Dracula/XIII
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CAPITOLO XIII.
Giornale del Dottor Seward.
26 settembre.
Ricevo una lettera da Arturo che pare riattaccarsi alla vita. Quincy Morris lo riconforta più che può.
Stamattina Van Helsing entrò come una folata nel mio studio.
— Che dite di questo! — esclamò gettandomi sul tavolo un numero della Westminster Gazette.
Lessi il paragrafo che constata la scomparsa dei ragazzi di Hampstead. La descrizione della loro ferita sul collo mi fece trasalire:
— Lucy aveva lo stesso segno! — esclamai.
— Che ne concludete?
— Ch’ebbe la stessa causa!
— E di che cosa credete che essa sia morta?
— D’un esaurimento generale cagionato da una formidabile anemia.
— Ma in qual modo potè avvenire un’anemia simile? Ecco quello che non vi siete chiesto. E siccome restavo muto, aggiunse:
— Certe cose esistono, benchè sfuggano al vostro intendimento. Voi, immagino, non credete alla reincarnazione, nè alla materializzazione dei corpi? Nè al corpo astrale? Nè alla trasmissione del pensiero? Nè all’ipnotismo?
— Domando scusa, ma credo a quest’ultimo fenomeno, provato da Charcot.
— Ma se credete all’ipnotismo, perchè non credete alla trasmissione del pensiero? Noi siamo circondati dai misteri. Pensate all’elettricità. Nel medioevo, sarebbe costata il rogo a colui che l’avesse scoperta. Nessuno ha risolto il mistero della vita e della morte. Ci sono dei ragni che vivono un giorno soltanto; e altri, dei secoli. Nelle Pampas vi sono certi grossi pipistrelli che succhian di notte il sangue del bestiame. In talune isole dei mari orientali, si vedono fra gli alberi, simili a grosse noci, dei pipistrelli che si animano soltanto di notte. Disgrazia al viaggiatore che s’avventura nei loro paraggi; al mattino, lo si ritrova morto e dissanguato... come miss Lucy.
— Mio Dio, non vorrete raccontarmi che in piena città di Londra e nel XX secolo la povera fanciulla sia stata vittima d’uno di quei vampiri?
Riprese animandosi:
— Potete dirmi perchè certe tartarughe vivono più a lungo delle generazioni d’uomini? Un fachiro indiano ordinò che seminassero del grano sulla sua tomba. Quel grano germogliò e venne falciato: germogliò ancora e lo falciarono nuovamente. Allora, come aveva richiesto, apersero la sua tomba e lo trovarono risuscitato. Si alzò e ricominciò a vivere.
— E che cosa volete dedurne? — chiesi interdetto.
— Credete, nevvero, che la piccola ferita dei fanciulli d’Hampstead abbia la stessa causa di quella di miss Lucy?
— Lo presumo.
— Errore! È assai più grave.
— Spiegatevi.
— Quei fanciulli — disse con aria d’inesprimibile orrore — furono morsicati da miss Lucy.
Per alcuni momenti la collera mi paralizzò. Veniva insultato il mio caro ricordo. Battei il pugno sul tavolo.
— Siete pazzo, Van Helsing!
Mi guardò compassionevolmente.
— Vorrei esserlo — rispose. — La follia sarebbe preferibile alla certezza che m’opprime. Ah! amico mio, non dubitate della mia amicizia. So d’essere crudele parlando così. La vostra pietà, la vostra ragione non possono accettare questa mostruosità. E tuttavia stasera stessa posso darvi la prova di quel che enuncio. Mi accompagnerete?
Mi vide trasalire e aggiunse:
— Non chiedo che di sbagliarmi. Andremo in primo luogo all’ospedale a vedere il bambino ferito. Il dottor Vincenzo che lo cura è uno de’ miei amici. Poi...
Si tolse di tasca una chiave:
— Passeremo la notte nel cimitero ove Lucy riposa; ecco la chiave della tomba.
Il mio cuore rallentò i suoi battiti; ma fu con voce ferma che dissi:
— Sta bene. Vi seguirò.
Abbiamo trovato sveglio il bambino: il dottor Vincenzo sollevò la piccola fasciatura per mostrarci la gola. Era la stessa ferita osservata sul collo di Lucy.
— A che cosa l’attribuite? — chiese Van Helsing.
— A una morsicatura di topo, forse; a meno che non sia uno dei pipistrelli tanto diffusi sulle colline al nord di Londra.
Van Helsing scosse la testa.
— Tenetelo in attenta osservazione, finchè sia interamente guarito — disse al Dottore.
Cadeva la notte mentre uscivamo dall’ospedale.
— È inutile affrettarci — disse Van Helsing; — abbiamo tutto il tempo.
Desinammo in una piccola osteria suburbana e verso le dieci ci avviammo.
I fanali distanziati rischiaravano appena gli scarsi viandanti sulla strada. Finalmente si arrivò al muro del cimitero. Gli demmo la scalata, non senza fatica, poichè era buio e scorgemmo l’avello dei Westenra. Il dottore introduce la chiave nella serratura e mi prega cortesemente di passare per primo; avrei fatto a meno di quella cortesia. Dopo aver accuratamente rinchiuso il cancello, si cava di tasca una candela e l’accende. Questa tomba che, fiorita, m’era già di pieno giorno parsa lugubre, sprigiona stasera, con i suoi fiori avvizziti, le sue ragnatele e i suoi cancelli arrugginiti, una tristezza opprimente.
