Diario sentimentale della guerra/Prima della marcia su Roma

1922 - Prima della marcia su Roma

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Dal maggio 1915 al novembre 1918
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1922

PRIMA DELLA MARCIA SU ROMA

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CONVERSAZIONI CON PITÀGORA


Alla villa di un ricco borghese pervenne una volta un uomo di sovrana bellezza che molta meraviglia destò. Vestiva di lino bianco e il suo volto era illuminato di quello splendore umano come anche oggi ai può vedere in qualche monaco.

Aveva visitato la Fenicia, la Caldea, la Persia, l’India, l’Egitto.

Un globe trotter?

No. Risaliva da ventisei secoli e si chiamava Pitagora.

Questo Pitagora non era accreditato in banca, ma il suo nome ricorre quando si parla dell’antica sapienza degli italiani, e del regime vegetariano. Alcune sue opinioni, come la trasmigrazione delle anime e l’astinenza dal prendere moglie, gli hanno creato un’aura di misteriosa celebrità così che il ricco borghese disse: [p. 426 modifica]

***

Il suo nome non mi è nuovo, o signore.

Pitagora fu condotto in una bella camera, dove era un bel letto: trovò una lampadina velata senza olio. Provò a soffiarci sopra ma non la spense. Trovò una chiavetta: la girò. Quella lampadina si spense, e se ne accesa un’altra, assai fastidiosa in alto. Provò a girar ancora, e si accesero tutte e due. Girò ancora, e infine fu fatto buio e potè dormire.

Quando fu mattino venne un domestico che gli arrecò un vassoio d’argento con tante cosine delicate.

Pitagora domandò di uscire, anche per cercare una tròscia d’acqua dove lavarsi. Ma il domèstico gli aprì uno stanzino lùcido, dove egli trovò tutto quello di cui aveva mestieri, fra cui un vaso di porcellana ove era scritto: «profundum». Guardò ammirò e comprese quale era l’uso. Fece poi un tèpido bagno, sprofondò in una poltrona, vide certi fogli che lo informavano di tutte le cose avvenute nel mondo.

Lo spaventò un po’ una voce che venne fuori da un gingillo che non aveva osservato, e domandava:

— Ha riposato bene, signor Pitagora? [p. 427 modifica]

Quando venne il ricco borghese, Pitagora non potè a meno di dichiarare così:

Nemmeno il mio amico Ramsete, pure avendo suppellettili di rara magnificenza quali convengono a un re, possedeva così mirabili agevolezze. Sono io forse nella casa di un re?

— Ella è nella casa di un modesto industriale.

— Caro ospite — disse allora Pitagora — molto io ho ammirato queste vostre delicatezze, quelle lampadine senza olio, questo omino formato di una bocca che parla, quel nitidissimo cacatorium, quella piscina. E hanno esse un nome?

— Sì, certo: si chiamano «comfort».

— E sono comuni ad ogni cittadino?

— Ogni cittadino vi aspira come ad una giusta elevazione della sua vita...

— Questa è cosa assai bella, ma osservo che il vostro comfort è qualcosa di affatto inesaurìbile e di procedente all’infinito. Ogni comodità mostra la sua incomodità e di questi riconoscimenti non hanno termine. Molto loda io tributo a quel vostro cacatorium, benchè abbia un difetto.

— E quale?

— Vieta di sentire il fetore della nostra miseria umana. [p. 428 modifica]

— Oh, — esclamò il borghese — , che mai ascolto! Non si faccia sentire dalla mia signora.

Poi disse: — Sono appena le dieci e mezzo, e io mi permetto, signor Pitagora, di invitarla a venire con me, e vedrà cose che non c’erano ai suoi tempi. In due ore andiamo e siamo di ritorno per la colazione.

Montarono in quel carrettino senza cavalli chiamato autò.

Il borghese spinse l’autò a una velocità spaventosa, ma Pitagora non si spaventò.

— Voi dovete fare guerre con facilità — disse dopo un po’, Pitagora, corrugando le ciglia.

— Infatti ne è terminata una poco fa, una che ha consumato il risparmio di mezzo secolo. Ma ora si ricomincia a lavorare. E come ha indovinato lei che c’è stata una guerra?

— Da questo carrettino. Se il re Alessandro il Grande, invece di giumenti, avesse avuto a sua disposizione simili mezzi di trasporto, altro che fermarsi all’Indo! Avrebbe girato tutta la terra, e si sarebbe trovato al punto di partenza.

