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Severità e debolezza

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I figli I balocchi

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SEVERITÀ E DEBOLEZZA


Non tutti i bimbi si possono educare colla dolcezza; ve ne ha d’indole così poco arrendevole coi quali conviene essere severi nostro malgrado, per il loro bene. Come si vedono dei cavalli che si conducono con una carezza ed altri tanto ricalcitranti che conviene ridurli all’obbedienza a furia di sprone.

Però, come ho ripetuto molte volte, un solo sistema non può servire per tutti e bisogna conoscere i propri figliuoli e conoscer bene sè stessi per poter usare con tutti quella giusta misura. [p. 99 modifica]

La severità eccessiva può facilmente cambiarsi in tirannia, una eccessiva dolcezza si muta con tutta facilità in debolezza, e tanto un’eccesso che l’altro sono imperdonabili specialmente trattandosi dei figliuoli. Molte volte vediamo genitori severi pentirsi troppo tardi della loro severità.

A questo proposito voglio raccontarvi una storiella che vi mostrerà la verità di quello che dissi.

Il colonnello Lombardi era un uomo sui quarant’anni, rigido, severo, di quelli del vecchio stampo, e soleva apportare fra le pareti domestiche la stessa disciplina che manteneva nel suo reggimento. La signora Adele, sua moglie, era invece d’un carattere dolce, buono, paziente, e si appoggiava interamente sopra suo marito, non lo contrariava mai, ma non andavano perfettamente d’accordo sul modo d’educare i figliuoli. Ella trovava che suo marito li trattava troppo severamente, ma egli non le dava retta e voleva fare a suo modo.

— Vedi come tremano quando dirigi [p. 100 modifica] loro la parola! — essa gli diceva — se continui così ti farai temere, ma non amare.

— Lascia fare a me — le rispondeva il colonnello — quando saranno adulti mi ringrazieranno, io non voglio che i miei figliuoli crescano come deboli femminucce.

Adele sospirava, ma non aveva coraggio d’insistere, e procurava colla sua dolcezza di far dimenticare ai figliuoli la severità del padre.

Così crescevano Gustavo e Camilla, due bei fanciulli sani e vigorosi, fra le carezze della mamma e i rimproveri del babbo.

Egli non lasciava passare la più piccola mancanza senza punirli, voleva che s’abituassero a tutto, al caldo, al freddo, al vento, alla pioggia, alle strade alpestri, senza mai lagnarsi. D’inverno li mandava senza mantello in giardino a giocare colla neve, d’estate non voleva che portassero mai ombrello e a Camilla proibiva di portare il ventaglio, quell’amico degli oziosi, come egli lo chiamava. Qualche volta li faceva arrampicare sulle montagne, e [p. 101 modifica] quando Gustavo si volgeva a dire: “babbo, sono stanco” e Camilla chiedeva collo sguardo supplichevole di arrestarsi ad una fonte perchè aveva sete, egli rispondeva con piglio severo e in modo che non ammetteva repliche: “Avanti, avanti! ci fermeremo quando saremo giunti alla meta.”

La signora Adele che non approvava questo sistema spartano di educare i figli, viveva in continua ansietà, temendo che pigliassero una volta o l’altra qualche malanno quando poi udiva il marito rimproverarli per cose da nulla si sentiva come ferire il cuore da tante punte di spilli, ma soffriva e taceva in silenzio.

Un giorno che il colonnello scoperse Camilla che col suo ditino staccava dei pezzettini di zucchero da una focaccia ch’era preparata per il pranzo, la chiuse in uno stanzino accanto alla sala e per quel giorno le diede soltanto pane ed acqua.

