Esempi di generosità proposti al popolo italiano/Parti uguali

Parti uguali

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Il debole che perdona Generosità perseverante


[p. 219 modifica]Qui Davide fece una cosa la quale lodare sarebbe fallo. Per salvarsi dalle insidie di Saul, andò ad Achi, quale re di Get, nemico d’Israello e gli chiese di poter nella città di Siceleg co’ suoi secento, abitare. E ad Achi non parve vero. Ma coi nemici della patria non sono da prendere impegni, nè profferte accettare. Davide fece peggio. Usciva co’ suoi secento a guastare il paese degli Amaleciti e d’altre genti nemiche a Israello; e tornavano ad Achi; e si dava vanto d’aver guastate le terre dello stesso Israello. Egli mentiva per farsi stimare del popolo suo, e che il nemico del popolo suo si fidasse di lui. Questa bugia, Davide la pagò cara assai1. Dopo quattro mesi avvenne che i Filistei prepararono guerra contro Israello: e Achi disse a Davide, tenendolo omai per servo fedele, gli disse che aveva anch’egli in sua compagnia a far la guerra. Le tende de’ Filistei erano in Afer; e [p. 220 modifica]quelle di Saul in Gelboe presso una fonte. Davide co’ suoi secento stavano nell’ultima schiera intorno a Achi re. Or i capitani dell’esercito filisteo, parte per astio, parte per sospetto, incominciarono a dir male di Davide. Achi lo proteggeva: ma essi vollero senz’altro che quel forestiero se n’andasse, temendo non forse nell’atto del combattere si rivoltasse loro contro, per ingraziarsi di nuovo a Saul, suo suocero e re. E soggiungevano: «Non è costui forse quel Davide di cui le giovanette danzando cantavano: - Vince Saul mille, e Davide diecimila?». Il re fu dunque costretto di congedare David, col quale i Filistei non volevano a nessun patto trovarsi. Ecco quel che si guardavano a mutare bandiera: che nessuno ci crede.

Davide dunque co’ suoi si partì: e s’avviarono alla volta di Siceleg. Ne’ giorni ch’egli era via, gli Amaleciti vennero in quella città; la assalirono dal lato di scirocco, la presero e arsero, e menarono tutti in schiavitù gli abitanti. Nessuno ne uccisero: ma tutti menarono seco in mezzo agli armati come pecore e buoi di preda. Ritornano Davide e gli altri a Siceleg, e vedono la caligine del fumo grave, i tetti mezzo atterrati, le mura ignudi e nere dal fuoco; le vesti note delle mogli e de’ figliuoli stracciate e sparse per la via; silenzio da ogni parte, rotto dal crollare delle travi e de’ solai rovinati; ma non traccia di sangue, non cadavere sepolto sotto le macerie, nè voce di persona rimasta alla schiaccia. Gridavano per le contrade deserte, cercavano per le case, piangendo tutti altamente. E tra il dolore, quegli uomini fieri, si volsero corrucciati contro Davide che li aveva tratti a quella guerra e lasciate in abbandono le loro famiglie; e volevano lapidarlo. Questa [p. 221 modifica]mercede ebbe Davide del voler al nemico: la vergogna dell’essere rigettato da esso nemico, poi la vergogna e il dolore de’ rimproveri da’ suoi militi stessi.

Ma, fattosi animo, e invocato il Signore, deliberò d’inseguire gli Amaleciti e tor loro di mano la preda. Si misero in via con ansia affannosa: e il pensiero continuo di quel che intanto patiranno le mogli e i figliuoli schiavi, li affaticava più che la stessa stanchezza. Giunti al torrente di Besir, parte non ne potendo più, ristettero; dugento stettero e Davide con gli altri quattrocento seguitava il cammino. Incerti del dovere, ritrovano in mezza alla campagna un Egiziano disteso per terra; e gli fanno cenno di reggersi a rispondere; ma quell’infelice, che da tre giorni e tre notti non aveva nè mangiato pane nè bevuto un sorso d’acqua, giaceva sfinito. Lo sollevarono come morto, gli diedero un po’ d’acqua; poi un po’ di pane; poi, quando cominciò a rinvenire fichi secchi e uva passa: chè altro lì non avevano. Quando si fu riavuto, Davide gli domandò: «Di dove sei tu? Donde vieni e dove vai». E quegli disse: «Sono di terra d’Egitto, servo d’un uomo amalecita: che il mio padrone mi abbandonò qui da ier l’altro che mi sentii male, e non gli potevo tenere dietro. Siamo venuti da scirocco, e abbiam saccheggiato in quel de’ Filistei e nel paese di Giuda, prese Siceleg e arsa. E si veniva di là». Davide a lui: «Potresti tu condurmi là dove son quella gente?» E l’uomo rispose: «Giuratemi al nome di Dio, che non mi volete uccidere, né dar nelle mani del mio signore; e io vi ci guido». Davide lo assicurò: e s’avviarono.

