Demetrio Pianelli/Parte seconda/V
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V.
La prima battaglia era vinta: ma il giorno stesso che Demetrio ripose il piede in casa di sua cognata volle assolutamente patti chiari, rimedi pronti, e cominciò a operare colla terribile inesorabilità del chirurgo che taglia fin che c’è male, senza badare agli strilli dell’ammalato. Beatrice dovette mordere il freno e rassegnarsi. A Demetrio importava poco di lei. Era venuto non per lei, ma per i figliuoli. I conti erano presto fatti. Cesarino non aveva lasciato dietro di sè che una piccola pensione militare, un’ottantina di lire all’anno. La dote di Beatrice era ancora in aria, mentre il buon babbo non aveva più credito per un quattrino. Tra debiti grossi e minuti c’erano cinque mila lire da pagare al momento, oltre quello verso il Martini, e non c’erano tutti; poi bisognava vivere e vestirsi in cinque persone. A questi bisogni Demetrio non poteva far fronte che con qualche suo piccolo risparmio messo in disparte e col suo stipendio....
Cominciò subito a vendere, a vendere, senza misericordia tutto ciò che non era strettamente necessario; placò l’ira del padrone di casa con una prima anticipazione, e rilasciò qualche cambialetta ai bottegai. Ma erano goccie nel mare. Per far fronte al grosso dei debiti e specialmente a quello segreto verso il signor Martini, scrisse a suo cugino delle Cascine Boazze, uomo di gran cuore e ben provveduto, che mise a disposizione del parente un libretto della Banca Popolare.
Paolino, come s’è visto, amava Demetrio come un fratello e se ne serviva spesso negli affari suoi, specialmente per il buon collocamento dei capitali o per l’esazione delle cedole di rendita o per altre operazioni di questo genere, in cui Demetrio aveva una certa praticaccia. Nel mandargli il libretto della Banca, Paolino gli scrisse anche una lettera piena di maiuscole:
- «Caro cugino,
L’opera che fai per i Figli di tuo fratello è santa e sarà Benedetta in cielo. Io ricordo sempre i benefici che ho ricevuti dalla Tua buona mamma, dunque metti che in questa circostanza i miei denari siano Tuoi e me li restituirai quando Potrai e non stare a Ringraziarmi. Salutami la signora tua cognata anche a nome di Carolina.
Tuo aff.mo cugino
Botta Paolino».
La quale signora cognata, dopo il breve soggiorno dei Pianelli alle Cascine, era rimasta impressa nella mente del lungo Paolino, che da qualche tempo, oltre al mangiare di poca voglia, si sentiva addosso un certo lasciatemi stare, che la Carolina attribuiva ai soliti effetti della primavera. La buona sorella, un donnone tutta affezione e tenerezza, sempre malata di gambe, avrebbe voluto che il figliuolo pigliasse della magnesia; ma Paolino capiva che i suoi mali non si potevano guarire colle medicine. Con la testa piena di progetti e col cuore ancora pieno di speranze e di paure, colse al volo l’occasione di fare un po’ di bene alla famiglia di quella donna, che, come si disse, gli era rimasta impressa negli occhi....
Demetrio seguitò a vendere. Il pianoforte prese la via della scala e produsse un trecento lire, colle quali si potè ristabilire il credito del fornaio. La musica è una bella cosa, ma dopo pranzo. Altre cinquanta lire furono raccolte, vendendo ad un orefice la pendolina e qualche candelabro di bronzo. Un minutiere offrì venticinque lire di una gran pipa di schiuma di mare, nuova, con delle donne nude, che, oltre allo scandalo, non serviva a niente.
Demetrio pigliava i denari con una mano e li spendeva coll’altra coll’idea di riempire dei buchi. Beatrice assisteva come una sonnambula a quel mercato che trasformava la sua casa in una bottega di rigattiere. Venivan su certi figuri, stavano a contrattare un poco, e poi quadri, tavolini, cornici, masserizie, pigliavano la strada della scala.... Era un sogno per la misera donna, un sogno dal quale non riusciva mai a svegliarsi. Se faceva tanto di lamentarsi, di opporsi un poco, di difendere una cosetta sua, il cognato era lì, ostinato, duro, inesorabile come un aguzzino:
— Ricordatevi che mi avete chiamato voi — diceva. — O comando io, o comandate voi. Se non vi piace, piglio il mio cappello e me ne vado....
E poichè non c’era da sperare salute in altri santi, bisognava mordere il freno, tacere, inghiottire e procurare di nascondere qualche cosa al furore morboso da cui pareva invasato quel terribile uomo.