La signora Adele soffriva terribilmente, mentre mangiava, di sapere la sua bambina là accanto alla portata di poter sentire [p. 102 modifica] l’acciottolìo dei tondi e il profumo delle vivande, e alla quale con quell’appetito che doveva avere, toccava contentarsi d’un po’ di pane; le pareva di fare un peccato di mangiare quei cibi succolenti mentre la sua figliola era in penitenza, e avrebbe voluto almeno serbarle un po’ della famosa focaccia, causa di tanti guai, di nascosto del colonnello, ma aveva abbastanza buon senno per comprendere che in quel modo avrebbe guastata per sempre l’educazione dei suoi figli e fatto un gran dispiacere al marito; sicchè si contentò durante tutto il tempo del pranzo di dare delle occhiate supplichevoli al colonnello e compassionevoli all’uscio del gabinetto dove stava rinchiusa Camilla. Erano occhiate espressive che suo marito comprendeva benissimo, anzi ad un certo punto quando si vide che facevano più insistenti le disse, per toglierle ogni speranza di perdono:

— Via, calmati, per un giorno non morirà poi di fame, e questa volta t’assicuro che uscirà da quello stanzino guarita dal vizio della gola. [p. 103 modifica]

Con Gustavo era ancora più severo: lo lasciava senza frutta e senza pranzo per mancanze da nulla; la sera voleva esaminare i suoi quaderni e se vi trovava qualche sgorbio, qualche macchia d’inchiostro, lo faceva stare alzato finchè quelle pagine fossero ricopiate per bene. Insomma se passava un giorno senza che l’uno o l’altro de’ fanciulli fossero castigati, era proprio un miracolo.

Intanto i due fanciulli crescevano, e dotati d’una natura vigorosa il loro fisico si ringagliardiva sempre più con quell’educazione severa; in quanto al morale, erano molto diversi l’uno dall’altro.

Camilla cresceva l’identico ritratto del padre, non scusava nessun fallo, non compativa nessun errore, era dura con sè stessa e cogli altri, e prometteva di usare coi proprii figliuoli la stessa severità colla quale era stata educata.

Gustavo invece, di sentire più delicato della sorella quantunque appartenesse al sesso forte, era sempre sensibile ai [p. 104 modifica] rimbrotti del padre e cercava d’evitarli usando l’astuzia.

Per esempio aveva l’avvertenza di tener un libro aperto davanti a sè, quando si trastullava con qualche giochetto, che era pronto a nascondere se per caso capitava il babbo all’improvviso, e fingere d’essere assorto nella lettura.

Quando il padre gli chiedeva come avesse impiegato le sue ore, inventava una quantità di bugie, diceva che aveva avuto da studiare cose difficili, oppure che aveva dovuto rimanere alla scuola mentre invece era stato a zonzo con qualche amico.

Il colonnello, di natura franca e aperta, non poteva sospettare nel figliuolo tanta finzione e gli credeva facilmente.

Gustavo però in fondo non era cattivo, adorava la sua mamma e avrebbe fatto per lei qualunque sacrificio, ma diceva che il babbo era troppo severo e che qualche volta meritava d’essere ingannato. Infine pensava: le mie bugie non fanno male a nessuno, mi evitano soltanto dei dispiaceri, ecco tutto. [p. 105 modifica]

Intanto gli anni passavano, il colonnello era divenuto generale; Camilla aveva preso marito e Gustavo toccava quasi i vent’anni; però suo padre lo teneva ancora come un fanciullo, sottomesso ai suoi voleri. La sera esigeva assolutamente che fosse a casa alle undici, cosa che a Gustavo dava una gran noia, tanto più che i suoi amici, quando lo vedevano avviarsi per andare a casa, si burlavano di lui e gli dicevano ironicamente:

— Già si sa, ora Gustavo deve lasciarci, ha il babbo e la mamma che lo attendono, egli deve ubbidire, altrimenti lo mettono in castigo, il bambino.

Gustavo fremeva a queste parole, una volta corse anche il rischio d’avere un duello per questa ragione, poi pensò che per amor della pace era meglio una buona volta fare in modo di salvar le apparenze col babbo e passar parte della notte cogli amici.

Alle undici precise dava al generale la buona notte, poi entrava nella sua stanza; [p. 106 modifica] ma dopo pochi minuti usciva pian piano e ritornava a raggiungere i compagni: gli era bastato farsi di nascosto una chiave di casa e poteva entrare ed uscire senza che nessuno se n’accorgesse.

