Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 192
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AL CONTE DI FONDI (d).
I. Descrivendo le qualità tlella vigna fleti’anima nostra, esorta il conte ad esser bnon lavoratore di essa.
II. Dell’ amor- proprio col quale i demonj rendono sterile e salvafica la detta vigna.
IIL Che non solo siamo tenuti coltivare la vigna dell’ anima prò* pria, ma anco quella de’ nostri prossimi.
IV. Tenta persuaderli a credere che Urbano VI sia il vero pon-, tefice, e per ciò non voglia più perseguitarlo, pe’danni chò ne risultano a lui ed alla santa Chiesa.
V. Che dobbiamo aprire la porta dell’anima nostra a Gesù Cristo, vero lavoratore di questa vigna. Al nome di Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.
I. ilarissimo padre e fratello in Cristo dolce Jesù.
Io Caterina, schiava de’servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi vero lavoratore nella vigna dell’ anima vostra, acciocché rapportiate il molto frutto al tempo della ricolta, cioè nel tempo della morte, nel quale ogni colpa è punita ed ogni bene è rimunerato. Sapete che la Verità eterna creò noi all’immagine e similitudine sua, di noi fece suo tempio, dove egli vuole abitare per grazia, se piace al lavoratore di questa vigna di lavorarla bene e drittamente; che se ella non fusse lavorala, ma abondasse di spine e di pruni, già non sa249 rebbe da abitarvi. Or vediamo, eaiissimo padre, cbe lavoratore ci ha posto questo maestro. Acci posto il libero arbitrio, in cui è commessa tutta la governazione.
Ecci la porta della volontà, che neuno ò che la possa aprire o serrare, se non quanto il libero arbitrio vuole. Acci posto il lume dell’ intelletto, per cognoscere gli amici ed i nemici che volessero entrare e passare per la porla, alla qual,porta è posto il cane della coscienzia che abbaja quando gli sente apparire, se egli è desto e non dorme. Questo lume ha discerto e veduto il frutto, traendone la terra, acciò ch’el frutto rimanga netto,.e mettelo nella memoria, la quale è un- granajo, ritenendovi il ricordamento de’beneticj di Dio. Nel mezzo della vigna ha posto il vasello del cuore pieno di sangue per innaffiare con esso le piante, acciocché non si secchino. Or così dolcemente è creala e ordinata questa vigua, la quale anco dicemmo, che era tempio di Dio dove esso abita per grazia.
II. Ma jo m’aveggo ch’il veleno dell’amor proprio e del perverso sdegno ha avvelenato e cori otto questo lavoratore, intanto che la vigna nostra è tutta insalvatichita, o egli ci è frutto, che ci dà fruito di morte, o egli ci sono salvatichi e acerbi, perocché i seminatori rei delle dimonia visibili ed invisibili, passarono per la porta della volontà, gl invisibili per la porla delle molte cogitazioni e varie; e li visibili con laidi e malvagi consigli, sottraendoci con parole finte, e doppie e piacentieri, e con malvagi costumi dalla verità; di quello seme che essi hanno in loro, di quello porgono a noi; seminandolo col libero arbitrio nacquene frutto di morte, cioè di molti peccati mortali. O quanto è laida quella misera vigna a vedere, che di vigna è fatta bosco con le spine della superbia e dell’ avarizia, e co’pruni dell’ira, e dell impazienzia e disobbedienzia, piena d’erbe velenose; di giardino è fatU stalla, dilettandoci noi di stare nella stalla dell’ immondizia.
