Firenze sotterranea/Capitolo XIII

Capitolo XIII

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XIII


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Il 1° marzo 1876, l’onorevole Ubaldino Peruzzi, Sindaco di Firenze, pubblicava una Notificazione, invitando i proprietari di stabili, e i loro inquilini, a voler permettere che una Commissione, la quale sarebbe stata da lui nominata, potesse visitare le case, per amor dell’igiene e della pubblica sicurezza.

Dunque son già corsi nove anni, dacchè nel Comune di Firenze si sapeva che la città era funestata da un male gravissimo, onde era urgente il purgarla. E che fu fatto in questi nove anni? È doloroso a dire: non fu fatto nulla!

Ma non basta. Negli archivi del Municipio si andaron coprendo di polvere i rapporti presentati da uomini coscienziosi. E non ci fu mai, in nove anni, chi alzasse la voce, chi ponesse sotto gli occhi dei colleghi il danno da cui Firenze era [p. 178 modifica]minacciata: chi parlasse de’ provvedimenti tanto raccomandati.

I rapporti furono mai letti?

Chi sa!

Tale incuria è forse il fatto più incredibile tra i molti assai strani, che sono andato sponendo in questo mio lavoro.

Eppure che serietà, che importanza ne’ rapporti presentati da’ Commissarii, che l’onorevole Peruzzi avea nominato! Di rado era stato fatto più caldo, più eloquente appello a’ magistrati incaricati di guarentire il decoro, la salubrità, la moralità pubblica, la sicurezza di una popolazione.

Che cosa dicevano i Commissarii?

Spartiti in gruppi aveano visitato i più miseri quartieri di Firenze: aveano fatto quella lunga, penosa peregrinazione, che io ho ricominciato più volte per poter raccontare a’ miei concittadini le vergogne, e le abiezioni che ci deturpano.

Si assembrarono in Commissioni e Sotto-Commissioni: alcune scrissero i rapporti, cui alludiamo, altre (da vere Commissioni municipali) neppur ci pensarono.

Ci sono in Firenze — dicevano i buoni Commissarii — centinaia di persone, che non posson [p. 179 modifica]star bene perchè dimorano in luoghi troppo angusti, dove formano perniciose agglomerazioni!... Vi sono blocchi di case, della costruzione più difettosa, umidissime perchè mancanti di scannafossi e di vespai, spesso a contatto di terrapieni con livello inferiore alle strade; senz’aria, nè luce sufficienti. Enumeravano i luoghi d’agiamento, situati, il novanta per cento, nelle camere da letto, gli orifizii, ne’ casi migliori, con coperture di legno, le latrine, fatte a nicchia per cui l’individuo, nel fervore di certe operazioni, rimane con metà della persona in camera, al cospetto degli altri compagni di giaciglio, e procura ad essi le più acri vellicazioni.

Parlavano i coscienziosi rapportatori di tugurii senza cucine, o di cucine con camini, privi della gola, che tira il fumo, e che annerano, impestano le stanzuzze, con le quali comunicano e dove si dorme la notte, o si dimora nella giornata.

E palesavano casi d’inaudita sporcizia.

In un orribil tugurio trovarono una gobba, la quale con la sua numerosa famiglia vivea nel più fracido lezzo. Interrogata, rispondeva che era stata in quella tana ben trent’anni, vi aveva partorito sette volte, e non voleva andarsene. I bambini, uno dopo l’altro, morirono di schifose malattie. [p. 180 modifica]

Altrove scuoprirono una carbonaia, ridotta a casa; in due stambergone, senza aereazione, si rannicchiavano da venti anni certi inquilini, che aveano addosso appena le ossa, scarni, macilenti, con visi di spiritati.

Delle Commissioni facean parte medici savii, i quali non si peritarono ad affermare che le catapecchie da loro visitate eran nidi di scrofola, di oftalmia, e gli abitanti quasi tutti anemici-clorotici!

Fecer sapere che i letti degl’infelici erano spesso formati di penne, e penne non purgate, però fetide e insalubri, producenti un’aereazione,che era causa di malsania in tutte le case circonvicine.

Queste e altre cose ridiceva il triste rapporto... Ma a chi le diceva?

Cadde un’Amministrazione, subentrò il Commissario Regio, un’altra Amministrazione fu nominata... I rapporti della Commissione aspettano un Consigliere municipale, che non abbia paura di scendere nelle tombe, e che vada a dissotterrarli dall’Archivio in cui furon sepolti, [p. 181 modifica]speriamo non senza epitaffio, affinchè possano esser ritrovati fra tanti morti...

Mi dicono che agli occhi degli uomini (confido non a quelli di Dio) io passo per un esagerato. Ora non vorrei la mia cattiva fama si aggravasse, sentendo che io auguro a Firenze un Consigliere municipale il quale possa trovare un’ora d’ozio per occuparsi anche dei fiorentini!



L’onorevole Ubaldino Peruzzi si era accorto che a Firenze facea mestieri di provvedere subito alla salubrità, alla nettezza, alla moralità della gente, ricoverata in certi quartieri. Si era accorto che esisteva un grande guaio di edilizia e di morale, che non si poteva, senza jattura, frapporre indugio ai ripari.

Fin dal 1876 la questione, da me sollevata, sembrava dunque già molto seria. Insisto su ciò perchè, nel principio del mio lavoro, taluno ha creduto, o volle far sembiante di credere, ch’io scherzassi.

Dopo nove anni, lasciato tutto in abbandono, curando il male, come se non esistesse, si può far ragione a qual punto siamo arrivati. Se oggi [p. 182 modifica]si nominassero nuove Commissioni, che fornissero in buona fede il loro lavoro, se si rimandassero gli stessi Commissarii ad un nuovo pellegrinaggio, tornerebbero a testimoniarvi inorriditi delle peggiorate condizioni. Vi direbbero che la trascuranza ha dato frutti maggiori che non fosse dato prevedere.