Certe cose però non sfuggono al cuore di una madre. La signora Adele sapeva tutto, ma fingeva di non saper nulla, ed in cuor suo scusava il figliuolo che trovava tenuto troppo schiavo per la sua età.

Questa cosa andò avanti per varii mesi senza che il generale scoprisse nulla; una sera però che dopo aver veduto il figliuolo a casa s’era coricato mentre la signora Adele seduta presso ad tavolino finiva l’ultimo capitolo d’un romanzo interessante, gli parve di udir rumore, si mise a sedere sul letto, tese l’orecchio e disse:

— Adele, qualcuno si muove nell’altra stanza.

— Sarà il vento — le rispose la moglie.

— T’assicuro che è qualcuno che ha aperto con precauzione la camera di Gustavo, sta tranquilla che non m’inganno. [p. 107 modifica]

La signora Adele tremava tutta, però ebbe la forza di rispondere con abbastanza calma.

— Ti assicuro che è la tua immaginazione, tutti dormono, non può essere stato che il vento o il gatto.

— Va a vedere — soggiunse il generale — e sappimi dire se Gustavo è a letto, altrimenti so ben io....

La signora Adele non gli lasciò il tempo di finire la frase e preso il lume s’avviò verso la camera del figlio; era certa di non trovarlo e non sapeva cosa avrebbe risposto al marito, mentre proprio non aveva il coraggio di mentire, e poi si aspettava di vederlo scendere dal letto e venire ad accertarsene coi suoi propri occhi. La camera di Gustavo era vuota, ma essa pensò bene di chiuderla a chiave e mettersi la chiave in tasca, poi ritornò dal marito e disse:

— Sai che Gustavo si chiude sempre a chiave per star tranquillo e la stanza è chiusa infatti. [p. 108 modifica]

— Dovevi picchiare.

— Poverino! perchè vuoi svegliarlo se dorme? una volta che è chiuso internamente vuol dire che c’è in camera.

— Sì, ma se invece avesse chiuso esternamente e avesse portato via la chiave? Io voglio essere ubbidito, hai capito? e se è fuori t’assicuro che non entrerà senza il mio permesso — e sì dicendo saltò giù dal letto e preso il lume, diede all’uscio che metteva sulla scala ed era già chiuso, un chiavistello interno che non adoperavano altro che per maggior sicurezza quando in casa non restavano uomini, portò la chiave con sè e la mise sotto al guanciale.

— Ora se è fuori non entrerà senza il mio permesso, — soggiunse, — staremo a vedere.

La signora Adele avea le lagrime agli occhi e mentre il marito s’era nascosto sotto alle coltri per non udir nulla, essa andava dicendo:

— Vedi, sei un po’ troppo severo con [p. 109 modifica] quel figliuolo, ormai ha vent’anni e non si può tenerlo come un bambino; mettiamo che fosse uscito questa sera, infine è carnovale, e anche tu quando sarai stato giovane avrai voluto spassartela. Se fosse uscito è certo che trovandosi scoperto e vedendo la porta chiusa, sarebbe capace di fare una disperazione, è tanto sensibile che piuttosto di sopportare la tua collera non tornerebbe più a casa... ed io ne morirei dal dolore. Camilla ormai ha marito, e a noi è l’unico figlio che ci rimane.

Ma la signora Adele aveva un bel supplicare, il generale non le dava retta e fingeva di dormire colla chiave dell’uscio sotto il guanciale.

Intanto le ore passavano e quella povera madre non poteva chiuder occhio, era andata a letto sperando di poter riuscire a mettere una delle sue manine sotto al guanciale del marito e prendere la chiave; ma appena faceva il più piccolo tentativo, il generale movendosi faceva capire che non era affatto addormentato e così non poteva riuscire a nulla. [p. 110 modifica]

Temeva sempre che il figliuolo tornasse e stava attenta ad ogni più piccolo rumore.

No, non avrebbe potuto reggere all’idea di lasciarlo fuori all’aperto in quella notte di gennaio; qualche cosa avrebbe fatto per salvarlo, e continuava a cacciare la sua manina sotto al guanciale del marito, ma rimaneva schiacciata dal suo peso e tutto era inutile.