***

Arrivarono così parlando ad una specie di città bassa, grigia e uniforme sopra cui si allineavano sottili camini con grandi pennacchi di [p. 429 modifica]ondeggiante fuliggine e feroci scintille. Parevano le aste e i vessilli di quella città grigia.

Dentro un rombo perpètuo, uno scotimento profondo, un girare vorticoso di màcchine che dicevano con il loro furore: «Lavoriamo, dobbiamo lavorare, lavoreremo sempre!»

— Un ergàstolon? — domandò Pitagora.

— Una officina per una delle tante produzioni del comfort, — rispose il borghese.

— Lavorano le macchine?

— E anche gli uomini.

Uomini grigi, che parevano generati dalle macchine, compivano moti automàtici attorno alle macchine.

Ed ecco d’improvviso un urlo lacerò l’aria, e tutte le macchine si fermàrono.

— Chi ha fermato quelle macchine? — domandò Pitagora.

— Uno di quelli uomini. È mezzogiorno.

— Un demiurgo è quell’uomo! — esclamò Pitagora.

— Scusi, che vuol dire questa parola?

— Un nume operaio, vuol dire.

— Hanno bene la pretesa di èssere come numi, questa gente — , disse il borghese. [p. 430 modifica]

***

Rimontarono nell’autò, mentre la schiera grigia degli operai usciva dalle porte dell’officina, pari un rigùrgito di umanità.

— Dovete aver guerre anche qui — disse Pitagora.

— Infatti, signor Pitagora. È così. E da che lo indovina?

— Dalla fissità tenebrosa che vedo nei volti di quelli uomini neri.

— Non sono mai contenti! Ho persino fondato per essi una sala di lettura con buoni libri.

— Libri? — esclamò Pitagora — per che fare, i libri?

— Per istruire il pòpolo.

— Caro ospite — disse Pitagora — i sacerdoti dell’Egitto facevano l’opposto. La maggior cura di questa casta ieratica era di conservare nelle moltitudini un misterioso terrore. Per tale modo l’Egitto godette millenni di pace, tanto è vero che ve ne è ignota la storia. In Atene, invece, e nella Magna Grecia, la guerra divampò furibonda per colpa di un implacabile tiranno.

— E si chiamava?

— Democrazia! Ma quale pretese avete, caro ospite, che quelli operai, dopo il terremoto di quelle macchine, si mèttano a meditare sui libri? [p. 431 modifica]Io stesso, se fossi in loro, non andrei certo nel peripato a conversare con Platone.

***

La sala da pranzo era l’opposto della città grigia. Era tutta scintillante di candore...

Fu servito un bellissimo pranzo.

C’era la moglie del borghese con molti diamanti sopra le sue grinze. Ella ammirò molto il tessuto di lino di cui era coperto Pitagora.

C’erano due figli del borghese, tonduti coi ciuffi, e coi vestiti da sportsmen, i quali risero assai perchè Pitagora rifiutò di servirsi di un sanguinante rostbeeff e con un sorriso pacato e porgendo la palma della mano rifiutava whisky con soda water.

C’erano due uomini politici. C’era un letterato di fama locale, che fu molto felice di fare la personale conoscenza di Pitagora.

C’era una bella signora dal pallore spirituale che aveva la schiena nuda e fu entusiasta di uno smeraldo che Pitagora mostrava all’indice quando respingeva il whisky.

— Magnifico quel cabochon, signor Pitagora!

— Serve di freno alla lussuria.

Disse il primo signore politico:

— Interessante questa notizia di giornale: [p. 432 modifica]«Nel 1922 la Francia ha costruito oltre 3600 apparecchi militari, dei quali 800 da bombardamento della portata di 2 tonnellate. Tenendo conto solo di questi ultimi, essi rappresentano la potenzialità di 1600 tonnellate di bombe per ogni volo».

Disse l’altro signore politico:

— Questo è nulla in confronto dell’Inghilterra e degli Stati Uniti. In Inghilterra e negli Stati Uniti sono stati concretati materiali venefici di una potenza formidabile, contro i quali non vi è praticamente riparo.

— Forse, scusi, lei non capisce signor Pitagora, è vero? — domandò la signora dell’industriale. — Spiega tu, Jean, figliuol mio a questo antico gentleman.

