Delle speranze d'Italia/Capo IV

Capo IV

../Capo III ../Capo V IncludiIntestazione 25 aprile 2022 75% Da definire

Capo III Capo V

[p. 29 modifica]

CAPO QUARTO.

delle repubblichette


1. Temo, sia molto più diffuso quest’altro sogno tutt’opposto: lasciarsi dividere la penisola in una moltitudine di tanti stati popolari, quanti ne risultassero di mezzo ad una sollevazione d’Italia. Fu sogno di coloro che il buono e sincero sognatore Carlo Botta1 chiama gli utopisti del nostro secolo incipiente; fu, od apparve, sogno de’ sollevati romagnoli del 1830, de’ congiurati con essi, e di quelli che chiamaronsi Giovine Italia.

2. Sogno di stolte restaurazioni anche questo! sogno partorito dalla monomania greco-romana [p. 30 modifica]che corse tra gli anni 1790 e 1800; sogno fomentato dalla monomania dei medio evo che corse tra gli anni 1814 e 1830; monomanie, fissazioni, mode, serbate, come avviene troppo sovente, in Italia, quand’erano già vilipese e derise altrove. Le repubblichette italiche e greche dell’antichità, le repubblichette italiane del medio evo furono l’une e l’altre molto belle e buone a’ lor tempi; furono l’une e l’altre principii di due magnifiche civiltà. Ma progredite queste, le repubblichette greche soggiacquero lene lene al regno semibarbaro macedonico, poi sotto l’ombra di questo a’ Romani; le repubblichette italiche, pur ai Romani; e le repubblichette italiane del medio evo, agli Angioini, a’ Re Francesi, agli Imperadori Tedeschi, a casa d’Austria, a Napoleone, senza tener conto che anche prima di morire elle stettero il più del tempo di lor breve vita sotto ai tiranni. E quindi ei mi pare che, quando anche fosse buono in sè, non varrebbe la pena di stabilire un tale ordinamento, il quale da ogni esempio antico o nuovo è mostrato così poco durevole, così incompatibile colle civiltà progredite.

3. Ma, quando anche potesse durare, non sarebbe buono nè desiderabile. Come? si scioglierebbero gli Stati che han costato l’opera di tante generazioni? si ridividerebbe ciò che s’è uni[p. 31 modifica]to? si distruggerebbero questi che sono pur edifizii della presente civiltà? si farebbe campo nudo di tutto ciò per riedificarvi le macerie del medio evo, o le pelasgiche, o ciclopee? E questo si chiamerebbe liberalità e progresso? Ma! il progresso e la liberalità vanno innanzi e non indietro, edificano e non distruggono, si giovano di ciò che è, per aggiungervi ciò che manca; capiscono ogni bellezza, riconoscono ogni bontà, e fan virtù del conservarle ed accrescerle. Pogniamo che si sciolgano gli Stati Italiani presenti; per esempio Toscana nelle repubblichette antiche di Firenze, Siena, Pisa, Pistoia, e nella nuova di Livorno, che ben vi potrebbe pretendere. Non sarebbe egli gran peccato veder disfatto quel bello e lieto stato di Toscana? e morte le speranze delle vie moltiplicate, del commercio accresciuto, dell’arti, delle lettere riunite in grandi studi, speranze che non possono effettuarsi oramai se non per le forze congiunte di tutte quelle città? Non parlo dell’agguerrito Piemonte, e di Napoli, che s’agguerrisce. S’intende, che si scioglierebbono quegli eserciti Italiani ed or esistenti, che non si accrescerebbero quell’armate navali or nascenti; che si tornerebbe alle milizie ed alle navi municipali del medio evo. Se non che ai nostri di nè milizie nè navi non si hanno se non dagli Stati ricchi, e non sono più ricchi se non i grandi; [p. 32 modifica]ondechè le restaurazioni delle milizie o delle navi comunali sarebbero il più ineffettuabile fra’ sogni fatti per restituir potenza all’Italia. Quanto agli stati del papa, io non bo accertato se le repubblichette da restaurarsi sarebbon quelle di Veio, Tarquinio od Alba-Lunga? ovvero, quelle di Tivoli, Spoleto, e Perugia coll’accompagnamento de’ Crescenzii, de’ Frangipani, degli Orsini e Colonna, e sotto a un Arnaldo, o ad un Cola? ovvero la repubblica romana e suoi consoli dell’anno 1799? Ed io so bene che ad alcuni tuttociò parrebbe pur meglio che i Frati, i Preti, i Cardinali, ed il Papa. Ma io non temo per costoro; non vi è pericolo; ei sono molto bene difesi dal nostro Gioberti, e si difenderanno del resto da sè2 [p. 33 modifica]

