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ne un sorriso, un sorriso incredibile, mortale. Io fui per cadere prosternato — pensai tutti i suoi nomi — ma lei mi trattenne come si trattiene un bimbo, la mano sotto il mento. Sono grande e robusto, mi vedi, lei era fiera e non aveva che quegli occhi — una magra ragazza selvatica — ma fui come un bimbo. «Tu non dovrai svegliarti mai», mi disse. «Non dovrai fare un gesto. Verrò ancora a trovarti». E se ne andò per la radura.
Percorsi il Latmo quella notte, fino all’alba. Seguii la luna in tutte le forre, nelle macchie, sulle vette. Tesi l’orecchio che ancora avevo pieno, come d’acqua marina, di quella voce un poco rauca, fredda, materna. Ogni brusío e ogni ombra mi arrestava. Delle creature selvagge intravvidi soltanto le fughe. Quando venne la luce — una luce un po’ livida, coperta — guardai dall’alto la pianura, questa strada che facciamo, straniero, e capii che mai piú sarei vissuto tra gli uomini. Non ero piú uno di loro. Attendevo la notte.

straniero   Cose incredibili racconti, Endimione. Ma incredibili in questo che, poiché senza dubbio sei tornato sul monte, tu viva e cammini tuttora, e la selvaggia, la signora dai nomi, non ti abbia ancora fatto suo.

endimione   Io sono suo, straniero.

straniero   Voglio dire... Non conosci la storia del pastore lacerato dai cani, l’indiscreto, l’uomo-cervo...?

endimione   O straniero, io so tutto di lei. Perché abbiamo parlato, parlato, e io fingevo di dormire, sempre, tutte le notti, e non toccavo la sua mano, come non si tocca la leonessa o l’acqua verde dello stagno, o la cosa che è piú nostra e portiamo nel cuore. Ascolta. Mi sta innanzi — una magra ragazza, non sorride, mi guarda. E gli occhi grandi, trasparenti, hanno visto altre cose. Le vedono ancora. Sono loro queste cose. In questi occhi c’è la bacca e