Favole scelte dalla raccolta dei fratelli Grimm/Mastro Lesina
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Traduzione dal tedesco di Filippo Paoletti (1875)
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MASTRO LESINA.
Mastro Lesina era un ometto segaligno, non riposava mai un momento e parea avesse l’argento vivo indosso — Pallida avea la faccia e piena di butteri, rincagnato il naso, grigi ed irsuti i capelli; gli occhi piccoli e si vivaci che non poteano star fermi. Osservava tutto, criticava tutto, ogni cosa sapea far meglio degli altri e sempre voleva aver ragione, Quando andava per la strada, fortemente dimenava le braccia; di modo che un giorno urtò in un secchiello pien d’acqua che una giovinetta portava in sulla testa, lo gettò in aria e tutto ne fu bagnato. Scimunita, le disse, mentre si scotea gli abiti, non potevi vedere che io ti venia dietro?
Di mestiere era calzolaio: quando lavorava, con una tal furia tirava lo spago, che dava de’ pugni nel ventre a quanti non si teneano a certa distanza. Non eravi lavorante che rimanesse più di un mese con lui; poichè sempre avea a ridire sul lavoro anco il più ben fatto. Ora i punti non erano eguali o una scarpa era troppo lunga; or era un tacco più alto dell’altro, o il corame non abbastanza battuto. Aspetta, dicea al garzone, ti insegnerò io a batter la pelle; prendeva il pedale e menavagli un paio di colpi sulla schiena.
Tutti gli altri chiamava poltroni, sebbene egli non facesse molto lavoro, poichè non potea star più d’un quarticello d’ora al deschetto.
Se sua moglie alzavasi di buon mattino ed accendeva il fuoco, subito balzava da letto, correva scalzo in cucina gridando: — che! mi vuoi bruciar la casa, hai fatto un fuoco da arrostire un bue! Non costa niente la legna, eh? — Se le domestiche stavano al tinozzo e lavorando rideano al racconto di qualche allegra novelletta, le sgridava: — Ecco le oche che schiamazzano, e per le ciance si dimenticano del lavoro! Perchè lasciar nell’acqua il sapone che si consuma? — Oh! le poltronaccie, non vogliono stroffinar la biancheria, hanno paura di sciuparsi le mani. Guardatele! — Nella furia rovesciò una tinozza piena di lisciva e tutta la cucina ne fu allagata.
Si fabbricava una casa; era sempre col capo fuori della finestra a criticare. — Per bacco! dicea, que’ muratori adoperano mattoni rossi che mai non asciugheranno. Chi non si ammalerà in quella casa! Ehi? quelle pietre sono storte, la calce non è buona; ci vuol ghiaia e non sabbia. Scommetto che prima ch’io muoia quella casa rovina sul capo a chi vi sta entro.
Sii pone a sedere al deschetto, fa un paio di punti, non può continuare; si alza, togliesi il zinale; — bisogna che vada io, dice, ad insegnare a que’ guastamestieri. — Vede i legnaiuoli: — ma che fate? Tutto qui è storto; credete che questo trave possa reggere? Oh! si sconnette di certo. — Toglie l’ascia di mano ad uno per insegnargli come si deve fare; quand’ecco passa un carro pieno d’argilla, getta via l’ascia e corre dal contadino che lo guida — Voi avete un ramo di pazzia, gli dice, chi ha un bricciolo di buon senso non fa tirare un carro così pesante da cavalli giovani, le povere bestie creperanno per istrada. — Il carrettiere non gli dà risposta e Lesina pieno di rabbia se ne ritorna nella sua bottega. Soffiava come un istrice.
Appena è al deschetto il garzone gli mostra una scarpa. — Ancor questa? E non ti dissi le mille volte di non tagliar in tal modo le scarpe? — Chi le comprerà ora che sono quasi basse come la suola? Io voglio essere ubbidito a puntino, io! — Maestro, rispose il giovine, forse avrete ragione e la scarpa sarà sciupata; ma è quella stessa che voi poco fa avete tagliato e cucito. Quando siete andato via, l’avete fatta cadere per terra, io l’ho presa e riposta sul deschetto. Un angelo del Paradiso non vi potrebbe contentare.
Mastro Lesina sognò una notte che era andato a babboriveggoli, e si trovava sulla via che mena in cielo. Non sì tosto vi giunse picchiò fortemente alla porta; mi meraviglio disse che non vi sia un campanello, bisogna scorticarsi le nocche delle dita. L’apostolo Pietro subito aprì per vedere chi era che così furiosamente chiedeva d’entrare.
— Ah! siete voi? Mastro Lesina. Siate il benvenuto; v’avverto però di non criticare, come è usanza vostra, quel che vedrete in Paradiso; vi costerebbe caro.
— È inutile il vostro avvertimento, rispose Lesina; conosco le convenienze io, e sia ringraziato Iddio, tutto qui è perfetto.
Entrò, visitò tutti i luoghi di qua, di là, di su, di giù del Paradiso. Dapertutto guardava, a destra, a sinistra, qualche volta scoteva anche la testa o brontolava fra i denti.
Vide due angeli che portavano un grosso legno; era una trave che ebbe un uomo nell’occhio, mentre cercava la pagliuzza in quello del vicino. In iscambio di portarla per lo lungo, la portavano di traverso. — Si è mai veduto una goffaggine simile! pensò Mastro Lesina; tacque e disse tra sè: alla fin fine è lo stesso, portar la trave per diritto o per traverso, purchè la si porti ed in vero vedo che non urtano in cosa alcuna.
Poco dopo vide due angeli attignere acqua ad una fontana, la versavano in un barile bucherato per modo che gocciolava giù da tutti i buchi: così facevano per bagnar colla pioggia la terra. Ch’i’ arrazzi se... ma fortunatamente si tacque riflettendo che forse era per trastullo e si possono far per ciò molte cose inutili; specie qui in Paradiso che da quanto scorgo si poltroneggia volentieri.
Andò oltre e vide una carrozza infangata in una profonda rotaia. — Non è da farne meraviglia, disse all’uomo che era presso di quella: chi la stracaricò in questo modo? Che cosa portate? — Pii desideri, rispose il conduttore, non la potei guidar bene, la spinsi però sin qui e spero qualcheduno mi aiuterà. Venne in fatti un angelo con due cavalli e li attaccò dinanzi la vettura. — Benissimo, disse Lesina, due non basteranno ce ne vorrebbero almeno quattro. Un altro angelo condusse ancora due cavalli, ma in iscambio di attaccarli davanti cogli altri li attaccò di dietro. — Oh! quest’è troppo, Poffar bacco! esclamò Mastro Lesina, Che fai? Si è mai visto da che mondo è mondo, tirare una vettura in questa guisa? Nella loro sciocca superbia credono saperne meglio degli altri. — Volea ancor dire; ma un di quei del Paradiso lo prese per il collo e lo cacciò fuori. Quando fu sulla soglia rivolse la testa indietro e vide che la vettura era trasportata in aria da quattro cavalli alati.
In quell’istante Mastro Lesina si svegliò e disse tra sė: in Paradiso molte cose non si fanno come sopra la terra; ma chi può vedere senza bizza attaccar cavalli davanti e dietro ad una vettura? Gli è vero, aveano le ali, ma io non lo sapea. Del resto è una grande sciocchezza di far crescere due ali ai cavalli, i quali hanno di già quattro gambe per correre.
Conviene che smetta, se no qui tutto mi va a rovescio. Posso stimarmi fortunato se non son morto davvero.