Dialoghi con Leucò/La belva
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La belva
Noi siamo convinti che gli amori di Artemide con Endimione non furono cosa carnale. Ciò beninteso non esclude — tutt’altro — che il meno energico dei due anelasse a sparger sangue. Il carattere non dolce della dea vergine — signora delle belve, ed emersa nel mondo da una selva d’indescrivibili madri divine del mostruoso Mediterraneo — è noto. Altrettanto noto è che uno quando non dorme vorrebbe dormire e passa alla storia come l’eterno sognatore.
(Parlano Endimione e uno straniero).
endimione Ascolta, passante. Come a straniero posso dirti queste cose. Non spaventarti dei miei occhi di folle. Gli stracci che ti avvolgono i piedi sono brutti come i miei occhi, ma tu sembri un uomo valido che quando vorrà si fermerà nel paese che ha scelto, e qui avrà un riparo, un lavoro, una casa. Ma sono convinto che se adesso cammini è perché non hai nulla se non la tua sorte. E tu vai per le strade a quest’ora dell’alba — dunque ti piace essere sveglio tra le cose quando escono appena dal buio e nessuno le ha ancora toccate. Vedi quel monte? È il Latmo. Io l’ho salito tante volte nella notte, quand’era piú nero, e ho atteso l’alba tra i suoi faggi. Eppure mi pare di non averlo toccato mai.
straniero Chi può dire di aver mai toccato quello accanto a cui passa?
endimione Penso a volte che noi siamo come il vento che trascorre impalpabile. O come i sogni di chi dorme. Tu ami, straniero, dormire di giorno?
straniero Dormo comunque, quando ho sonno e casco.
endimione E nel sonno ti accade — tu che vai per le strade — di ascoltar lo stormire del vento, e gli uccelli, gli stagni, il ronzío, la voce dell’acqua? Non ti pare, dormendo, di non essere mai solo?
straniero Amico, non saprei. Sono vissuto sempre solo.
endimione O straniero, io non trovo piú pace nel sonno. Credo di aver dormito sempre, eppure so che non è vero.
straniero Tu mi sembri uomo fatto, e robusto.
endimione Lo sono, straniero, lo sono. E so il sonno del vino, e quello pesante che si dorme al fianco di una donna, ma tutto questo non mi giova. Dal mio letto oramai tendo l’udito, e sto pronto a balzare, e ho questi occhi, questi occhi, come di chi fissa nel buio. Mi pare di esser sempre vissuto cosí.
straniero Ti è mancato qualcuno?
endimione Qualcuno? O straniero, tu lo credi che noi siamo mortali?
straniero Qualcuno ti è morto?
endimione Non qualcuno. Straniero, quando salgo sul Latmo io non sono piú un mortale. Non guardare i miei occhi, non contano. So che non sogno, da tanto non dormo. Vedi le chiazze di quei faggi, sulla rupe? Questa notte ero là e l’ho aspettata.
straniero Chi doveva venire?
endimione Non diciamo il suo nome. Non diciamolo. Non ha nome. O ne ha molti, lo so. Compagno uomo, tu sai cos’è l’orrore del bosco quando vi si apre una radura notturna? O no. Quando ripensi nottetempo alla radura che hai veduto e traversato di giorno, e là c’è un fiore, una bacca che sai, che oscilla al vento, e questa bacca, questo fiore, è una cosa selvaggia, intoccabile, mortale, fra tutte le cose selvagge? Capisci questo? Un fiore che è come una belva? Compagno, hai mai guardato con spavento e con voglia la natura di una lupa, di una daina, di una serpe?
straniero Intendi, il sesso della belva viva?
endimione Si ma non basta. Hai mai conosciuto persona che fosse molte cose in una, le portasse con sé, che ogni suo gesto, ogni pensiero che tu fai di lei racchiudesse infinite cose della tua terra e del tuo cielo, e parole, ricordi, giorni andati che non saprai mai, giorni futuri, certezze, e un’altra terra e un altro cielo che non ti è dato possedere?
straniero Ho sentito parlare di questo.
endimione O straniero, e se questa persona è la belva, la cosa selvaggia, la natura intoccabile, che non ha nome?
straniero Tu parli di cose terribili.
endimione Ma non basta. Tu mi ascolti, com’è giusto. E se vai per le strade, sai che la terra è tutta piena di divino e di terribile. Se ti parlo è perché, come viandanti e sconosciuti, anche noi siamo un poco divini.
straniero Certo, ho veduto molte cose. E qualcuna terribile. Ma non occorre andar lontano. Se può giovarti, ti dirò che gli immortali sanno la strada della cappa del camino.
endimione Dunque, lo sai, e mi puoi credere. Io dormivo una sera sul Latmo — era notte — mi ero attardato nel vagabondare, e seduto dormivo, contro un tronco. Mi risvegliai sotto la luna — nel sogno ebbi un brivido al pensiero ch’ero là, nella radura — e la vidi. La vidi che mi guardava, con quegli occhi un poco obliqui, occhi fermi, trasparenti, grandi dentro. Io non lo seppi allora, non lo sapevo l’indomani, ma ero già cosa sua, preso nel cerchio dei suoi occhi, dello spazio che occupava, della radura, del monte. Mi salutò con un sorriso chiuso; io le dissi: «Signora»; e aggrottava le ciglia, come ragazza un po’ selvatica, come avesse capito che mi stupivo, e quasi dentro sbigottivo, a chiamarla signora. Sempre rimase poi fra noi quello sgomento.
