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avanti urtando Demetrio nella pancia. Seguì un duetto in due chiavi, che tirò l’attenzione di tutto il vicinato.
Per un poco furono monosillabi: chi? io? lei? sì? via? (e intanto le finestre si popolavano di gente). E il dialogo durò così un pezzetto. Ma quando Demetrio uscì fuori col titolo di sora pettegola, addio, fu il diluvio universale! L’Elisa salì sugli acuti e cantò una litania in cui entravano tutte le bestie dell’arca di Noè, dallo scorpione ai pipistrelli. Il povero uomo fu paragonato a un moccolo, a un cero pasquale, a una cartapecora di messale stracciato, a un cavastivali, a una sedia sgangherata, a cento cose, l’una più metaforica dell’altra, che nella fantasia della giovane e nella furia del momento servivano bene, come serve bene qualunque cosa venga alle mani in un momento di rivoluzione. Non era una donna, ma una trombetta.
Demetrio perdette subito la voce sotto quel diluvio. Vedendo che le scale e i pianerottoli si riempivano di gente e dalle finestre del cortile uscivano teste e cuffie, non volendo prolungare lo scandalo, con uno spintone più forte degli altri cacciò fuori la ragazza, chiuse l’uscio, girò la chiave, e, mentre l’Elisa faceva su per le scale la casa del diavolo, suscitando la curiosità e i commenti dei vicini, egli tornò in cerca di Beatrice, e, agitando