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migliaia andanti per la solitudine or come greggia ubbidiente alla verga d’un solo pastore, or come cavalle sfrenate ricalcitranti; e le acque che zampillano dall’arido masso, schizzando in faccia a Mosè dubitante; e la campagna che biancheggia del cibo insperato; e la mazza d’Aronne fiorire, imagine delle nazioni che dal ceppo reciso, e morto in vista, ripullulano gloria e virtù; e le discordie muggenti, achetate dalla parola di Colui che fece gli oceani delle acque e gli oceani delle arene. Aveva Assa appreso dalla viva voce della madre, quand’era fanciulletta, il cantico che con cembali e timpani cantò sulle rive del mar Rosso, in coro con le compagne salvate, la sorella di Mosè e d’Aronne, Maria; e lo faceva ridire alle sue figliuolette. E forse da allora, o poco dipoi, fu composto quel canto che leggiamo tra’ salmi, e che incomincia: Venite, esultiamo; ove è detto: «Oggi, se udrete la voce di Lui, non vogliate indurare i cuori vostri, come al dì del cimento là nella solitudine, dove tentarono me i padri vostri, e assaggiarono e videro quel ch’io seppi operare». E soggiunge parole che degli ultimi quarant’anni della vita d’Italia e d’Europa si possono dolorosa gente ridire: «Quarant’anni fui presso a questa generazione, e dissi sempre: Costoro errano del cuore; che non conobbero le mie vie a’ quali giurai nel mio sdegno che non entreranno nel mio riposo».
E, dopo liberato il suo popolo, Otoniele lo giudicò quarant’anni; e le tradizioni della libertà conquistata e della superata schiavitù, dei furori e delle diffidenze popolari imperversanti e disperse, quelle tradizioni passarono diritte dall’un secolo all’altro per Càleb, la cui memoria abbracciava con volo Tebe, la città delle cento porte, e Cariath Sefer, la città delle lettere. Così la storia del mondo compendiata in pochi uomini, si tramanda per poche