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o una scarpa era troppo lunga; or era un tacco più alto dell’altro, o il corame non abbastanza battuto. Aspetta, dicea al garzone, ti insegnerò io a batter la pelle; prendeva il pedale e menavagli un paio di colpi sulla schiena.

Tutti gli altri chiamava poltroni, sebbene egli non facesse molto lavoro, poichè non potea star più d’un quarticello d’ora al deschetto.

Se sua moglie alzavasi di buon mattino ed accendeva il fuoco, subito balzava da letto, correva scalzo in cucina gridando: — che! mi vuoi bruciar la casa, hai fatto un fuoco da arrostire un bue! Non costa niente la legna, eh? — Se le domestiche stavano al tinozzo e lavorando rideano al racconto di qualche allegra novelletta, le sgridava: — Ecco le oche che schiamazzano, e per le ciance si dimenticano del lavoro! Perchè lasciar nell’acqua il sapone che si consuma? — Oh! le poltronaccie, non vogliono stroffinar la biancheria, hanno paura di sciuparsi le mani. Guardatele! — Nella furia rovesciò una tinozza piena di lisciva e tutta la cucina ne fu allagata.

Si fabbricava una casa; era sempre col capo fuori della finestra a criticare. — Per bacco! dicea, que’ muratori adoperano mattoni rossi che mai non asciugheranno. Chi non si ammalerà in quella casa! Ehi? quelle pietre sono storte, la calce non è buona; ci vuol