Il mio compagno estrae di tasca un cacciavite.
— Che state per fare?
— Aprire il feretro, poichè è il solo mezzo di convincerci.
Toglie le viti ad una ad una, solleva il coperchio e lascia vedere la cassa di piombo.
Voglio impedire quella profanazione.
— Lasciatemi fare — ripete.
Con l’aiuto d’una piccola lima ha fatto un buco nel coperchio. Indietreggio alquanto, temendo lo spandersi dei gas della putrefazione.
Il maestro pratica un’apertura di alcuni centimetri, avvicina la candela e mi fa segno di guardare: la bara è vuota.
— Siete convinto adesso? mi chiede.
— Il corpo di Lucy è scomparso: che cosa prova? Si potè sottrarlo. C’è della gente che dissotterra i cadaveri.
— Incredulo! — dice Van Helsing sospirando — vi si farà toccar col dito la verità.
Rimette a posto il coperchio, prende i suoi arnesi e spegne la candela.
— Serbate la chiave — mi dice.
— No, grazie: che ne farei?
Egli non insiste e mi dice di far la guardia ad una delle porte del cimitero, mentr’egli sorveglierà l’altra. M’apposto a’ piè d’un salice piangente ed egli s’allontana. L’aspettativa è lunga. Odo suonare mezzanotte, poi la una, poi le due. Rabbrividisco di freddo e mando il mio compagno a tutti i diavoli. A un tratto credo di vedere un’ombra bianca scivolare fra due cipressi verso la tomba di Lucy. Una figura d’uomo la segue: Van Helsing certo. Accorro verso di lui. In quel punto, il gallo canta.
Van Helsing tiene fra le braccia un bimbo.
— Dubitate ancora?
— Sì — faccio io, aggressivo.
— Usciamo dal cimitero — dice bruscamente.
Lo seguo sulla strada; egli sfrega un cerino e non ci curviamo verso il bimbo. Il suo piccolo collo non porta la minima graffiatura.
— Vedete bene! — io obietto trionfalmente.
— Nient’altro se non che siamo arrivati a tempo — dice Van Helsing con calma.
Che fare di questo fanciullo? Impossibile portarlo dal commissario: avremmo dovuto spiegare la nostra presenza nel cimitero.
Dopo aver riflettuto abbiamo deciso di lasciarlo sulla piazza di Hampstead, ove fatalmente deve venire scoperto. Le nostre previsioni si avverano. Udendo venire un policeman, abbiamo deposto il bimbo sull’orlo del marciapiede; ci siamo allontanati vivamente mentre vedevamo l’uomo abbassare la sua lanterna emettendo un’esclamazione di sorpresa. Una vettura ci riconduce a casa.
27 settembre.
Van Helsing è venuto a prendermi alle due del pomeriggio per condurmi al cimitero. Vuol convincermi interamente. Dovemmo nasconderci dietro una tomba perchè c’era una sepoltura. Finalmente siamo soli. Per la prima volta, io penso al delitto legale da noi commesso violando questa sepoltura. E non è inutile dal momento che Lucy non è più nella bara?
Eccoci ancora nella tomba. È meno lugubre che di notte; il sole vi entra. Van Helsing ha sollevato il coperchio del feretro. M’avvicino. Orrore! È lì! è proprio lì! quale la vidi la notte della sua morte, più bella ancora se è possibile. Nessuna alterazione sul viso. La carnagione è fresca, le guancie sono rosee e le labbra rosse attestano la vita!
— Vedete bene! — dice Van Helsing.
Insinua la mano e scopre i denti.
— Sono più aguzzi di prima — dice: — ed ecco i due canini che morsicano, sul collo, i bambini.
Ho respinto quell’idea mostruosa!
— E come spiegate voi che il corpo non si decomponga? — egli mi ha chiesto.
Stavolta non ho saputo che rispondere.
— Il caso di Lucy — mi ha spiegato — è particolare. Era in un stato di sonnambulismo quando un vampiro la succhiò. Era nello stesso stato quando morì. È per ciò che, durante questo sonno diurno essa conserva l’espressione di dolcezza angelica che la rendeva così attraente, mentre gli altri vampiri... Avrò il coraggio di ucciderla?
Il sangue mi si è gelato nelle vene. Eppure, se veramente è morta, che cosa può importarmene? Van Helsing, che ha veduto il mio turbamento, mi dice quasi allegramente:
— Finalmente, intravedete la verità?
— Come farete? — gli ho chiesto rabbrividendo.
— Le taglierò la testa; riempirò la sua bocca di fiori d’aglio e le toglierò il cuore.
No, no, non mutilerà questa donna che ho amato; questa morta-viva! Non sarò complice d’una profanazione simile! Van Helsing dev’essere pazzo. Ci dev’essere una spiegazione logica, certo, per tutti questi fatti così strani!