Fatalità (1895)/Prefazione
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Fatalità | ► |
ADA NEGRI1
Sta a Motta-Visconti. Questo lo si sa perchè tutte le sue poesie portano ai piedi, a sinistra, questa indicazione. Ma chi è Ada Negri? Perchè non scrive che sull’Illustrazione Popolare? Perchè non esce fuori in piena luce e nessuno l’aiuta a uscir fuori?
Io mi dibatto, maledico e piango,
Ma passa il mondo e ride o non mi sente.
Perchè nessuno l’ascolta?
Questo si chiedevano, soltanto pochi mesi fa, gli abbonati del Corriere della Sera, e dell’Illustrazione Popolare; anche quelli che di versi non s’intendono, e non si curano, ma tutti, davanti alla poesia di Ada Negri, s’erano sentiti presi e scossi.
Strano davvero che, così conosciuta e ammirata privatamente, ella non trovasse modo di sbucar dalla siepe che fiancheggiava il suo sentiero e non potesse uscir fuori liberamente sulla strada maestra.
Ma forse è stato per il suo meglio: questa lotta contro ostacoli che non sapeva che fossero, questa sete di gloria non mai appagata, aiutarono certo ad accendere in lei quella fiamma che riscalda ormai tutta la sua poesia, dandole un’impronta così sentita, così nuova, così sua.
I suoi lettori sono andati man mano comprendendo che il dolore dei suoi versi è dolore vero, che questa creatura giovane deve aver sofferto come se avesse già vissuto una lunga vita, e finirono col tenersi sicuri che, conscia del suo ingegno com’essa è, forte della sua triste esperienza, sarebbe balzata fuori da un momento all’altro al sole di quella gloria che sogna con tanto ardore.
La “bieca figura„ che le appare una notte al capezzale e si chiama sventura, dopo averla atterrita col profetarle tutto quello che è destinata a soffrire, le dice:
.... A chi soffre e sanguinando crea |
Ed ella, che l’aveva respinta, le risponde: Resta.
La sventura! come si sente ch’essa fu la compagna della giovinezza di Ada Negri! forse fin da bambina seppe
.... le notti insonni e l’inquieto |
fors’anche conobbe “i giorni senza pane„...
Crebbi col buio intorno e qui nel core |
A diciott’anni saluta sua madre e parte da Lodi per il suo posto di maestra a Motta-Visconti: una grossa e grassa borgata della bassa dove però non arrivano ancora neppure le rotaie di un tram; è là come dimenticata sul ciglione del Ticino dove si stendono boscaglie conosciute dai cacciatori milanesi, e dove Ada Negri va ad ascoltare le voci del vento che sale,
Punge, penètra, sibila, travolge, |
Ada Negri, quando i tuoi versi usciranno raccolti in volume, molte cose si vorranno dire e si inventeranno intorno alla tua persona e alla tua vita. Lascia ch’io dica prima almeno un poco della melanconica verità; essa è un onore per te, e alla tua povertà un giorno tu ripenserai con dolcezza e con gratitudine, poichè ad essa devi in gran parte quello che sei.
Lasciaci dunque attraversare il vasto cortile fangoso, su cui s’aprono le stalle e dove guazzano le oche, per venir a bussare al tuo uscio screpolato, salendo i due alti scalini di mattoni rotti. Noi veniamo a salutarti nella tua stanza dove la luce è fioca perchè alla finestra non vi sono vetri ma impannate di carta, dove il mobile più elegante è la cassa de’ tuoi libri che ti serve da divano.... Il nostro cuore si stringe al primo momento, ma poi s’allarga, gonfio di commozione e d’ammirazione.
*
È in un giornale letterario, se non sbaglio, che uscì Madre operaia, la descrizione di quel lanificio dove lavora senza posa una povera donna stanca e affievolita, la cui fronte patita è come illuminata da una nobile fierezza perchè essa lavora per suo figlio che deve studiare:
.... Suo figlio, il solo, |
Chi, leggendo, non ha pensato che forse si doveva dire una figlia?
La povera donna stanca e malata che ha lavorato tutta la vita, ora è là rifugiata presso la figliuola e attende, trepida e pensosa, l’avvenire luminoso in cui la bruna testa sarà cinta “di oro e di lauro„.
Sta forse per arrivare il gran giorno? Ecco che da ogni parte d’Italia giungono lettere, giornali e libri, e il nome della sua figliola è dappertutto, e il pavimento n’è ingombro ed ella vi cammina sopra con venerazione.
Sì, il nome della tua figliola è conosciuto, ma nessuno sa chi ella sia ed ella non conosce nessuno, e dovrà ancora per qualche tempo andarsene in zoccoli alla sua scola, dove un’ottantina di ragazzi le strillano il buongiorno e mettono a prova la sua pazienza coi nasi che colano e l’ostinazione di voler gridare tutti insieme le lettere dell’alfabeto.