Udì intanto un rumore di passi nella via, poi questi passi arrestarsi proprio davanti alla sua porta, una chiave entrare nella toppa, aprirsi la porta, poi richiudersi, e dai passi riconobbe che il suo figliuolo saliva le scale.

Non c’era da indugiare; il momento era decisivo. Non pensò più a nulla, tolse con uno sforzo la chiave di sotto il guanciale; indossò in fretta una veste da camera senza curarsi suo marito fosse desto o addormentato, uscì dalla stanza e aperse il chiavistello interno dell’uscio, nel mentre dall’altra parte Gustavo faceva ogni sforzo [p. 111 modifica] per entrare e non sapeva comprendere come non ci potesse riuscire. Fu sorpreso di trovarsi faccia a faccia colla sua mamma e di vederla tutta trepidante.

— Perdono mamma, — disse balbettando, — ma avevo promesso agli amici....

— È stato il babbo che ha supposto che tu fosti uscito e per accertarsene chiuse l’uscio internamente, mettiamo le cose al loro posto che non s’accorga di nulla.

Richiuse l’uscio come aveva fatto il generale, aprì la stanza del figlio, ritornò nella camera da letto e rimise la chiave sotto il guanciale. Le era parso di vedere gli occhioni di suo marito aperti, fissi sopra di lei; ma poi concluse “sarà stata la mia immaginazione” e divenne più tranquilla sapendo che Gustavo era a casa.

Il giorno dopo, il generale non disse nulla, e tutto proseguì nell’ordine consueto, soltanto Gustavo il primo momento che si trovò solo colla sua mamma le disse:

— Quanto ti è toccato soffrire questa [p. 112 modifica] notte per cagion mia! ma non lo farò più, sai, è passata per miracolo, t’assicuro che sono punito abbastanza dal dispiacere che t’ho fatto provare.

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Molti anni dopo, quando Gustavo era già padre di tre bei figliuoletti e sedeva presso al camino in una sera d’inverno circondato da tutta la sua famiglia, e il generale, che aveva ormai tutti i capelli bianchi, se ne stava incantucciato in un angolo della sala dicendo che non sentiva freddo, mentre tremava tutto e gli andavano consigliando d’accostarsi ai caminetto, e la signora Adele preparava una cuffiettina ricamata per il suo nipotino ancor da nascere, si cominciò a parlare del tempo passato, ed il generale raccontò che in una certa sera che aveva chiuso Gustavo fuori di casa, la mamma pietosa gli aveva aperta la porta e credeva che non si fosse accorto di nulla, ma ch’egli aveva visto tutto, [p. 113 modifica] soltanto aveva pensato bene non mostrarlo per poter vincere il suo punto.

La signora Adele saltò su a dire:

— Va, va ch’io sapevo che tu avevi visto tutto, ma finsi d’ignorarlo.

— Bricconcella che sei, — disse il generale, — che cosa hai pensato?

— Pensai “a mio marito in fondo è buono, ma ha il difetto di voler fare il cattivo.”

— E pensare, — disse Gustavo, — che io vi ho dato tante brighe e al povero babbo che infine era severo per nostro bene ho fatto tante volte vedere lucciole per lanterne; ne ho proprio rimorso.

— Va, va, che i tuoi figliuoli faranno le mie vendette, rispose il generale, infine il mio sistema era un po’ troppo esclusivo, ma con voi non mi è riuscito male perchè il vostro cuore era buono; però ricordatevi che la severità va bene, ma non bisogna applicarla a tutti nell’istessa misura, altrimenti succede di dover transigere colle proprie convinzioni, come è capitato a me in quella tal notte. [p. 114 modifica]

Quando pensano a quella notte dicono tutti che c’era una volta un babbo molto severo coi figliuoli, ma che quel babbo si è trasformato in un nonno assai dolce coi nipotini; tanto è vero che quando non possono ottenere qualche cosa dai loro genitori corrono dal nonnino che è tanto buono, e concede loro tutto quello che desiderano.