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perchè tutto s’ignora di lui fuorchè questo, dell’essere stato per ott’anni oppressore del popolo d’Israello. Ed era pure misericordia il non permettere che fratelli soggiogassero fratelli; non solo acciocchè il giogo straniero più presto li riscuotesse e stringesse in concordia animosa, ma acciocchè non rimanessero in mezzo a loro gli odii e i rancori, fomite perpetuo d’intestina maledizione. Perchè l’oppressione fraterna è più di tutte intolleranda: e lo stesso benefizio, apportato senza viscere di carità, rende sembianza d’oltraggio.

Dico che ott’anni durò l’invasione, straniera: ma Dio, pietoso alle preghiere de’ migliori e al ravvedimento dei più, suscitò un salvatore; il salvatore fu il genero appunto di Càleb, Otoniele. Sin dal primo sentiva ben egli lo sdegno della ingiustizia straniera, sentiva nel proprio braccio e nel senno la forza di poter ripulsarla; ma non fidò nelle forze proprie di sè solo, non si arrogò autorità, non fomentò prematuramente le ire, non irritò le speranze, non sospinse i deboli incautati sotto il ferro nemico, per crescere a sè diritti, per mettere in mostra i diritti del popolo suo, troppo già manifesti. Siccome un tempo il suocero nella solitudine e nella contradizione, Otoniele tenne ferma la credenza e i propositi propri; aspettò la salute, l’aspettò non inerte e non baldanzoso. E il dì della salute venne; e senza ch’egli con grida o con maneggi o con promesse attragga a sè gli occhi degli accorati speranti, gli occhi tutti si volgono a un tratto in lui, tutte le voci lo acclamano capitano.

Si trovò non eletto per carpiti suffragi, ma fatto: assunse la datagli potestà con arbitrio di guidare le cose a suo senno: non presumette l’arbitrio, e non ne abusò. Quel Dio che suscita dalle pietre i suoi credenti, suscita dalle tenebre i salvatori del popolo suo; il Creatore li crea.