Sua madre la vede tornare col viso pallido, colle mani che bruciano, gli occhi che balenano, e trema per paura che sia malata. È l’intenso sforzo di vivere due vite, di ascoltare due voci: mentre ode quelle del di fuori, e parla e risponde e compie rigida e ferma il suo dovere, dentro ha mille altre voci che le parlano, una musica strana che le sale dall’anima e vorrebbe prorompere, ma non lo può che nella notte alta, quando tutto tace intorno a lei e il dovere della sua giornata è compiuto.
È allora che un immenso radiante orizzonte le si apre dinanzi. Chi legge i suoi versi può pensare ch’ella ha tutto visto e conosciuto: ma non conosce che la solitudine e la sventura: un mondo buio e freddo dal quale la luce del di fuori appare abbagliante, e più dolce e tepido che non sia, il mondo dei fortunati.
Ada Negri ha letto pochissimi libri moderni ma li conosce tutti dalle varie opposte critiche dei giornali letterari, ed è curioso come del male e del bene che se ne dice ella afferra il vero! Non ha mai visto un teatro, ma è entusiasta della Duse ed è presa in questi giorni da una smania di sentirla e vederla che non lascia pensare ad altro: sono sempre i suoi giornali che la informano; un fascio; quasi tutti quelli d’Italia che riceve da due anni ogni settimana col bollo postale di Milano, da un ammiratore che non le si è mai fatto conoscere.
Ada Negri non ha mai visto il mare, non conosce le montagne, neppure le colline o un lago: pochi mesi fa poteva dire neppure una grande città, poichè non faceva che attraversar Milano da Porta Ticinese a Porta Romana per andar a Lodi a passar le vacanze con sua madre.
Quest’estate alcuni amici la vollero trattenere per due giorni e fu tutta una nuova vita spalancatasi ai suoi occhi nella gran città popolosa, nella stagione in cui le corse e le esposizioni la rendevano così brillante. I gaudenti le sfilarono davanti col barbaglio del lusso, della bellezza, dell’eleganza. L’arte ch’ella intravvide a Brera la sbalordì, la commosse, la trasportò; il magico incanto di terre lontane e genti nuove la sedusse là fra quegli egiziani e quei cavalli, davanti a quelle brune almée dagli occhi dipinti.
Due giorni di sogno: tutta la sua personcina esile vibrava e i suoi grandi occhi neri fiammeggiavano come per febbre, tanto che gli amici si chiesero se non avevano commesso una cattiva azione mostrandole ciò di cui non avrebbe potuto godere a lungo.
Ella tornò laggiù a riprendere i suoi zoccoli; tornò a insegnar a compitare ai suoi ottanta bambini rumorosi e cocciuti, ma pur troppo non seppe più essere tranquilla e rassegnata al suo oscuro destino.
Vi sarà chi, leggendo il suo libro, dirà che c’è una nota insistente, troppe volte ripetuta: è vero, ella stessa lo sente e lo dice: ma è così, è lei, ora; è la campana lugubre, incessante che invoca al soccorso, è la sua giovinezza che si ribella al dolore che l’ha sempre accompagnata, è il grido dell’ingegno che lotta per non essere seppellito vivo.
Son poeta, poeta, e non m’arride |
Pure come triste e dolce si fa il suo canto qualche volta: come la sua giovinezza, stanca di anelare all’avvenire, torna al passato, e si riposa ridiventando bambina alle ginocchia di sua madre.
Madre, qui — nel silenzio — a te vicina!
E chiede:
Dimmi, perchè si soffre e si perdona, |
La nota dolce della lirica di Ada Negri sgorga sempre e sola dal ricordo della fanciullezza cullata dall’amore di sua madre, o dall’amor materno che le appare come un lontano miraggio di pace. La desolazione non accascia però mai a lungo Ada Negri; ella scatta come una molla d’acciaio; l’amarezza dello sconforto si muta sempre in un lampo di sfida, in un impeto di audace speranza. Par che la sua personcina diventi più alta, quando sfidando la miseria, “orrido spettro dalle scarne braccia„, esclama:
È mia la giovinezza, è mia la vita! |
E che profonda commozione proviamo quando, povera creatura, dice:
Vedi laggiù nel mondo |
Ma l’ammirazione ci riempie, quando questa fanciulla coraggiosa, altera della sua virtù e del suo ingegno, soggiunge:
Voglio il lavor che indìa, |
e salutando fieramente la “maga nera„ dice:
.... dai lacci tuoi balzando ardita. |
Se c’è poesia sentita da tutti è questa di Ada Negri, essenzialmente moderna e democratica. Qui dentro è il “turbinoso presente„ invocato da Arturo Graf, qui rigurgita davvero “l’onda immensa di voci che ci ingombrano di stupore, ci empiono di pietà, ci infiammano d’entusiasmo, ci rattristano a morte„.
Sofia Bisi Albini.
Note
- ↑ È ormai costume generale presentare conferenzieri e poeti, la prima volta che compariscono dinanzi al pubblico. A presentire Ada Negri, ricorriamo ad un mezzo semplicissimo e che ci pare il migliore: riprodurre l’articolo che già nel dicembre scorso un’altra gentile e valente scrittrice le dedicò nel Corriere della Sera.
(Nota degli Editori).