Ma come è da riparare - esclamerà il lettore a tutto ciò che avete detto?

Rispondo.

Sono due in Firenze i centri d’infezione per i corpi: due i centri di corruzione morale. Uno è nel Ghetto e nei pressi del Ghetto, pei vicoli del Vecchio Mercato: l’altro, di là d’Arno, sotto le mura, nel lembo estremo del quartiere di San Frediano.

Non parliamo del Ghetto, nè del Mercato. L’uno e l’altro debbono essere demoliti: e il metter tempo in mezzo alla demolizione è un nuocere nel peggior modo, un colposo indugiare ciò che può essere più profittevole alla città. Poniamo in chiaro che il procrastinare a tempo indefinito i lavori di demolizione del Mercato non può esser consentito, tollerato che dai nemici di Firenze!...

Il quartiere de’ ladri, de’ malviventi oltr’Arno deve essere pure, o migliorato, o demolito. [p. 183 modifica]

Laggiù, come in certi vicoli del Mercato, se l’opera degli uomini non soccorra pronta, il tempo farà da sè. Non volete presto metter mano a ripulire, a riedificare? Molte di quelle casupole rovineranno: alcune sono già mezzo rovinate. Di là d’Arno i padroni di certe catapecchie da anni non si fanno più vedere. Ve ne sono di quelle dove abitano quattro, cinque famiglie di ladri. Ma di ciò vi ho già discorso ad esuberanza.

Pel quartiere di oltr’Arno due sono le proposte. I tugurii, che fiancheggiano quattro o cinque delle peggiori strade non hanno alcun valore: non stanno più ritti: sono mezzo franati, senza affissi, senza pavimenti; il marciume, il soprassello di materie immonde li rendono inabitabili; non vi si può andare senza empirsi di insetti: gl’insetti vi sono in tal numero, che nelle notti di estate uomini, donne, bambini, stesi tutti insieme sui giacigli, urlano dallo spasimo. Io ne ho fatta una esperienza, di cui non posso dimenticarmi! L’amore del realismo per poco non mi è costato assai caro. Mi sono trovato possessore di una tal quantità di documenti, da sodisfare il naturalista più arrabbiato. Ce n’era da empire un archivio municipale. Tutte le acque lustrali sono appena sufficienti a tergervi. Le stesse guardie di [p. 184 modifica]pubblica sicurezza sono obbligate alle maggiori precauzioni.

Perchè il Municipio consente in certe strade della città ai proprietarii di case ciò che non consente ai proprietarii in altre strade? Crede il Municipio esser senza colpa, per non aver mai fatto eseguire in alcuni quartieri i regolamenti municipali? Abitare a Firenze in certe strade vuol dir dunque essere fuori della legge, o sopra la legge?1

Tali case son sottosopra dal tetto alle fondamenta. Quando piove, l’acqua cade dal soffitto traforato, sconnesso, su i giacigli, quando non s’infiltra e non fa la troscia nella camera, sgorgando dalle commettiture delle porte, spezzate, crivellate, sfasciate.

I proprietarii delle casupole non pagano tasse: pochi son quelli che per certi stabili, a due, tre piani, riescono a farsi pagare in capo all’anno un cento franchi di pigione!

Si dovrebbero però richiamare subito i proprietarii ad eseguire il regolamento municipale! Essi non potrebbero sostenere le spese di rassetto, di ripulitura. Ma per far piacere ad essi [p. 185 modifica]dobbiamo tener in Firenze un tal centro d’infezione?

E quando le case, già pericolanti, rovineranno, e schiacceranno sotto di sè gl’inquilini, i poveri e i delinquenti, poichè una delle peggiori servitù della miseria è il dover sottostare alla connivenza coi tristi, che cosa direte?

C’è chi propone aprire una nuova porta nelle mura di San Rocco, la quale gioverebbe assai, poichè la mattina la fila de’ barocci alla Porta San Frediano è sterminata: certi generi, sottoposti a facile deperimento, patiscono, esposti al sole, o all’intemperie sui carretti. Se aprite la porta, certe straducole segregate, diventeranno vere arterie di circolazione: c’infonderete l’attività della vita sana, operosa. Le case allora acquisteranno un pregio: il movimento caccerà quello che vi ha di putrido moralmente: la corruzione morale si accumula dove stagna la vita, come i miasmi si sviluppano da certe acque morte.

Ma se atterraste tutte quelle casette, che non costano nulla (e ponghiamo pure che le pretese si svelassero con la richiesta) avreste formato uno de’ quartieri più gai e più luminosi di Firenze, in mezzo a giardini, a piè di Bellosguardo, del Poggio Imperiale, del Viale de’ Colli. Da per [p. 186 modifica]tutto ove era rimasto vuoto un terreno di pochi metri, oggi si fabbrica in Firenze: si riducono perfino antichi giardini a terreno edificabile. Si costruiscono ora villini a ventine, soltanto fra Porta San Gallo e Porta la Croce.

Qual ricerca avrebbe il Municipio, diventato proprietario di un’estensione di terreni in quell’estremo della città, che congiungerebbe direttamente Firenze con i gruppi di villini eleganti, fuor di Porta Romana?

E quanto guadagnerebbe in salubrità Firenze, abbattendo le mura di San Rocco!2

Ma coloro, che ci abitano ora, dove si mandano?

Andiamo avanti con le nostre proposte.



Note

  1. Tali domande sono pur troppo tuttora applicabili a ciò che accade in varii punti della città.
  2. Tutto questo, che pareva allora un sogno, e per cui mi si dava taccia di visionario, fu ottenuto.