Edgar Allan Pöe/La vita e le opere/II
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II.
Sopra siffatte basi, con quasi assoluta certezza di verità, può essere così riassunta la vita del nostro autore, lunga odissea di traversie e di tristi avventure:
Pöe discendeva da una nobile famiglia irlandese emigrata in America. L’avo suo, Davide, col titolo di Quartier Mastro Generale, prese parte alla rivoluzione americana e fu amico di Lafayette. Il di lui primogenito, pure di nome Davide, il padre di Edgardo, era stato destinato all’avvocatura.
Per affari essendosi recato a Norfolk nel Virginia si innamorò di un’attrice inglese, Elisabetta Arnold, e la sposò a 19 anni, nel 1806.
Per questo matrimonio di capriccio Davide Pöe fu bandito dalla famiglia. Si fece allora attore e visse di vita randagia e miserevole.
Elisabetta Arnold era assai bella. Si ha di lei un ritratto che il signor Ingram ha fatto fotografare. Edgardo assomiglia più a lei che al padre, anche per un certo fare teatrale.
Elisabetta ebbe tre figli; Leonardo, che morì a venti anni di stravizi, Edgardo che nacque il 19 gennaio 1809 a Boston, e Rosalia, venuta al mondo tardi, quasi idiota, addottata, alla morte della madre, da una famiglia scozzese e relegata poi in un monastero, dove morì nel 1874.
Per due anni Edgardo condusse la vita errante dei suoi genitori, ma, al principio del 1811, il di lui padre morì di tisi, e nello stesso anno morì pure la madre dello stesso male a Richmond. Un ricco negoziante di quella città, certo signor Allan, addottò l’orfanello.
Dei primi anni di Pöe poco si sa, salvo che fu di una meravigliosa precocità intellettuale.
Condotto, nel 1816, in Inghilterra, dal suo tutore, venne messo alla scuola di Stoke Newington, presso Londra.
Tornò in America nel 1821 e continuò gli studi nell’aristocratico collegio Clarke a Richmond ove ebbe a soffrire il dileggio dei suoi compagni di buona famiglia, che conoscevano la sua nascita; sicchè il suo carattere, già impressionabile a nervoso, ebbe a risentirne.
A 16 anni, robusto e bello, era il primo della sua classe.
Sensibilissimo, si prese allora di amore per una fanciulletta, Miss Elvira Rosster, amore che fu spezzato dalla di lui partenza per l’università di Charlottesville, ove venne inscritto ai corsi di latino, greco, francese, italiano e spagnuolo.
Oltre a ciò disegnava assai bene. Assiduo alla scuola, era però dedito al giuoco. Avendo fatto per due mila dollari di debiti chiese al signor Allan di pagarli. Ricevutone un rifiuto, lasciò Richmond e si recò a Boston ove pubblicò il suo primo libro, un volume di versi che non ebbe successo. Nel giugno 1827, a 18 anni, si recò in Europa. Non si sa che cosa vi fece. Pare volesse recarsi in Grecia a combattere i Turchi, ma egli stesso non volle mai far conoscere come e dove abbia vissuto in quel tempo; solo si sa che nel 1829, due anni dopo la sua partenza, ritornò a Richmond e si riconciliò col signor Allan. Per qualche tempo si fermò in quella città, scrivendo e pubblicando un altro volume di versi, poi entrò nella scuola militare americana di New-Yok.
Poco vi rimase, chè essendo il signor Allan passato a seconde nozze, e perduta la speranza di diventare suo erede, e non volendo, d’altra parte, fare l’ufficiale senza fortuna, si fece cacciare dalla scuola da una corte marziale il 6 marzo 1831.
Visse ancora qualche tempo a New-York, fece una seconda edizione dei suoi versi e visse del prodotto del suo volume. Poi ritornò a Richmond. Il signor Allan, malato, lo cacciò. Pöe lasciò quella casa nè vi tornò mai più.
Da allora si trovò solo, senza posizione, senza denari, senza appoggi. Per due anni probabilmente visse scrivendo qua e là articoli sui giornali.
