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426 | Diario sentimentale |
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Il suo nome non mi è nuovo, o signore.
Pitagora fu condotto in una bella camera, dove era un bel letto: trovò una lampadina velata senza olio. Provò a soffiarci sopra ma non la spense. Trovò una chiavetta: la girò. Quella lampadina si spense, e se ne accesa un’altra, assai fastidiosa in alto. Provò a girar ancora, e si accesero tutte e due. Girò ancora, e infine fu fatto buio e potè dormire.
Quando fu mattino venne un domestico che gli arrecò un vassoio d’argento con tante cosine delicate.
Pitagora domandò di uscire, anche per cercare una tròscia d’acqua dove lavarsi. Ma il domèstico gli aprì uno stanzino lùcido, dove egli trovò tutto quello di cui aveva mestieri, fra cui un vaso di porcellana ove era scritto: «profundum». Guardò ammirò e comprese quale era l’uso. Fece poi un tèpido bagno, sprofondò in una poltrona, vide certi fogli che lo informavano di tutte le cose avvenute nel mondo.
Lo spaventò un po’ una voce che venne fuori da un gingillo che non aveva osservato, e domandava:
— Ha riposato bene, signor Pitagora?