O straniero, lei mi disse il mio nome e mi venne vicino — la tunica non le dava al ginocchio — e stendendo la mano mi toccò sui capelli. Mi toccò quasi esitando, e le
venne un sorriso, un sorriso incredibile, mortale. Io fui per cadere prosternato — pensai tutti i suoi nomi — ma lei mi trattenne come si trattiene un bimbo, la mano sotto il mento. Sono grande e robusto, mi vedi, lei era fiera e non aveva che quegli occhi — una magra ragazza selvatica — ma fui come un bimbo. «Tu non dovrai svegliarti mai», mi disse. «Non dovrai fare un gesto. Verrò ancora a trovarti». E se ne andò per la radura.
Percorsi il Latmo quella notte, fino all’alba. Seguii la luna in tutte le forre, nelle macchie, sulle vette. Tesi l’orecchio che ancora avevo pieno, come d’acqua marina, di quella voce un poco rauca, fredda, materna. Ogni brusío e ogni ombra mi arrestava. Delle creature selvagge intravvidi soltanto le fughe. Quando venne la luce — una luce un po’ livida, coperta — guardai dall’alto la pianura, questa strada che facciamo, straniero, e capii che mai piú sarei vissuto tra gli uomini. Non ero piú uno di loro. Attendevo la notte.
straniero Cose incredibili racconti, Endimione. Ma incredibili in questo che, poiché senza dubbio sei tornato sul monte, tu viva e cammini tuttora, e la selvaggia, la signora dai nomi, non ti abbia ancora fatto suo.
endimione Io sono suo, straniero.
straniero Voglio dire... Non conosci la storia del pastore lacerato dai cani, l’indiscreto, l’uomo-cervo...?
endimione O straniero, io so tutto di lei. Perché abbiamo parlato, parlato, e io fingevo di dormire, sempre, tutte le notti, e non toccavo la sua mano, come non si tocca la leonessa o l’acqua verde dello stagno, o la cosa che è piú nostra e portiamo nel cuore. Ascolta. Mi sta innanzi — una magra ragazza, non sorride, mi guarda. E gli occhi grandi, trasparenti, hanno visto altre cose. Le vedono ancora. Sono loro queste cose. In questi occhi c’è la bacca e la belva, c’è l’urlo, la morte, l’impetramento crudele. So il sangue sparso, la carne dilaniata, la terra vorace, la solitudine. Per lei, la selvaggia, è solitudine. Per lei la belva è solitudine. La sua carezza è la carezza che si fa al cane o al tronco d’albero. Ma, straniero, lei mi guarda, mi guarda, e nella tunica breve è una magra ragazza, come tu forse ne hai vedute al tuo paese.
straniero Della tua vita d’uomo, Endimione, non avete parlato?
endimione Straniero, tu sai cose terribili, e non sai che il selvaggio e il divino cancellano l’uomo?
straniero Quando sali sul Latmo non sei piú mortale, lo so. Ma gli immortali sanno stare soli. E tu non vuoi la solitudine. Tu cerchi il sesso delle bestie. Tu con lei fingi il sonno. Che cos’è dunque che le hai chiesto?
endimione Che sorridesse un’altra volta. E questa volta esserle sangue sparso innanzi, essere carne nella bocca del suo cane.
straniero E che ti ha detto?
endimione Nulla dice. Mi guarda. Mi lascia solo, sotto l’alba. E la cerco tra i faggi. La luce del giorno mi ferisce gli occhi. «Tu non dovrai svegliarti mai», mi ha detto.
straniero O mortale, quel giorno che sarai sveglio veramente, saprai perché ti ha risparmiato il suo sorriso.
endimione Lo so fin d’ora, o straniero, o tu che parli come un dio.
straniero Il divino e il terribile corron la terra, e noi andiamo sulle strade. L’hai detto tu stesso.
endimione O dio viandante, la sua dolcezza è come l’alba, è terra e cielo rivelati. Ed è divina. Ma per altri, per le cose e le belve, lei la selvaggia ha un riso breve, un comando che annienta. E nessuno le ha mai toccato il ginocchio. straniero Endimione, rasségnati nel tuo cuore mortale. Né dio né uomo l’ha toccata. La sua voce ch’è rauca e materna è tutto quanto la selvaggia ti può dare.
endimione Eppure.
straniero Eppure?
endimione Fin che quel monte esisterà non avrò piú pace nel sonno.
straniero Ciascuno ha il sonno che gli tocca, Endimione. E il tuo sonno è infinito di voci e di grida, e di terra, di cielo, di giorni. Dormilo con coraggio, non avete altro bene. La solitudine selvaggia è tua. Amala come lei l’ama. E adesso, Endimione, io ti lascio. La vedrai questa notte.
endimione O dio viandante, ti ringrazio.
straniero Addio. Ma non dovrai svegliarti piú, ricorda.