Esempi di generosità proposti al popolo italiano/Il vincitore dolente
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Passato il primo dispetto del vedersi con diffidenza rigettato dal campo de’ Filistei, Davide rientrando in sé stesso, avrà senza fallo benedetta la loro diffidenza che lo salvava dalla vergogna di combattere contro Gionata suo fratello, e contro la nazione sua madre. E quando i Filistei erano per venire con Israello alle prese, il cuore di Davide avrà pensato con tremore e con rimorso ai capelli insanguinati di Saul, al petto ferito di Gionata, alle morti di coloro che tante volte avevano in sua compagnia incontrata la morte. Bramava andare a soccorrerlo: ma Israello lo avrebbe, dopo la sua fuga tra’ Filistei, temuto nemico, e sempre più confusosi nello sgomento. Vinsero i Filistei: si sbandò per la china del monte l’esercito d’Israello. I feriti barcollavano come uomini presi dal vino; e precipitavano alfine, misero inciampo agli altri fuggenti. Perirono, combattendo, i figliuoli di Saul, Abinadab, e Melchisia, e Gionata il valoroso: che tutti e tre con le loro schiere accorrevano or qua or là intorno al padre, come madre intorno ai figliuoli; bramando d’aver cento vite ciascuno da spendere per quella così cara vita. Gionata morì benedicendo Iddio che tra le armi nemiche non avesse mai avuto a rincontrare il petto di Davide; morì lieto quasi di non vedere l’ultima rovina de’ suoi senza poterne alleviare l’ambascia.
Uccisigli i tre figliuoli, tutto lo sforzo della battaglia, come sasso che dal cadere piglia impeto, piombò contr’esso. Una schiera di saettatori valenti lo incalzan; e il suo scudo era grave di frecce confitte: seminata di dardi la terra. Il re, ferito, non poteva più combattere nè ritirarsi. Allora chiamò il suo scudiero: «Prendi la tua spada, uccidimi; non venga il nemico a fare strazio e scherno di me». Ma lo scudiero non volle; e la pietà col terrore l’aveva come tratto di sè. Allora Saul diè di piglio alla spada, e le s’abbandonò sopra con tutta la persona. Lo scudiero, vedendo cadere il signor suo, disperato volse il ferro in sè stesso.
E’ poteva e doveva serbarsi per dar prova di fedeltà e di valore ai sopravviventi della regia disgraziata famiglia, abbisognante ormai della misericordia de’ più miseri tra’ suoi servi.
Poteva Saul volgere il pensiero agli anni passati, coprire i suoi torti col pentimento; poteva innalzare gli occhi al cielo, e, soffrendo questo scorno come ammenda de’ suoi folli orgogli, sperare nel Re ch’è Signore vero, pio non meno che grande. Ma l’orgoglio l’aveva come rannicchiato in sè e non pensava a tanti innocenti morti, a tanto pericolo del popolo datogli in custodia da Dio; non sentiva che sè.
Que’ del popolo d’Israello, ch’erano di là dal Giordano, al vedere la strage e la rotta, abbandonarono le loro città, nelle quali i Filistei fecero impeto. Il giorno dopo tornarono essi Filistei sul monte di Gelboe per ispogliare gli uccisi; e, trovato Saul e i suoi tre figliuoli, tagliarono il capo di Saul, e spogliarono delle armi il corpo; e per tutto il paese mandarono della vittoria novelle. L’armatura posero in un tempio degl’idoli loro; lasciarono appiccati a un muro il cadavere suo e de’ suoi figli. Quand’ebbero udito ciò gli abitanti di Jabes in Galaad, e quel che il nemico fece dell’infelice re che li aveva un tempo soccorsi valentemente; i più coraggiosi tra loro, tutti d’accordo si misero in via, camminarono la notte, e presero il cadavere di Saul, e i cadaveri de’ suoi figliuoli, dal muro di Retsan, e tornarono a Jabes, e li seppellirono nella foresta; e, come ho detto, con pubblico lutto digiunarono sette dì.
