Tanto facciamo per la morale e per l’igiene!... Si vanta l’amore per le più umili classi, e non si pensa a redimerle dalla peggiore delle schiavitù, quella di esser costrette a mescolarsi di continuo con manigoldi negli stessi tugurii: avere i teneri figliuoli esposti alla contaminazione più immediata: e questa sarebbe la vera, la prima riscossa da tentare!
Il Governo Granducale (la signoria forestiera ci sarà dunque maestra di sapienza civile?) avea aperto un asilo di notte ai pregiudicati, ai malvagi di professione, caduti in somma abiezione.
Ivi poteano andar a dormire gratuitamente.
Il locale era vigilato dalla Polizia, avea a custode un gendarme, e si ergeva nella via San Gallo su una porzione di terreno, che ora occupa l’Ospedale di Sant’Agata.
In tali dormitorii2) che possono esser sorvegliati da Suore di Carità, come gli Ospedali, per le
donne; da ufficiali della Polizia, o da’ Carabinieri per gli uomini, sarebbe evitata la stomachevole promiscuità, nella quale vi ho fatto vedere che dormono uomini, donne, bambini, perfino a sei o sette persone in un medesimo letto, e in varii punti di Firenze.
La nostra città sarebbe allora davvero in ottima condizione per la salubrità e per la sicurezza; poichè vi ho già dimostrato come ne’ due centri, ove si accozza la più triste popolazione, vi sia chiamata dalla possibilità di potervisi nascondere, premunire contro ricerche, celarvi oggetti furtivi, dalle attrattive di trovarvi sempre aiuto, sostegno, pronta complicità. Sgominate que’ ripari, non vedrete più sorgere in Firenze una tale agglomerazione: i tristi sbandati non avranno più potere: l’unione fa oggi la loro forza! Qualche centinaio di mal viventi si prestano mano, sono in continua comunicazione, vegliano gli uni per gli altri ad ogni istante.
Scacciati, o si disperderanno o accetteranno la vostra ospitalità; non troveranno da andare altrove. Chi vorrà dar loro ricetto? Ne’ luoghi ove ora stanno si sono attaccati e propagati, poiché le case, come vi ho indicato, sono in tali condizioni che nessun altro, fuor che ladri o persone balestrate all’estremo della miseria, potrebbero abitarvi.
Altri hanno, a così dire, la nostalgia del sudiciume. E anche questi debbono esser destati: e abbiamo nuova ragione per chiedere la pronta demolizione di certe bicocche.
Nel Ghetto dorme una famiglia intera in un corridoio, che serve di passaggio a molti quartieri. Pagano per quel corridoio 50 lire all’anno: allo stesso prezzo avrebber potuto avere una decentissima stanza libera, nelle case della Società Edificatrice fuori di Porta San Niccolò.
Ma la gente viziosa o corrotta, vorrà sempre esser nel centro, o quasi nel centro della città, vicino alla palestra ove può esercitare le sue industrie infami, sino a che trovi luridi tugurii. E più indugerete a demolire, più certi tanili andranno in rovina, e saranno quindi più deprezzati, e più vedrete aumentare la malsana caterva di biechi inquilini, che verranno ad abitarvi.
Centinaia di poveri operai stanno tutti ne’ suburbi con le loro famiglie: e pur vengono al lavoro ogni giorno nelle prime ore della mattina: e se ne trovano bene: sono più sani, più buoni, più morali di altri! Ma abbiamo centinaia di altri piccoli operai, che scacciati dai famosi Camaldoli di San Lorenzo rifuggirono e si ammassarono ne’ Camaldoli di San Frediano: non vollero mai allontanarsi dieci metri dalle antiche porte della città: andar ne’ quartieri più areati, benchè dentro la cinta: fedeli al loro appassionato amore dell’immondo. È vizio antico in una parte della nostra popolazione.
Rendiamoli ad abitazioni più sane!
Ho parlato di carità, di nuove e più efficaci Opere Pie da istituire: però, ben inteso, non mi cade dall’animo quanto sia difficile l’esercitare a dovere anche la pietà, allorchè ha da essere esercitata verso tanti bricconi, pronti ad abusarne.
Racconterò a tal proposito un aneddoto.
Per un antico lascito, l’Arciconfraternita della Misericordia dà una certa somma ai malati, che in determinati giorni dell’anno son portati all’Ospedale e la cosa era saputa dai manigoldi, riparati nel Ghetto, che studiano ogni sottile industria per viver di scrocchi. I medici del nostro Ospedale cominciarono ad accorgersi che in quei giorni in cui la Misericordia dava ai malati, portati all’Ospedale, la così detta pasticca, venivano dal Ghetto dieci, dodici, fin quattordici malati.
Messi sulle intese, fu loro facile appurare che i birbaccioni o si procuravano, o fingevano lievi malattie, o mantenevano gelosamente gli avanzi di vecchie malattie e calavano in que’ giorni all’Ospedale per avere il franco e mezzo, o i due franchi a testa, secondo l’uso. La Misericordia credette provvedere, non mettendo più, come soleva, il denaro sul letto dell’ammalato, ma dando un buono e dicendo che avrebbe pagato il denaro soltanto alla fine di ogni mese. Ma i malati dal Ghetto piovevano sempre ne’ giorni in cui, per l’antico lascito, toccava loro la gratificazione. E, invece dei denari, pigliavano i buoni.
Che era accaduto?
Nel Ghetto, in una specie di Borsa, si giocavano i buoni della Misericordia al rialzo, o al ribasso, secondo che era più lontano, o vicino, il giorno del mese in cui dovean esser pagati. A’ primi del mese, il giorno in cui la miseria più li scottava, i malfattori, che li avevano, li vendevano, anche per pochi centesimi. Altri poi li andava a riscuotere.
Intendo dunque che vi siano difficoltà, ma saranno appianate, rivolgendosi ad uomini oculati, attenendosi agli esempi di simili istituzioni, già in fiorente vigore.
La questione dell’ospitalità per i poveri, e in specie dell’ospitalità di notte per certi sciagurati, è questione importantissima per la nostra città.
Io vi ho detto il vero: ora, voi giudicate!
- Firenze, 14 agosto 1884.
Note
- ↑ Scorso non molto tempo dalla pubblicazione della 1ª edizione di questo libro, fu istituito il Comitato per le case dei poveri, che ha recato e reca tanto giovamento alle classi più derelitte delle nostre popolazioni.
- ↑ Anche in questa idea fummo secondati. Insigni e pietosi cittadini istituirono e aprirono il Dormentorio pubblico in via di Ardiglione; ma, dopo breve e non felice esperimento, fu chiuso. Di chi la colpa?