Voi che leggete, vi verrà subito pensato: Ha egli fatto bene quest’uomo a additare dov’era l’esercito con la preda? S’egli l’ha fatto per liberare da schiavitù e da strazii del corpo [p. 222 modifica]o dell’anima tante creature innocenti, per rendere tante povere donne a’ loro padri, mariti, fratelli, per ricomporre tante famiglie lacerate come si straccia un leggier velo e s’insudicia e strascina per le terre; certo ch’egli ha fatto bene se con questa intenzione s’è per dato per guida a Davide. Ma se lo fece per disamore e dispetto degli Amaleciti padroni suoi, per vendetta d’essere stato, come una bestia morta, abbandonato infermo, dolente, nella campagna; se lo fece per aver da Davide salvezza e aiuto e mercede; allora la sua è opera di servo abietto e di traditore. Non doveva cotesto disgraziato, per prima cosa, patteggiare con Davide che sarà né ammazzato né dato ai nemici padroni suoi: doveva fare quello che l’umanità richiedeva e dire la verità. Ma questo era atto di difficile virtù, rara molto. Scusiamo quell’Egiziano infelice se non seppe usare generosità pura d’ogni timore e speranza quando vediamo che Davide stesso non sempre seppe essere generoso. E chi sa che nell’anima di quell’Egiziano infelice il pensiero di sé medesimo non si sia confuso con la coscenza del fare un bene a que’ poveri prigioni, confuso in maniera ch’egli non avrebbe saputo distinguere queste due cose?

Ecco intanto quel che guadagnò l’Amalecita crudele ad abbandonare in via un servo infermo così. Pensate un po’ le preghiere che avrà sparse indarno quell’uomo sull’atto d’essere deserto; come invocata la pietà ora di questo, ora di quello, e di tutti; e di che grida avrà fatto risuonar la campagna, e perseguitati col lamento coloro che spensierati se n’andavano via, meditando la dovizia della preda. E quando, allontanatisi, non han più sentita la voce di lui sarà parso a loro d’aver discacciata da sè il ronzio d’un [p. 223 modifica]insetto molesto. Ma il dolore di quel povero forestiero fu come una striscia di sangue che, dal luogo dov’egli giaceva, segnò lunga traccia infino al luogo dove gli Amaleciti predatori furono colti dal ferro di Davide.

Furono colti che stavano mangiando e bevendo, e facendo gran festa delle spoglie prese sì dalla terra de’ Filistei e sì dalla terra di Giuda. Tumultuosa allegria, somigliante al suono confuso di torbide onde, o al canto roco d’uomo che abbia la voce dal vino ingrossata e tremante. Mista ai frizzi le ingiurie, e il fremito al ghigno, e ai giuochi le risse; e le bestemmie interrompevano le mal sapute canzoni. Chi gode piaceri troppo facili e male acquistati, ha mal godimento. Vennero improvvise su quella baldoria, come gragnuola su mèsse matura le spade de’ compagni di Davide. Gli Amaletici confusi, chi cerca l’armi sue gettate per terra o sospese ai rami degli alberi; e nel cercarle è trafitto; chi, dalla crapula sbalordito, tentenna, e stramazza senz’urto: l’un nell’altro dànno di cozzo, e non discernono nemici da amici: le vivande e le vesti tinte di sangue. Davide e i suoi con le grida aiutano il terror delle lancie: le donne e i fanciulli prigioni gridano anch’essi, incuorandole alla caccia, e pregando Iddio che al loro braccio dia polso. I rubatori si cacciano adesso fra’ poveri prigioni, pur dianzi scherniti, che con l’ombra loro li salvino; e gl’Israeliti dovevano, nel mirare al nemico, por mente che nessun de’ prigioni toccasse ferita.

Fu lunga la strage. I morti quasi manne sul campo giacevano a mucchi. Quattrocento giovanetti montarono sui cammelli e fuggirono. Or che costava a quel signore amalecita gettare sul dorso d’un cammello quell’Egiziano servo, chiedente pietà? Tanto poco ci vuole talvolta a [p. 224 modifica]fare un’opera buona e a liberarsi da un grande pericolo! I prigionieri rapiti da Siceleg, furono tutti salvi, dal vecchio al bambino; salve le più tra robe di pregio. Molte anco le pecore e i buoi dal nemico rapiti in terra di Filistei; e li mandò Davide innanzi al suo piccolo esercito, come in trionfo. E ritornarono al torrente dov’erano restati i dugento stanchi, restati per cenno di Davide stesso. I quali vennero incontro a’ compagni: e Davide primo, appressatosi ad essi li salutò con maniera affettuosa. Ma tra i quattrocento combattitori parecchi erano gente rotta, avida più di lucro e di risse, che desiderosa di concordia e d’onore. E costoro cominciarono gridando a dire: «A quelli che non sono stati con noi, non s’ha a dare nulla. Rendiamogli a ciascuno la sua moglie i figliuoli; e anche di questi ringrazino il valore nostro. E poi basta». Davide, vergognoso per loro, e dolente d’avere tali compagni, dissimulava il risentimento per non aggravare il male; e con buone maniere diceva: «Fratelli miei, noi faremo migliore uso, spero, de’ beni dati da Dio, il quale ci ha dato la forza di vincere. Non vi fate sentire con cotesti discorsi che nessun uomo di cuore potrebbe ascoltare con lieta faccia. Ugual parte avrà e chi combattè e chi guardò le bagaglie: ogni cosa sarà giustamente distribuita». E da quel giorno, siffatto modo diventò consuetudine in Israello, stabile e ferma. Nè solamente divise tra i secento la preda; ma parte ne rimandò a que’ del paese di Giuda che dagli Amaleciti erano stati rubati (giacchè non poteva nominatamente conoscere di chi ciascuna cosa fosse): così dimostrando che il cuor suo era pur tuttavia con il popolo d’Israello.

Note

  1. Non tutte sono d’uguale gravità le menzogne; non ogni nascondimento del vero è sempre colpa. Ma la legge evangelica ha perfezionata anche in ciò la mosaica; ha resa l’umana coscienza più cauta insieme e più sicura, più delicata e più dignitosa.
Il debole che perdona Generosità perseverante