Erano due dì che Davide, ritornato da Siceleg, se ne stava ignaro de’ fatti accaduti: quand’ecco, il terzo dì, venire dal campo di Saul un uomo con le vesti stracciate, e tutto polveroso i capelli e, giunto, a Davide gli s’inchinò fino a terra. «Di dove?». - fa Davide; quegli: «Dal campo d’Israello». Davide a lui: «Che c’è? dimmelo». E l’altro: Israele è in fuga; morti di molti. Anche Saul e Gionata, morti». Davide, attonito alla novella, e non credendo ancora, domanda: «Come lo sai?» Risponde: «Venivo per caso dal monte di Gelboe: e Saul, abbandonatosi con tutto l’empito della persona sulla sua spada, e trafittosi, combatteva con la morte in tristo modo a vedere. E i carri e i cavalieri nemici sentivansi già. Nel dibattersi, e’ volge gli occhi, e vede me che passavo guardandolo con terrore; e mi chiama. Rispondo: eccomi. Dice: Chi sei tu? E io a lui: Io sono un Amalecita. Allora mi dice: Vieni e finiscimi. Ho angoscia di morte e sento tutta la vita in me. Andai, e gli rifissi la spada, e l’uccisi perchè sapevo che già e’ non sarebbe potuto vivere dopo quella rovina. E presi la benda di re, ch’egli aveva intorno al capo; e l’armilla del braccio, e l’ho portata, signore, (eccola), a voi». Davide non diede mente a cotesto; ma, come le parole di quell’uomo si approssimavano alla morte di Saul, così Davide si mutava tutto in volto; e prese a stracciarsi le vesti di dosso, e levò grido di pianto co’ suoi più fidati, e digiunò fino a sera dal dolore sopra Saul e sopra il figliuolo di lui, e sopra il popolo del Signore, e sopra la famiglia d’Israello umiliata, e tanti prodi periti di spada. Il dolore del caro suo Gionata abbracciava anco il padre; e la pietà del popolo per cui Davide aveva combattuto tanti anni, copriva, quasi gran manto, la testa del re suo nemico. Poi, le anime non cattive si commuovono sui caduti, per cattivi che siano; e pensano con terrore alle vicende umane, e a’ giudizi di Dio, che vengono or come messaggero notturno, ora come guerriero che armato sfida a battaglia l’anima sprovvista. La qualità della morte lo conturbava di spavento; in pensare alle lunghe ambasce dell’agonia, a quel combattere di tutta intera la morte in corpo robusto e in un ispirito presente a’ proprii danni e rimorsi.
Davide, richiamato ch’ebbe il giovane messaggero, e con ansietà veloce interrogatolo d’altri particolari della battaglia, domandò: «Di che luogo sei tu?». Il quale rispose: «Sono figliuolo d’un Amalecita, di lontano di qui». E Davide dice a lui: «Perchè non hai tu temuto di metter mano a uccidere il consacrato da Dio?». Chiamò Davide uno de’ suoi e comandò che uccidesse l’Amalecita, e: «Il tuo sangue, disse, sia sopra il tuo capo; chè la tua bocca ha dato la tua sentenza, dicendo: Al consacrato da Dio diedi morte». La morte dell’uccisore non faceva già vivere Saul, nè Gionata il buono; ma a que’ tempi era molto frequente la pena del sangue, la quale, col procedere del vero sentimento cristiano tra’ popoli della terra, andrà sempre più diradando. Il sole del cristianesimo risplende inestinguibile in alto; ma le nubi e le nebbie della terra, e il fumo, l’offuscano agli sguardi nostri; e coloro che stanno sepolti in valle profonda, lo vedono tardi e poco; e non pochi chiudono gli occhi e le finestre per non ne scorgere il dolce lume. A Davide dolse e la novella e il tristo servile modo come quell’Amalecita nemico glie la recò; il quale sperava premio e dell’annunzio e del fatto; e, portando a lui la benda reale del capo di Saul, pareva dire: «Io ho fatto cosa a voi cara, a uccidere il vostro nemico». E così segue nel mondo: che vi recano il male altrui come imbandigione squisita; ve l’annunziano perchè credono che ci abbiate piacere e, adulando tanto crudelmente, vi umiliano e addolorano a fondo. L’Amalecita s’era come gloriato dell’aiuto accordato a Saul a morire; e di questo principalmente intese Davide fargli portare la pena.
