Esempi di generosità proposti al popolo italiano/La speranza generosa/XI
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La vecchiezza di Càleb è ben da credere che passasse consolata tra le gioie domestiche e le onorate cure della sua nazione, che era a lui come famiglia, e riguardava a lui come padre. È ben da imagginare con che amoroso rispetto si saranno portati verso lui Assa la figliuola e il genero Otoniele. La madre di lei, per la legge severa imposta da Dio, doveva di là dal Giordano morire; ed ella, ancor giovanetta, governare la casa paterna, e rammentare a suo padre la moglie morta. Data in premio al valore, ma spontaneamente, e non senza dote che le risparmiasse, dinanzi alla famiglia del marito, i raffacci e i disdegni superbi, ell’era modestamente beata d’un amore fedele congiunto a riverenza; e innalzava con lo sposo e col padre al comune Iddio unanime le preghiere. Ed è da immaginare con che benedizioni del cielo e della terra, e del latte che aveva a nutrire i suoi figli, e dello spirito di fortezza che li aveva a ispirare, Càleb l’avrà benedetta morendo; e con che memori lagrime lo avranno pianto e come voluto con esempi di virtù rappresentarlo vivente agli occhi de’ figli.
Ma il tempo scorreva, e le generazioni si venivano allontanando dalle grandi memorie; le quali nell’animo dei più illanguidivano, come suono di potente armonia, che, restando pur fermo in un luogo, a chi si dilunga da quello, viene via via attenuandosi. O piuttosto, le tradizioni magnifiche del passato erano splendore di luce sempre ardente dall’alto; senonchè i figli de’ figli, seguitando il cammino in un verso contrario e per la china, non vedevano che il riflesso e le ombre qua e là prolungate sul suolo; ma, se si fossero rivolti indietro, ne avrebbero avuti di bel nuovo e gli occhi e l’anima irradiati. La pura credenza al Dio vero in non pochi del popolo s’intorbidava; e il culto mendace delle genti vicine già trovava seguaci. Così quello che, come abbiam detto, poteva e doveva essere cagione di reciproco merito, per l’abusata libertà, si faceva tentazione. Acciocchè i seduttori e i sedotti si ravvedessero, Dio, che serba ne’ suoi tesori il gastigo come grazia risposta, preparava a Israello provvide umiliazioni, e ritraeva da esso il raggio della civile libertà; lasciava cader sopra lui le armi d’un re, d’un re della Mesopotamia, del quale il nome è come se non si sapesse, perchè tutto s’ignora di lui fuorchè questo, dell’essere stato per ott’anni oppressore del popolo d’Israello. Ed era pure misericordia il non permettere che fratelli soggiogassero fratelli; non solo acciocchè il giogo straniero più presto li riscuotesse e stringesse in concordia animosa, ma acciocchè non rimanessero in mezzo a loro gli odii e i rancori, fomite perpetuo d’intestina maledizione. Perchè l’oppressione fraterna è più di tutte intolleranda: e lo stesso benefizio, apportato senza viscere di carità, rende sembianza d’oltraggio.
Dico che ott’anni durò l’invasione, straniera: ma Dio, pietoso alle preghiere de’ migliori e al ravvedimento dei più, suscitò un salvatore; il salvatore fu il genero appunto di Càleb, Otoniele. Sin dal primo sentiva ben egli lo sdegno della ingiustizia straniera, sentiva nel proprio braccio e nel senno la forza di poter ripulsarla; ma non fidò nelle forze proprie di sè solo, non si arrogò autorità, non fomentò prematuramente le ire, non irritò le speranze, non sospinse i deboli incautati sotto il ferro nemico, per crescere a sè diritti, per mettere in mostra i diritti del popolo suo, troppo già manifesti. Siccome un tempo il suocero nella solitudine e nella contradizione, Otoniele tenne ferma la credenza e i propositi propri; aspettò la salute, l’aspettò non inerte e non baldanzoso. E il dì della salute venne; e senza ch’egli con grida o con maneggi o con promesse attragga a sè gli occhi degli accorati speranti, gli occhi tutti si volgono a un tratto in lui, tutte le voci lo acclamano capitano.
Si trovò non eletto per carpiti suffragi, ma fatto: assunse la datagli potestà con arbitrio di guidare le cose a suo senno: non presumette l’arbitrio, e non ne abusò. Quel Dio che suscita dalle pietre i suoi credenti, suscita dalle tenebre i salvatori del popolo suo; il Creatore li crea.
Combattettero; lo straniero fuggì. Otoniele rimase giudice della nazione liberata, non dittatore, nè re. Giudicare, ne’ tempi antichi, era il medesimo che governare: e in verità, chi non giudica, non governa; e chi può mutare la legge o contrapponendole nuove leggi che la infermino, o infermandola nell’eseguirla a capriccio, costui, comunque si nomini, è più che re. Ma ne’ popoli sani e in paese non vasto è giudice in assai cose il governante supremo; applicando e facendo eseguire la legge, la sente maggiore di sè; egli è il primo dei sudditi. Ond’è che la potestà d’Otoniele, la quale, dopo il giogo scosso, pareva soprapporsi all’ordinaria potestà, non turbava punto le istituzioni patrie, era piuttosto sanzione di quelle.
Or notate altra singolarità che fa essere Càleb, l’uomo della generosa speranza, ancora più grande a’ miei occhi. Giosuè, il suo compagno di fede, è il capitano prescelto; Otoniele, il suo genero, ha la suprema potestà in Israello; Càleb non è nulla, altro che un cittadino.