Questo nostro giardino non è chiuso, ma è aperto, e però i nemici de’vizj e delie dimonia v’entrano come .21)0 in loro abitazione. La fonte è risecca, eh* è la grazia la quale ’trassemo del santo battesimo in virtù del sangue, il qual sangue bagnava, essendone pieno il cuore per affetto d’ amore. Il lume dell’ intelletto non vede altro cbe tenèbre, perchè è privato del lume della santissima fede, non vede nè cognosce altro che amore sensitivo; di questo empie la memoria, onde altro ricordamento non ha, nè può avere, mentre che sta così, se non di miseria con disordinati appetiti e de( r ’ u f.* una vigna appresso questa dolce Verità eterna, cioè il prossimo nostro, la quale è unita tanto insieme, che utilità non potiamo fare alla nostra,* che non sia fatta anco alla sua; anco ci è comandamento, che noi la governiamo come la nostra; quando ci è detto: Ama Dio sopra tutte le cose, ed il prossimo come te medesimo. O quanto e crudele questo lavoratore, che sì male ha governata la vigna sua senza nessuno frutto, se non d’alcuno atto di virtù, il quale è sì acerbo, che neuno ò’ che ne possa mangiare; ciò sono le operazioni buone fatte fuore della carità. O quanto è misera qucll’ahima, che nel tempo della morte, il quale è un tempo di ricolta, ella si truova senza veruno frutto; la prova lo fa cognoscere la morte sua, e nella morte cognosce il suo male, e però va v cercando allora d’avere il tempo per poterla governare, e non ha il modo. Lo ignorante uomo credeva poter tenere il tempo a suo modo, ed egli non è così. Adunque è da levarsi nel tempo presente, che ci è prestato per misericordia.
IV. O carissimo padre, vogliate cognoscere in che stato trovate e vedete la vigna vostra. Dogliomi infino alla morte, ch’il tiranno del libero arbitrio v’ha tatto di giardino, ohe gettava esempio di virtù e di verità, e lume di fede, ora T ha pervertilo di giardino in bosco. E che frutto di vita può fare, essendo voi tagliato dalla verità, e fattone perseguitatore dilatare la bugia; trattane la fede e messavi la infedeltà ? E siderj.
III. Acci 25 Iperchè vi fate male di morte? Per l’amore che avete alla propria sensualità, e per sdegno, conceputo contro il capo vostro. E non vediamo noi ch’il sommo Giudice non dorme sopra di noi? Come potete voi fare quello che non dovete fare contra il capo vostro? Come se verità fosse, che papa 1 rbano VI non fosse veramente papa; conciossiacosaché nel segreto del’cuore voi teniate quello che è, cioè che egli è sommo e vero pontefice, e chi altro dice v eretico riprovalo da Dio, non fedele, nè cattolico uomo, ma cristiano rinnegato, che niega la fede sua. Questa doviamo tenere, che è il papa eletto con elezione ordinata e vicario di Cristo in terra, e lui doviamo obbedire infino alla morte. Ed eziandio, se a noi fosse padre crudele, intantochè ci cacciasse con rimproperio dall’un capo del mondo all’altro con ogni tormento, non doviamo però scordarci, nè perseguitare questa verità. E se voi mi diceste; a me è stalo riporto il contrario, che papa Urbano VI non sia in verità sommo pontefice; io vi rispondarei, che io so, che Dio vi ha dato tanto lume, che se voi non vel tollete con la tenebre dell’ ira e dello sdegno, voi cognoscerete che chi il dice, mente sopra il capo suo, e sè medesimi si fanno menzogneri, ritrattando quella verità che hanno portala a noi, e porgonla in bugia. Ben so che cognoscete chi li ha mossi quelli che tenevano luogo di verità posti per dilatare la fede, ora hanno contaminata la fede, e dinnegata la verità, levato, tanto scisma nella santa Chiesa, che degni sono di mille morti; trovarete che non gli ha mossi altro che quella passione che ha mosso voi medesimo, cioè 1’ amor proprio che non potè sostenere la parola, nè reprensione aspra, nè la privazione della terra, ma concepette sdegno e parturi il figliuolo dell’ira. Per questo si privano del bene del cielo essi e chiunque fa contra questa verità. Le ragioni che si possono vedere a manifestazione di questa verità, sono si piane e sì chiare e sì manifeste, che ogni persona bene idiota. le può intendere 252 e vedere, e però non mi distendo a narrarle a voi, che so che sete di buon cognoscimento; e cognoscete la verità di quello che è, e così la tenesté, confessasté e faceste riverenzia. Increscemi che io veda tanto insalvatichita l’anima vostra, che faccia contra questa verità. Come il paté la coscienzia vostra, che voi, il quale sete stato figliuolo obbediente e sovvenitore della santa Chiesa, ora abbiate ricevuto sì fatto seme, che non produce altro che frutto di morte? E non tanto che dia morte a voi, ma pensate a’quanti Sete cagione dell’anima e del corpo/ de’quali vi converrà render ragione dinanzi al sommo Giudice. Non più così per l’amore di Dio: umana cosa è il peccare, ma la perseveranzia nel peccato è cosa di dimonio. Tornale a voi medesimo, e ricogrioscete il danno dell’anima e del corpo, che la colpa non passa impunita, massimamente quella che è fatta conira la santa Chiesa.
