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la belva 43



suo gesto, ogni pensiero che tu fai di lei racchiudesse infinite cose della tua terra e del tuo cielo, e parole, ricordi, giorni andati che non saprai mai, giorni futuri, certezze, e un’altra terra e un altro cielo che non ti è dato possedere?

straniero   Ho sentito parlare di questo.

endimione   O straniero, e se questa persona è la belva, la cosa selvaggia, la natura intoccabile, che non ha nome?

straniero   Tu parli di cose terribili.

endimione   Ma non basta. Tu mi ascolti, com’è giusto. E se vai per le strade, sai che la terra è tutta piena di divino e di terribile. Se ti parlo è perché, come viandanti e sconosciuti, anche noi siamo un poco divini.

straniero   Certo, ho veduto molte cose. E qualcuna terribile. Ma non occorre andar lontano. Se può giovarti, ti dirò che gli immortali sanno la strada della cappa del camino.

endimione   Dunque, lo sai, e mi puoi credere. Io dormivo una sera sul Latmo — era notte — mi ero attardato nel vagabondare, e seduto dormivo, contro un tronco. Mi risvegliai sotto la luna — nel sogno ebbi un brivido al pensiero ch’ero là, nella radura — e la vidi. La vidi che mi guardava, con quegli occhi un poco obliqui, occhi fermi, trasparenti, grandi dentro. Io non lo seppi allora, non lo sapevo l’indomani, ma ero già cosa sua, preso nel cerchio dei suoi occhi, dello spazio che occupava, della radura, del monte. Mi salutò con un sorriso chiuso; io le dissi: «Signora»; e aggrottava le ciglia, come ragazza un po’ selvatica, come avesse capito che mi stupivo, e quasi dentro sbigottivo, a chiamarla signora. Sempre rimase poi fra noi quello sgomento.
O straniero, lei mi disse il mio nome e mi venne vicino — la tunica non le dava al ginocchio — e stendendo la mano mi toccò sui capelli. Mi toccò quasi esitando, e le ven-