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di Alfredo Panzini | 427 |
Quando venne il ricco borghese, Pitagora non potè a meno di dichiarare così:
Nemmeno il mio amico Ramsete, pure avendo suppellettili di rara magnificenza quali convengono a un re, possedeva così mirabili agevolezze. Sono io forse nella casa di un re?
— Ella è nella casa di un modesto industriale.
— Caro ospite — disse allora Pitagora — molto io ho ammirato queste vostre delicatezze, quelle lampadine senza olio, questo omino formato di una bocca che parla, quel nitidissimo cacatorium, quella piscina. E hanno esse un nome?
— Sì, certo: si chiamano «comfort».
— E sono comuni ad ogni cittadino?
— Ogni cittadino vi aspira come ad una giusta elevazione della sua vita...
— Questa è cosa assai bella, ma osservo che il vostro comfort è qualcosa di affatto inesaurìbile e di procedente all’infinito. Ogni comodità mostra la sua incomodità e di questi riconoscimenti non hanno termine. Molto loda io tributo a quel vostro cacatorium, benchè abbia un difetto.
— E quale?
— Vieta di sentire il fetore della nostra miseria umana.