Or, perchè il canto degli uomini ispirati da affetto è naturale sfogo del dolore ancora più che dell’allegrezza, Davide, poeta grande, fece una canzone che piange di Saul e di Gionata; e volle che il popolo la apprendesse e cantasse; che diceva così: «Pensa, Israello, a coloro che trafitti morirono sulle tue cime. I prodi d’Israello furono sulle montagne tue uccisi. Deh come caddero i forti! Non lo dite in Get, non ne spargete novella per le vie d’Ascalona; che non gioiscano le figlie de’ Filistei, le figlie degli impuri non n’abbiano a menare vanto. O monti di Gelboe, nè rugiada nè pioggia venga su voi; di primizie sian poveri i vostri campi: perchè quivi cadde lo scudo de’ forti, lo scudo di Saul, come se cosa sacra non fosse. Da’ robusti petti nemici non rimbalzò mai a vuoto la saetta di Gionata; non ne ritornò mai digiuna la spada di Saul. Saul e Gionata, cari e degni d’amore in vita non li divise la morte più veloci delle aquile, forti più de’ leoni. Oh figlie d’Israello, piangete di Saul che vi vestiva di vermigli panni delicati, e adornava di vezzi d’oro. Come caddero i forti in battaglia! Gionata sulle alture tue giacque morto. Mi duole di te, mio fratello, gentile tanto, degno d’amore sopra ogni più grande amore. Come caddero i forti, e si spersero l’armi possenti di guerra!».
Quando fu Davide riconosciuto per re di Giuda, gli vennero a dire come gli uomini di Jabes in Galaad avessero dato sepoltura pia a Saul e a suoi figli. E chi gliene disse, credeva forse provocare su questa eletta gente lo sdegno del re novello; perchè quel ch’è fatto ad onore de morti, taluni lo prendono come onta de’ vivi. Davide, riconoscente a quelli di Jabes che operarono verso Saul come verso padre diletto, e verso Gionata come fratello; e onorandoli in suo cuore, che in mezzo alla fuga e alla paura comune fosse corsi, come famelici al cibo, al pericolo, per memoria d’un antico benefizio, e per compassione di chi non poteva più rendere loro nel mondo vantaggio nessuno: Davide mandò messaggi agli uomini di Jabes in Galaad, e disse loro: «Benedetti voi dal Signore che avete usata questa carità gentile a Saul, signor vostro, e onoraste le spoglie sue di sepolcro. Certo che Dio vi renderà merito di questa giustizia misericordiosa; ma dell’atto pio vi renderò guiderdone anche Davide».
Domanderà forse taluno chi è avvezzo a sospettare il male laddove appare il bene, e che getta via il liquido puro per vederne e assaggiarne la posatura come delizia, domanderà: Era egli sincero cotesto dolore di Davide? Io dico che sì. Come, quando l’uomo patito dal freddo, comincia a scaldarsi, allora si risente del freddo che sta per fuggire, e nuovi brividi gli ricercano tutta la persona; come, quando l’ammalato ricomincia a riaversi, e allora più che mai sente l’abbattimento del male che passa; così gl’infelici, quando la condizione loro sta per mutare, si rappresentano tutti in un fascio i patimenti ch’egli hanno patiti; e si conturbano delle passate disavventure, più forse che quando ne ricevono le percosse a una a una. Nel dolore di Davide si congiungeva non solo la pietà del suocero morto, la pietà di Gionata, di quel dolce amico che gli aveva salva la vita, e col santo affetto accompagnatagli la fuga e la solitudine; ma s’aggiungeva la memoria de’ proprii dolori tanti, che confusi gli si rimescolavano nell’anima, come turbine che allora spira più forte quand’ha a sbrattare le nuvole e tornare il cielo sereno.
