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ad elemosinare, dall’avidità degli editori, un salario umiliante.

Irritato, la sua critica diventa sarcasmo, la sua discussione ingiuria.

Flagella i plagiari, osa lodare Tennyson e Brownig allora sconosciuti.

Scrive, scrive, scrive, si fa conoscere ed ammirare, specialmente come critico profondo ed originalissimo, ma si crea un mondo di nemici e si compromette irreparabilmente.

Una sventura che colpisce la sua sposa, che egli amava appassionatamente, finì di rovinarlo.

Un giorno alla povera donna si ruppe una vena nel petto, ciò che la rese malata per parecchi anni, sino a che morì, tisica, il 30 gennaio 1847.

Pöe non aveva allora di che sfamarsi. Fu la carità pubblica che gli fornì un lenzuolo per avvolgervi la sua morta.

Egli la idolatrava. In Annabel Lee, la più inspirata, la più soave delle sue poesie, la ricorda in versi che resteranno immortali e le scioglie un desolatissimo requiem.

               Molti e molt’anni or sono, in un paese vicino al mare,
          viveva una gentil che non s’intese
          chiamare che Anna Lé
          e la fanciulla non avea a pensare
          che ad esser da me amata e ad amar me!