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la fuga e la solitudine; ma s’aggiungeva la memoria de’ proprii dolori tanti, che confusi gli si rimescolavano nell’anima, come turbine che allora spira più forte quand’ha a sbrattare le nuvole e tornare il cielo sereno.
Un altro pensiero doveva a Davide far più tetro l’avvenimento al regno: dico la misera fine del povero re d’Israello, l’esito vergognoso al quale riuscirono tante superbie e prepotenze. E sempre, anche dopo, al passare da Jabes in Galaad, al vedere di lontano le montagne di Gelboe, una voce di minaccia si sarà fatta sentire all’anima del re novello, quasi campana di morto in un giorno di nozze, quasi nuvola di occidente che annunzia domani burrasca. E chi sa che, mentre Davide, abbagliato da’ fumi regii, peccava innanzi al Signore e al popolo suo, chi sa che l’imagine della cruda morte di Saul non l’abbia rattenuto sul pendio della rovina, e fattogli più acuto il rimorso, il pentimento fervente di più santo dolore? Nella povera virtù dell’uomo, quanto possa il timore della pena e la speranza del premio, chi sa altri che Dio? Chi misura gli abissi de’ cuori? Più facile discernere, nel fondo dell’oceano sterminato, il masso che per terremoto balza su quasi montagna (e pur l’acque lo coprono), e il minuzzolino d’arena, e il mostro che ingoia i pesci a mille, e gl’insetti de’ quali un milione passeggia in un gocciolo d’acqua come in gran regno; più facile che nel cuor dell’uomo leggere ne’ profondi del mare, ne’ profondi del leggere come in libro aperto. Ma non neghiamo al cuore dell’uomo, o fratelli, la potenza delle opere generose. Non domandiamo: era egli sincero il dolore di Davide nella morte di Saul e di Gionata? Domandiamo: Questo dolore sincero, era egli nobile e bello? E il nostro cuore, e la coscienza di tutta l’umanità, come odore e concento che s’alza sull’alba dalla terra al cielo