Questo sempre s’è veduto; però vi prego per amore del sangue, che con tanto fuoco d’amore fu sparso per voi, che umilmente torniate al padre vostro, che vi aspetta con le braccia aperte con gran benignità per fare misericordia a voi e a chiunque la vorrà ricevere.
Levisi la ragione col libero arbitrio, e cominciamo a rivoltare la terra di questo disordinato e perverso amore, cioè che 1’ affello che è tutto terreno, e d’ altro che di cose transitorie non si vuole nutricare, le quali passano tutte come il vento senza alcuna fermezza o stabilità, diventi celestiale, cercando i beni del cielo, quali sono fermi e stabili, che insù non hanno alcuna mutazione.1 Y. Apriamo la porta della volontà a ricevere il seminator vero Cristo dolce Jesù crocifìsso, il quale porge nélla mano del libero arbitrio il seme della dottrina sua, il quale seme produce i (rutti delle vere e reali virtù, le quali virtù col lume il libero arbitrio ha scelte dalla terra, cioè che le virtù non le ha seminate nè ricolte in sè per’ veruno terreno, amore o piacere umano, ma con odio e dispiacimento di sè 253 medesimo, ne le iia gettate fuore, ed il frullo è riposto nella memoria per ricordamento delli benefìcj di Dio, ricognoscendo d’averli da lui e non per sua propria virtù. Che arbore ci pone? L’arbore della perfettissima carità, che la cima sua s’unisce col cielo, cioè nell abisso della carila di Dio: i rami suoi tengono per tutta la vigna, onde mantengono in freschezza li frutti, perchè tutte le virtù procedono ed hanno vita dalla carità: di che s’innaffia? non d’acqua, ma di sangue prezioso sparso con tanto fuoco d’amore, il qual sangue sta nel vasello del cuore, come dello è, e non tanto che egli ne innaffi questa vigna dolce e dilettevole giardino, ma egli ne dà bere al cane della coscenzia abbondantemente, acciò che fortificato facci buona guardia alla porta della volontà, acciò che niuno passi, che esso non il faccia sentire, destando col grido suo la ragione e la ragione col lume dell’ intelletto ragguardi se sono amici o nimici. Se sono amici, cbe ci siano mandati dalla clemenzia dello Spirito Santo, ciò sono i santi e buoni pensieri, schietti consigli e perfette operazioni, siano ricevuti dal libero arbitrio, disserrando la porta con la chiave dell’ amore. E se sono nemici di perverse cogitazioni, li cacci con la verga dell’odio con grandissimo rimproperio, non si lassino passare se non sieno correlte, serrando la porta della volontà che non consenta a loro. Allora Dio vedendo che il lavoratore del libero arbitrio, il quale egli mise nella vigna sua, ha ben lavorato in sè ed in quella del prossimo suo, sovvenendolo in ciò’che li è stato possibile per dilezione cd affetto di carità, egli si riposa dentro in quell’ anima per grazia; non che per nostro bene a lui cresca riposo, però che non ha bisogno di noi, ma la grazia sua si riposa in noi; la quale grazia ci dà vita, e rivesteci ricoprendo la nostra nudità; dacci il lume e sazia 1 affetto dell’anima, e saziata rimane affamata; dalle il cibo ponendole a mangiare alla mensa della santissima croce; nella bocca del santo desiderio dà il latte della divina dolcezza, 254 pigliando con essa la mirra dell’ amaritudine dell’ offesa di Dio, e dell’amaritudine della croce, cioè delle pene che il Figliuolo di Dio portò; dalle incenso di umili, continue e fedeli orazioni, le quali offra molto festinamente per onore di Dio e salute dell’anime. O quanto è beata quest’ànima; veramente ella gusta vita eterna; ma noi ingrati non.ci curiamo di questa beatitudine; cbe se noi ce ne curassimo, eleggeremmo innanzi la morte, che di voler ’ perdere tanto bene.
