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Combattettero; lo straniero fuggì. Otoniele rimase giudice della nazione liberata, non dittatore, nè re. Giudicare, ne’ tempi antichi, era il medesimo che governare: e in verità, chi non giudica, non governa; e chi può mutare la legge o contrapponendole nuove leggi che la infermino, o infermandola nell’eseguirla a capriccio, costui, comunque si nomini, è più che re. Ma ne’ popoli sani e in paese non vasto è giudice in assai cose il governante supremo; applicando e facendo eseguire la legge, la sente maggiore di sè; egli è il primo dei sudditi. Ond’è che la potestà d’Otoniele, la quale, dopo il giogo scosso, pareva soprapporsi all’ordinaria potestà, non turbava punto le istituzioni patrie, era piuttosto sanzione di quelle.

Or notate altra singolarità che fa essere Càleb, l’uomo della generosa speranza, ancora più grande a’ miei occhi. Giosuè, il suo compagno di fede, è il capitano prescelto; Otoniele, il suo genero, ha la suprema potestà in Israello; Càleb non è nulla, altro che un cittadino.


E pure il nome di Càleb sta più alto e più splendido che il nome di molti condottieri e reggitori di popoli, nella storia d’Israello, in una cioè tra le più memorande che conservi l’umana famiglia. E com’acqua che, scendendo da altezza sublime, penetra per vie segrete, e riascende non vista, e deriva a un tratto all’aperto da un’altra altezza di fronte; così questo nome, trapassando di generazione in generazione per la storia de’ giudici e de’ re, risuona sul labbro di Matatia moribondo, come augurio di benedizione e di vita. La mano di Mosè, lo scrive nel Pentateuco; ed ecco lo rileggiamo, come memoria