Il giovane Jean spiegò così:

— Lei deve sapere, signor Pitagora, come finora l’uomo era rimasto avvinto alla superficie terrestre nelle sue guerre; ma oggi l’arma dell’aria ha liberato l’uomo della costrizione della superficie terrestre. A sua volta l’arma del veleno fornisce all’arma aerea una potenzialità di distruzione di una grandezza materiale e morale, fino ad oggi sconosciuta.

La dama dalle spalle nude interruppe:

— Oh che brutte cose! che brutte cose! [p. 433 modifica]

— Colpa della Germania — scattò il primo uomo politico — , che insegnò l’uso dei gas asfissianti.

— Prego — ribattè sùbito il secondo uomo politico — È l’opposto! La Germania ha perduto la guerra perchè nella guerra dei sottomarini e nell’uso dei gas asfissianti non usò quella decisione risoluta che sarebbe stata necessaria. Legga, legga i rapporti del servizio stòrico dello stato maggiore francese, che è buona fonte, e vedrà se è così.

Il buon borghese mise pace fra i due uomini politici e disse a Pitagora:

— Caro e onorato ospite, non si meravigli se questi signori parlano di asfissiare il mondo con la indifferenza con cui io le posso dire: «il caffè lo prende col cognac o senza?» Tutti sono oggi per la violenza. Anche i miei operai sono per la violenza! Due anni fa volevano a tutti i costi fare la rivoluzione, tanto che un mio amico socialista che mi serviva da paciere nelle questioni di fabbrica e che aveva i capelli neri, è incanutito dallo spavento.

— Lei, signor Pitagora — parlò allora la dama intellettuale dalle spalle nude — che è vissuto al tempo di Troia, può ben dire a questi signori che, allora, gli uomini erano assai più [p. 434 modifica]cavalieri! Oggi fanno la guerra per il carbone, per il petrolio, ma allora voi facevate la guerra per la bella Elena. È vero?

— O Dèspoina — cominciò Pitagora rivolto alla dama, ma non potè continuare.

— Dèspoina, sentite! esclamò la dama intellettuale — Dèspoina, invece di signora! Oh, come ciò è estetico! Continui, continui signor Pitagora.

— O Dèspoina — continuò Pitagora — per quello che io ho inteso dire, la bella Elena non fu che un pretesto, da cui tolse eccellente materia di poema il nostro Omero. Le cose nella realtà sono così: Prima per il mondo passeggiavano le grandi belve e mangiavano gli uomini. Giove allora comandò ad Ercole e Teseo di uccidere le grandi belve. Il divino Orfeo le incantò poi con la magia della musica. Dopo di che Giove cominciò a covare le donne. Venere dischiuse le ovaie come i fiori le antere. Poche volte l’umanità ebbe giorni più gioiosi. Era tutto un impeto di fecondazione e le vergini portavano ghirlande al Dio Phallos. Dionisio agitava le sue fiaccole! «Padre Giove» dissero i numi, «voi ci avete preso troppo gusto! Convien diradare questi uomini!» E allora fu decretata la guerra di Troia. E con tutto questo vi dico che a’ miei tempi, molte [p. 435 modifica]parasanghe conveniva percorrere per trovare uòmini e città. Ma voi siete un formicajo!

— Questa è la parola formicajo! — esclamò il letterato di fama locale — ; tre secoli fa la popolazione dell’Europa occidentale era inferiore ai cento milioni. Poi la marea umana è cominciata a salire in modo irresistibile. I tedeschi da 20 a 76 milioni, gli inglesi da 5 a 30 milioni, gli italiani da 13 a 33 milioni, i francesi da 17 a 39 milioni. Questo sino alla fine del secolo scorso. I francesi si sono fermati, ma i russi hanno una eccedenza di due milioni annui della vita su la morte. Aggiungete le igiene scientifica che permette di vivere a tutte le carogne, e troverete naturale, signor Pitagora, quelli ingegnosi veleni dei nostri alchimisti di cui poco prima si ragionava.

— È vero, signor Pitagora, — disse la dama intellettuale con un sorriso verso il magnifico uomo — che Licurgo distruggeva tutti gli uomini brutti? Oh, ella ci lascierà fra poco, signor Pitagora, ma io la prego prima di partire di un grande favore: di volere mettere la sua firma, con un pensierino, su questo album dove sono tutte le firme degli uomini illustri.