4. Ma pogniamo che le repubblichette paressero autorizzate dalla storia, e desiderabili; elle [p. 34 modifica]sarebbero pure l’ordinamento più impossibile ad effettuarsi. Pensare, che col discredito, col ribrezzo, colla paura, esagerata o no, che s’ha in tutta Europa delle repubbliche, si tollerassero in Italia dalle potenze straniere le quali hanno quelle paure; pensare che i principi italiani, che i lor aderenti soffrissero la propria distruzione, non provvedessero a quella conservazione di sè, che è primo istinto, prima forza, primo diritto e dovere d’ogni persona individuale o complessa; pensare che la pluralità della nazione italiana si lasciasse far legge da pochi i quali, sani od insani, spensierati o provvidi, si farebbero ad ogni modo sovvertitori di tutti gli interessi, di tutti i diritti, di tutti i doveri presenti: sarebbe pensare che noi non siamo nel secolo xix, in un secolo di civiltà progredita, cioè appunto di quegli interessi, que’ diritti e que’ doveri meglio sentiti, e più rivendicati da ciascuno; sarebbe pensare che si possa tornare ai tempi barbarici; sarebbe anzi inventare una barbarie non mai veduta, posciachè nemmeno ai tempi barbarici non si fece mai tale astrazione da ogni fatto e diritto attuale, tal campo raso. — E il vero è che tutti quanti questi sogni, se non fossero più sogni, se potessero passare ad esecuzione, sarebbero scelleratezze, delitti di lesa-civiltà.


Note

  1. Vedi il sogno particolare di lui, un governo tribunizio, in fine della Storia dal 1789 al 1814. Al quale quantunque di tanto scrittore, non volli fermarmi; siccome quello che non passò, ch’io sappia, da sogno privato a pubblico, di molti, e nemmen di parecchi.
  2. Ultimamente, mentre io scriveva così d’Arnaldo, uno de’ primi ingegni d’Italia pubblicava una tragedia con documenti, nella quale ei tentava ridestar interesse per quel capo-popolo romano. Forse l’interesse sarebbe riuscito più poetico, se si fosse fatto il Protagonista vittima solamente dell’accordo tra un principe italiano e lo straniero; senza rifarlo eretico nella tragedia, dopo averlo difeso dall’eresia nella vita preposta. Ma questo stesso interesse poetico sarebbe egli stato storico? Certo i documenti allegati (e notissimi) confermano che Arnaldo fu sollevator de’ popolani romani contra il papa, al momento che popolo e papa avrebber dovuto riunirsi co’ Lombardi alla difesa dell’indipendenza; che Arnaldo fu causa o almen occasione (non iscusa) al papa di riunirsi all’imperatore; che fu dunque disturbator di quella difesa, e ritardatore di quanto fu fatto pochi anni appresso da’ Lombardi con un altro papa. Senza Arnaldo la immortal confederazione di Pontida sarebbesi forse fatta, la vittoria ultima di Legnano sarebbesi conseguita parecchi anni prima e meglio; la gloriosissima guerra lombarda sarebbe stata più grossa e più corta, più gloriosa, più italiana, più efficace. Non basta recar documenti, bisogna interpretarli; i documenti non sono storia per sé; la storia come ogni scienza è interpretazione de’ fatti. — La quale poi pur troppo si può fare, con sincerità ed eguale amor patrio, diversamente; ondechè panni a lasciare quell’accusa di moda straniera, d’imitazione da’ Francesi e Tedeschi, che l’autore fa a noi, dissenzienti da lui. Noi potremmo ribatter l’accusa, e dire che se noi seguiamo la moda straniera del secolo presente, egli segue la moda straniera ed invecchiata del secolo scorso; che un Manzoni, un Pellico, un Rosmini, un Cantù, un Gioberti, ed altri forse hanno fatta italiana la moda nostra da un vent’anni, cioè prima che fosse straniera; che gli scritti di tutti questi (e spero anche questo mio) palesano almeno un lungo e indigeno studio delle cose patrie; e che del resto straniera più ch’ogni altra, e straniera volgare, è la moda d’accusarsi di stranierume tra dissententi sulle cose patrie. Gli alti ingegni di tutti i tempi, di tutti i paesi, e gl’italiani principalmente, fecero proprio sempre quanto trovaron buono fuori patria; e gl’ingegni buoni dissenzienti van pur gridando: «pace, pace, pace». E noi leniamo fra’ più degni d’accettare e ribatter tal grido l’illustre autore dell’Arnaldo.