Nel 1833 era a Baltimora, ove cominciò a pubblicare i suoi Racconti Straordinari sopra Riviste.
Il Manoscritto trovato in una bottiglia gli fece vincere un concorso per novelle di 100 dollari.
Poi cadde nella più squallida miseria. Al direttore del giornale, certo signor Kennedy, che lo aveva invitato a pranzo, scriveva: «Non posso accettare il vostro invito; non ho abiti.» Kennedy lo aiutò, ed egli cominciò a farsi conoscere, ed avendo in quel tempo
trovato a Baltimora una sua zia materna, la signora Clemm, che aveva una figlia, Virginia, sposò questa fanciulla, di soli quindici anni, nel maggio del 1836.
Ma poco tempo dopo la grande tortura di Pöe, quella che avvelenò tutta la sua esistenza, la mancanza di denaro, ricominciò.
Lasciò l’impiego e girò pel mondo sempre scrivendo e sempre miserabile, colla sposa e colla suocera. Nell’estate del 1837 era a New-York dove la signora Clemm teneva una pensione. Ivi capitò un libraio, il signor Govvans, che gli procurò qualche lavoro. Nel 1838 potè pubblicare le Avventure di Arturo Gordon Pym che ebbero un grande successo letterario, ma un meschino profitto materiale.
Lasciò New-York ed andò a Filadelfia, ove collaborò in parecchie riviste e scrisse i suoi migliori lavori: nel 1839 la Casa Usher, nel 1840 L’uomo delle folle, nel 1841 L’omicidio di via della Morgue e molti lavori critici, nel 1842 Eleonora, Maria Roget ed altri; vinse, nel 1843, un nuovo concorso di cento dollari collo Scarabeo d’oro. Continuò così scrivendo su giornali letterari, procurando grandi vantaggi ai giornali stessi ed ai loro editori, ma trovandosi sempre senza un soldo.
Crea riviste, istituisce un concorso permanente di criptologia, pubblica trattati scientifici, critiche di un valore inestimabile, ed è costretto ad elemosinare, dall’avidità degli editori, un salario umiliante.
Irritato, la sua critica diventa sarcasmo, la sua discussione ingiuria.
Flagella i plagiari, osa lodare Tennyson e Brownig allora sconosciuti.
Scrive, scrive, scrive, si fa conoscere ed ammirare, specialmente come critico profondo ed originalissimo, ma si crea un mondo di nemici e si compromette irreparabilmente.
Una sventura che colpisce la sua sposa, che egli amava appassionatamente, finì di rovinarlo.
Un giorno alla povera donna si ruppe una vena nel petto, ciò che la rese malata per parecchi anni, sino a che morì, tisica, il 30 gennaio 1847.
Pöe non aveva allora di che sfamarsi. Fu la carità pubblica che gli fornì un lenzuolo per avvolgervi la sua morta.
Egli la idolatrava. In Annabel Lee, la più inspirata, la più soave delle sue poesie, la ricorda in versi che resteranno immortali e le scioglie un desolatissimo requiem.
Molti e molt’anni or sono, in un paese vicino al mare,
viveva una gentil che non s’intese
chiamare che Anna Lé
e la fanciulla non avea a pensare
che ad esser da me amata e ad amar me!
Ed Ella era una bimba, e un bimbo er’io
in quel paese arcan, vicino al mare;
pur noi ci amammo di un amore più
ardente d’ogni amore, io ed Anna Lé!
tanto che di lassù,
gli angeli stessi e i chèrubi di Dio
osarono invidiare
la nostra fè!
E questo fu il perchè, tanti e tant’anni
or sono in quel paese presso al mare,
un vento scese da una nube e uccise
la mia soave e tenera Anna Lé!
così che i suoi parenti
un giorno me la vennero a pigliare
per metterla a dormir fra due battenti
in un sepolcro lungi assai da me.
Il lungo periodo della malattia della moglie fu terribile per Pöe. Le alternative di miglioramento e di peggioramento si succedevano; e mentre nei giorni di speranza egli scriveva i suoi capolavori; nei giorni cattivi dell’incertezza, del bisogno, del dolore, della svogliatezza, cadde nella terribile sua infermità: l’alcool.