E così fece coll’aiuto della Pardi, alla quale scrisse una lettera pietosa, raccontandole tutte le sue miserie, e invocandone l’alleanza. A lei mandò di nascosto qualche gioiello, qualche preziosa memoria e si raccomandò come si prega la Madonna.
La Pardina, che in fondo era una donna di cuore, sentì una gran compassione della poveretta.
Forse parlava in lei anche un piccolo rimorso per il male che aveva fatto a Cesarino. Promise insomma di far tutto ciò che era nelle sue mani per aiutare la vedova disperata. Mandò subito qualche denaro di nascosto, perchè la tribolata creatura potesse comperarsi almeno una spilla di lutto.
Ma la più gran scena scoppiò una mattina, un venti giorni dopo la morte di Cesarino, quando l’Elisa sarta portò a Beatrice e alla figliuola i vestiti di lutto.
Per caso c’era anche Demetrio, che accolse la bella biondina con una faccia di spauracchio.
— Che roba è? chi l’ha comandata? — dimandò bruscamente, mentre cercava di guardare nella scatola.
L’Elisa, la bionda Elisa, a cui stava bene la lingua di porta Ticinese in bocca:
— Cosa gh’è? — esclamò. — Semm al dazi?
— Son ciarle inutili — gridò subito Demetrio per farla finita. — Io non ho ordinato nulla: dunque porti indietro questa roba.
— Come porti indietro?
— Sì, indietro.... Non ho comandato nulla....
— Ma io non so nemmeno chi sia lei.
— Se non lo sa, se lo faccia dire. Io non pago se non ciò che ordino.
Beatrice accorse al battibecco e cercò di dimostrare che si trattava di un modesto vestito di lutto, che aveva ordinato lei: ma Demetrio non volle sentire ragioni.
— O pago io, o pagate voi: o comando io, o comandate voi. Questa roba io non la ricevo: la porti indietro e faccia presto.
Beatrice portò il fazzoletto agli occhi e scappò via, esclamando:
— È troppo! non ne posso più.
Il dialogo continuò sulla porta tra la bella biondina dagli occhi di falco e l’orso della Bassa. Quella cercava di farsi avanti: e questi faceva di tutto per chiuderle l’uscio sul naso. Dopo un mezzo minuto di ginnastica, l’Elisa, che aveva tutte le ragioni per perdere la pazienza e che dalle lagrime della sora Beatrice aveva capito all’ingrosso con chi aveva a che fare, aprì le valvole a una eloquenza che non ha niente a che fare con quella di Demostene, ma che macina più di dieci molini a vapore.
Demetrio, irritato, ostinato in quella grande impresa di riordinamento e di economia, non ripeteva che due frasi:
— Non pago niente...., non ho ordinato niente....
Seguitava ad alzare la voce, cercando di aiutarsi sempre più colle mani per cacciar via quella vespa, che, tolta la scatolona dalle mani della piccina, continuava invece a farsi avanti urtando Demetrio nella pancia. Seguì un duetto in due chiavi, che tirò l’attenzione di tutto il vicinato.
Per un poco furono monosillabi: chi? io? lei? sì? via? (e intanto le finestre si popolavano di gente). E il dialogo durò così un pezzetto. Ma quando Demetrio uscì fuori col titolo di sora pettegola, addio, fu il diluvio universale! L’Elisa salì sugli acuti e cantò una litania in cui entravano tutte le bestie dell’arca di Noè, dallo scorpione ai pipistrelli. Il povero uomo fu paragonato a un moccolo, a un cero pasquale, a una cartapecora di messale stracciato, a un cavastivali, a una sedia sgangherata, a cento cose, l’una più metaforica dell’altra, che nella fantasia della giovane e nella furia del momento servivano bene, come serve bene qualunque cosa venga alle mani in un momento di rivoluzione. Non era una donna, ma una trombetta.
Demetrio perdette subito la voce sotto quel diluvio. Vedendo che le scale e i pianerottoli si riempivano di gente e dalle finestre del cortile uscivano teste e cuffie, non volendo prolungare lo scandalo, con uno spintone più forte degli altri cacciò fuori la ragazza, chiuse l’uscio, girò la chiave, e, mentre l’Elisa faceva su per le scale la casa del diavolo, suscitando la curiosità e i commenti dei vicini, egli tornò in cerca di Beatrice, e, agitando nell’aria le due dita del suo eterno dilemma, gridò ancora una volta con voce rauca e scassinata:
— O comando io, o comandate voi: o pago io, o pagate voi: o mi volete, o non mi volete...., o resto, o vado via....
Beatrice, soffocata dalle lagrime e dalla passione corse a vestirsi e uscì di furia, sbattendo gli usci dietro di sè.