Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
di Alfredo Panzini | 429 |
deggiante fuliggine e feroci scintille. Parevano le aste e i vessilli di quella città grigia.
Dentro un rombo perpètuo, uno scotimento profondo, un girare vorticoso di màcchine che dicevano con il loro furore: «Lavoriamo, dobbiamo lavorare, lavoreremo sempre!»
— Un ergàstolon? — domandò Pitagora.
— Una officina per una delle tante produzioni del comfort, — rispose il borghese.
— Lavorano le macchine?
— E anche gli uomini.
Uomini grigi, che parevano generati dalle macchine, compivano moti automàtici attorno alle macchine.
Ed ecco d’improvviso un urlo lacerò l’aria, e tutte le macchine si fermàrono.
— Chi ha fermato quelle macchine? — domandò Pitagora.
— Uno di quelli uomini. È mezzogiorno.
— Un demiurgo è quell’uomo! — esclamò Pitagora.
— Scusi, che vuol dire questa parola?
— Un nume operaio, vuol dire.
— Hanno bene la pretesa di èssere come numi, questa gente — , disse il borghese.