Sono strazianti le parole colle quali egli descrive questa sua follia, e la giustifica:
«Io sono di costituzione eccitabile, sono nervoso ad un punto estremo. Divengo pazzo con degli intervalli di orribile lucidità.
«In questi accessi incoscienti io bevo; i miei nemici danno ragione della mia pazzia all’ebbrezza e non dell’ebbrezza alla pazzia. Ed è giusto!»
Nel 1844 lasciò Filadelfia. Tornò a New-York, ove, per colmo di sciagura, s’ammalò. Dopo una lunga convalescenza tornò a scrivere e parve, per qualche tempo, che gli affari suoi prendessero una miglior piega.
Riusci a fondare un giornale Il Broadway Journal, e diede conferenze, recandosi per ciò anche in altre città e facendosi ognor più conoscere.
Ma la forma aggressiva dei suoi discorsi gli fece perdere il frutto d’ogni suo lavoro.
Anche la pubblicazione di parte dei suoi Marginalia che fece nel 1845, cooperò a renderlo inviso a molti, che si vedevano colpiti dalle frecciate della sua critica potente.
Nel febbraio di quell’anno fece stampare il suo capolavoro in versi, Il Corvo, che produsse un effetto enorme.
Ma il giornale non potè essere continuato e l’effimera agiatezza scomparve, lasciando luogo alla solita desolante miseria; e, come si disse, nel 1847, alla morte della moglie, Pöe non aveva letteralmente di che sfamarsi.
Morta la moglie, egli stesso cadde malato e visse a lungo della carità cittadina.
La sua salute era minata. Rimessosi alquanto, riprese a scrivere, sperando di potere di nuovo fondare una Rivista, ciò che fu il sogno di tutta la sua vita.
Non riuscì, ad onta che all’uopo tenesse una conferenza a New-York.
Un editore gli pubblicò l’Eureka, poema cosmogonico in prosa, trattato di astronomia trascendentale, che non interessò il pubblico.
Intanto la sua salute deperiva ognor più, sicchè ripiombò nel vizio del bere, e visse una vita miserevole senza scopo e senza affetti.
Nel 1848 chiese la mano di una signora, Witmann, ricca vedova, che lo stimava assai, e che forse avrebbe acconsentito a divenirgli moglie.
Ma in seguito a qualche bisticcio, Pöe, addolorato, ricorse al suo ordinario provveditore di forze morali, all’alcool, e dopo aver passato una notte nell’orgia, esaltato sino al delirio, si presentò alla signora come un pazzo.
La signora Witmann lo fece ricoverare e del matrimonio non si parlò più.
Pöe tornò al suo ritiro di Fordham, un piccolo villaggio ove già era stato durante la sua malattia e dove appunto gli era morta la moglie.
Là scrisse qualche novella (nel 1849 Cottage Landor e Hop-frog) e continuò i Marginalia, e continuò pure a bere.
Fu nuovamente e gravemente malato.
Il 30 giugno di quell’anno 1849, ripreso dalla mania di fondare una Rivista, quantunque malandato in salute, partì nell’intendimento di tener conferenze per procurarsi i fondi necessari.
Non si conoscono i particolari di quest’ultimo suo viaggio.
Pare sia stato a Filadelfia e che vi si sia ubbriacato, che abbia avuto accessi di delirio. Poi fu certo a Richmond, ove pure s’ubbriacò, correndo pericolo di morte.
Lasciò Richmond ammalatissimo e si portò a Baltimora.
Forse colà ricorse nuovamente all’alcool, fatt’è che il 7 ottobre fu raccolto, dai passanti, inanimato sopra un banco della passeggiata pubblica di Baltimora e portato all’ospedale ove morì nella notte, colpito da congestione cerebrale.
Due giorni dopo fu sepolto nel cimitero di quella città.
Il di lui zio, William Pöe, gli fece porre una semplice pietra tumulare che rimase nuda ed obliata sino al 1875.
Ma in quell’anno al povero grande artista, che era morto in mezzo alla via, fu eretto un monumento con brillante cerimonia!