Esempi di generosità proposti al popolo italiano/La speranza generosa/XIII

La speranza generosa - XIII

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La speranza generosa - XII Perchè le nazioni ingrandiscano, perchè decadano


[p. 123 modifica]Giudicava Otoniele, non già traendo a sè l’arbitrio delle liti e delle discordie per prolungarle, e così aggiungendo ladre baldanze ai più astuti e ai più forti ma anzi agevolante ai più deboli e semplici la giustizia, componendo in tempo le differenze, esortando le parti a rimettere del diritto con generosa equità, e con pazienza di qualsivoglia vendetta ch’è più dignitosa. E’ sedeva sotto una querce dinnanzi alla modesta sua casa, a render ragione; e alternava le fatiche del senno e della parola con le cure domestiche e le villerecce. E la sera sul poggio sedeva con la famiglia di fronte al sole occidente; e vedeva dall’ [p. 124 modifica]alto biancheggiare le gregge tornanti dalla pastura, e più lontano le tende de pastori pernottanti all’aperto. E le acque, in giri scherzosi per il pendio, riflettevano gli ultimi raggi; e poi la luna e le stelle sorgenti ricordavano ad Assa il dono del padre, quand’ella sospirò, e gli richiese terreno a cui non mancassero acque vive. Nelle bellezze della terra e del cielo sentivano più abbondante l’amore della famiglia e di Dio. Parlava ad essi di Dio il venticello vespertino tra gli alberi scendenti pian piano lungo il soave declivio. Vedevano dalle viti pendere, variati di bianco e rossigno e bruno colore, di que’ grappoli, de’ quali il padre aveva nella solitudine indarno portato il saggio al popolo dubitante; e sorridere tra il verde folto, aprendosi dal vago gialliccio della buccia, il vermiglio delle melegranate, che dovevano essere simbolo sacro imitato dall’arte, fregio agli abiti sacerdotali, e alle colonne del tempio futuro. Ruzzavano sull’erbetta i figli de’ figli; e l’una generazione sotto l’altra cresceva, come pianticella sotto la grande ombra materna, che già fanno presentire il tronco robusto nella snella dirittura e ne’ gracili rami. E s’avverava nella figliuola di Càleb la parola di Giacobbe: che le benedizioni del padre vengono raffermate dalle benedizioni degli avi; e quasi acque che scendendo arricchiscono, verranno co’ secoli moltiplicando.

Otoniele e la moglie, che avevano dalle labbra di Càleb attinta la storia vivente de’ tempi passati, n’erano vivente comento ai loro nepoti. Raccontavano i fastosi sepolcri de’ re e i fastosi sepolcri delle bestie in Egitto: e i portenti del Dio liberatore, e le rane e gl’insetti schifosi che succedono al formicolare de’ cortigiani nelle stanze regali; e Faraone ingoiato e rigettato dalle acque; i lampi e le trombe annunziatrici della legge in cima all’Orebbe; e le [p. 125 modifica]migliaia andanti per la solitudine or come greggia ubbidiente alla verga d’un solo pastore, or come cavalle sfrenate ricalcitranti; e le acque che zampillano dall’arido masso, schizzando in faccia a Mosè dubitante; e la campagna che biancheggia del cibo insperato; e la mazza d’Aronne fiorire, imagine delle nazioni che dal ceppo reciso, e morto in vista, ripullulano gloria e virtù; e le discordie muggenti, achetate dalla parola di Colui che fece gli oceani delle acque e gli oceani delle arene. Aveva Assa appreso dalla viva voce della madre, quand’era fanciulletta, il cantico che con cembali e timpani cantò sulle rive del mar Rosso, in coro con le compagne salvate, la sorella di Mosè e d’Aronne, Maria; e lo faceva ridire alle sue figliuolette. E forse da allora, o poco dipoi, fu composto quel canto che leggiamo tra’ salmi, e che incomincia: Venite, esultiamo; ove è detto: «Oggi, se udrete la voce di Lui, non vogliate indurare i cuori vostri, come al dì del cimento là nella solitudine, dove tentarono me i padri vostri, e assaggiarono e videro quel ch’io seppi operare». E soggiunge parole che degli ultimi quarant’anni della vita d’Italia e d’Europa si possono dolorosa gente ridire: «Quarant’anni fui presso a questa generazione, e dissi sempre: Costoro errano del cuore; che non conobbero le mie vie a’ quali giurai nel mio sdegno che non entreranno nel mio riposo».

E, dopo liberato il suo popolo, Otoniele lo giudicò quarant’anni; e le tradizioni della libertà conquistata e della superata schiavitù, dei furori e delle diffidenze popolari imperversanti e disperse, quelle tradizioni passarono diritte dall’un secolo all’altro per Càleb, la cui memoria abbracciava con volo Tebe, la città delle cento porte, e Cariath Sefer, la città delle lettere. Così la storia del mondo compendiata in pochi uomini, si tramanda per poche [p. 126 modifica]mani: e da Enoc, cioè dalle soglie dell’Eden, viene a Noè, e da Noè ad Abramo e a Giacobbe; da Giacobbe a Mosè e a Càleb; dal suo genero, primo giudice, a Samuele; da Samuele a Esdra; da Esdra a’ Maccabei, da’ Maccabei al Battista. E Pietro e Paolo, che videro il Battista, iniziano la Chiesa romana, Giovanni la greca, e da Giovanni Ireneo la francese; e sorge circa quel tempo Cipriano e la Chiesa africana; e le parole di Mosè e di Pietro e di Giovanni divulga nel linguaggio di Roma e le manda per tutti i secoli e a tutte le genti, Girolamo Dalmata, semplice prete, come Càleb semplice cittadino; Girolamo l’eremita ardente d’affetti, il povero ricco di consolazioni, dall’ingegno elegante, dall’umiltà altera, dalla dignità immacolata.

Qui finisce la storia di Càleb, figliuolo di Jèfone.