Le viamo questa ignoranzia con ogni verità, cercandola in verità audargmo colà dove Dio l’ha posta; che se noi la cercassimo altrove già non la trovaremmo. Detto abbiamo come noi siamo vigna, e.come ella è adornata, e come Dio vuole, che ella sia lavorata. Ora dove ci ha posti? Nella vigna della santa Chiesa. Ine ba posto il lavoratore, cioè Cristo in terra, il quale ci ha amministrare il sangue col coltello della pcnitenzia, la quale riceviamo nella santa confessione, taglia il vizio dell’ anima, nutricandola al petto suo, legandola col legame della santa obbedienzia, e senza questa vigna la nostra sarebbe ruinata; la grandine le torrebbe ogni frutto se ella non fosse legata in questa obbedienzia. Adunque vi prego che umilmente con grande sollicitudine. torniate a questo giogo. Cercate il lavoratore e la vigna dell’ anima vostra nella vigna della santa Chiesa, altramente sareste privato d’ ogni bene e cadereste in ogni male. Ora è il tempo, per l’amore di Dio escite di tanto errore, f che passato il tempo non c’è più rimedio; tosto ne viene la morte, che 4noi non ce n’ avvediamo, e se ci. ritroviamo nelle mani del sommo giudice, duro ci è a ricalcitrare a lui. Son certa, che se sarete vero lavoratore della vigna vostra, voi non iudugiarete più a tornare; ma con grande umiltà ricognoscerete le colpe vostre dell’offesa di Dio, chiedarcte di grazia al padre, che vi rimetta nell’ ovile suo, altramente 110. E però vi dissi, ch’io desideravo di vedervi vero lavoratore nella vigna dell’ anima vostra, e così vi prego slret255 tamente quanto so e posso. Ragguardate che l’occhio di Dio è sopra di voi; non aspettiamo il suo flagello, che egli vede lo intrinseco del cuore nostro. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Perdonatemi se troppo v’ ho gravato di parole, che 1 amore eh’ io ho alla salute vostra, e il dolore di vedervi offendere Dio e 1 anima vostra n’è cagione; e non ho potuto tacere, eh io non vi dica la verità. Jesù dolce, Jesù amore.
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I 256 Annotazione alla, Lettera 192.
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(A) II conte di Fondi, cui fu scritta questa lettera, era Onorato Gaetaui, signore per nobiltà e stato assai riguardevole nel reame di Napoli. La contea di Fondi, che s’attiene alla provincia detta in oggi Terra di Lavoro, sta a’confini dello Stato della- Chiesa.
Urbano VI levò a questo conte il possesso di Fondi e della città di Anagni, e diedelo a Tomaso S. Severino conte di Alarsico, gran contestabile del reame di Napoli; onde corrucciato il conte di Fondi, accolse i cardinali scismatici, e per viva forta si sostenne contro Urbano, e favorì gli scismatici fino alla sua morte nel 1400.