Un altro pensiero doveva a Davide far più tetro l’avvenimento al regno: dico la misera fine del povero re d’Israello, l’esito vergognoso al quale riuscirono tante superbie e prepotenze. E sempre, anche dopo, al passare da Jabes in Galaad, al vedere di lontano le montagne di Gelboe, una voce di minaccia si sarà fatta sentire all’anima del re novello, quasi campana di morto in un giorno di nozze, quasi nuvola di occidente che annunzia domani burrasca. E chi sa che, mentre Davide, abbagliato da’ fumi regii, peccava innanzi al Signore e al popolo suo, chi sa che l’imagine della cruda morte di Saul non l’abbia rattenuto sul pendio della rovina, e fattogli più acuto il rimorso, il pentimento fervente di più santo dolore? Nella povera virtù dell’uomo, quanto possa il timore della pena e la speranza del premio, chi sa altri che Dio? Chi misura gli abissi de’ cuori? Più facile discernere, nel fondo dell’oceano sterminato, il masso che per terremoto balza su quasi montagna (e pur l’acque lo coprono), e il minuzzolino d’arena, e il mostro che ingoia i pesci a mille, e gl’insetti de’ quali un milione passeggia in un gocciolo d’acqua come in gran regno; più facile che nel cuor dell’uomo leggere ne’ profondi del mare, ne’ profondi del leggere come in libro aperto. Ma non neghiamo al cuore dell’uomo, o fratelli, la potenza delle opere generose. Non domandiamo: era egli sincero il dolore di Davide nella morte di Saul e di Gionata? Domandiamo: Questo dolore sincero, era egli nobile e bello? E il nostro cuore, e la coscienza di tutta l’umanità, come odore e concento che s’alza sull’alba dalla terra al cielo dirà: Sì, egli era un dolore nobile e bello. Dunque facciamo noi il simile; sappiamo gioire del bene altrui, ancorchè con incomodo nostro; sappiamo dolerci nel bene nostro s’egli è danno dolore ai nostri fratelli, e fossero pure nostri nemici.
Erano i profeti nel popolo d’Israello uomini autorevoli per buona vita che non in nome di tale o tale partito, ma in nome di Dio, annunziavano e al popolo e a’ governanti parole talvolta spiacevoli, ma necessarie a sentire, acciocchè fosse posto rimedio al male fatto, e riparo ai mali imminenti. Non parlavano neanco in nome de’ sacerdoti, giacchè molti di questi profeti non erano sacerdoti: ma perchè il loro linguaggio riconoscevano puro di passione, lo ascoltavano, benchè non sempre senza corruccio e, sin nel perseguitare i profeti, li temevano ancorchè inermi, anzi più che se avessero in buon numero gente di spada e di lancia.
Un di questi uomini, di nome Natan, si presenta un giorno a Davide re, vincitore di molti nemici e sicuro della propria potenza, e gli dice così: «C’era due uomini in una città; ricco l’uno, e contava assai pecore e buoi; l’altro poveretto, e di suo non aveva che una pecorella, compra co’ quattrinelli delle proprie fatiche, e allevata in casa, come se fosse una sua creatura: e le dava del pane che mangiavano i figliuoli suoi proprii; e la pecorella posava nel seno di lui, e belando andava dietro a’ suoi passi. Càpita in quella città un forestiero da quel signore che aveva tante bestie di suo, da far buona tavola al forestiero. Costui che fa? Piglia all’uomo poveretto la sua pecorella, e gliela sgozza senza pietà».