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la belva | 45 |
la belva, c’è l’urlo, la morte, l’impetramento crudele. So il sangue sparso, la carne dilaniata, la terra vorace, la solitudine. Per lei, la selvaggia, è solitudine. Per lei la belva è solitudine. La sua carezza è la carezza che si fa al cane o al tronco d’albero. Ma, straniero, lei mi guarda, mi guarda, e nella tunica breve è una magra ragazza, come tu forse ne hai vedute al tuo paese.
straniero Della tua vita d’uomo, Endimione, non avete parlato?
endimione Straniero, tu sai cose terribili, e non sai che il selvaggio e il divino cancellano l’uomo?
straniero Quando sali sul Latmo non sei piú mortale, lo so. Ma gli immortali sanno stare soli. E tu non vuoi la solitudine. Tu cerchi il sesso delle bestie. Tu con lei fingi il sonno. Che cos’è dunque che le hai chiesto?
endimione Che sorridesse un’altra volta. E questa volta esserle sangue sparso innanzi, essere carne nella bocca del suo cane.
straniero E che ti ha detto?
endimione Nulla dice. Mi guarda. Mi lascia solo, sotto l’alba. E la cerco tra i faggi. La luce del giorno mi ferisce gli occhi. «Tu non dovrai svegliarti mai», mi ha detto.
straniero O mortale, quel giorno che sarai sveglio veramente, saprai perché ti ha risparmiato il suo sorriso.
endimione Lo so fin d’ora, o straniero, o tu che parli come un dio.
straniero Il divino e il terribile corron la terra, e noi andiamo sulle strade. L’hai detto tu stesso.
endimione O dio viandante, la sua dolcezza è come l’alba, è terra e cielo rivelati. Ed è divina. Ma per altri, per le cose e le belve, lei la selvaggia ha un riso breve, un comando che annienta. E nessuno le ha mai toccato il ginocchio.