Delle speranze d'Italia/Capo II

Capo II

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CAPO SECONDO.

di quattro ordinamenti sperati e prima — del regno d’italia


1. E quindi ei parrebbe a cercare prima, come rimuovere il vizio manifesto dell’ordinamento presente. Ma, questo sarebbe procedere a modo de’ sovvertitori di tutti i tempi; i quali di qualunque cattivo ordinamento s’adirino., non pensano se non a sovvertirlo, senza aver pensato prima all’ordine nuovo che avranno a porre in vece. La massima contadinesca di non mettere il carro innanzi a’ buoi, è buona a seguirsi principalmente in politica: ei si vuol pensare a’ conducenti prima che al carro condotto; e quindi all’ordine nuovo da stabilirsi prima che al vecchio da abbandonare, allo scopo cui arrivare prima che alla via da scegliere.

2. Ma lasciamo le idee, i disegni, le speranze troppo antiche: il principe di Macchiavello, il papa de’ Guelfi, l’imperator de’ Ghibellini, e la [p. 16 modifica]monarchia di Dante. Tutti questi furono poco più che sogni a’ loro tempi, ed or sono sogni antiquati. Volendo fermarci a sogni, parliamo di quelli de’ nostri dì. Non risaliamo oltre al 1814; ci basterà e soverchierà, anche ridotto così l'argomento. — Io crederei che il primo e più frequente sogno fatto intorno a quell’epoca sia stato quello d’una monarchia comprendente tutta la penisola, d’un Regno d’Italia. Nome e idea erano conseguenti a tutto ciò in mezzo a cui eravamo stati allevati. Il più potente uomo di nostra età (e di molte altre) aveva anch’egli fatto un gran sogno della monarchia universale, un sogno minore del regno d’Italia. Chè anzi questo esisteva già di nome, in cominciamento: eravi un regno d’Italia, corrente dall’Alpi agli Abbruzzi, e comprendente così quasi tutta la penisola orientale. — A che tal forma, informe, longitudinale, lunga e stretta? io non credo che il possa dire nessuno, nemmeno dopo aver letto ciò che ne dice Napoleone ne’ suoi dettati di Sant-Elena. Tutto ciò è una solenne impostura. Che l’Italia s’avesse a tagliare in lungo e non in largo, e dividerla per educarla ad unità od a non so che, sono sofismi tali, che non potevano venire in capo se non a chi, avvezzo a tiranneggiare coll’opera, sperava tiranneggiare collo scritto; non pensando, che se là giova la forza, qua non serve se non la ragione. Io cre[p. 17 modifica]derei che se Napoleone sognava una riunione d’Italia, ei sognasse quella all’imperio francese; che il suo regno d’Italia fosse destinato a sorte pari a quella del suo regno d’Olanda, e Napoli a quella d’Amburgo; che quell’ordinamento napoleonico d’Italia non fosse in somma se non ciò che chiamavasi nella lingua franca allor corrente, una organizzazione interinale o provvisoria. — Ma ad ogni modo n’eran rimasti il bel nome, la bella idea d’un regno d’Italia. Il Napoleonico era stato parziale, e manco male, il nuovo sognossi intiero; il Napoleonico era stato dipendente, e manco male, il nuovo sognossi indipendente; il Napoleonico era stato sotto un principe straniero, e il nuovo sognossi sotto uno nazionale, o che diventasse nazionale, qualunque fosse, o, per servirci della frase allor volgare, “fosse il diavolo” purchè fosse re d’Italia. E fu sognato di siffatto regno da non pochi. Prima da Gioachino Murat e suoi partigiani nel 1814 e 1815; e quasi nel medesimo tempo da’ Milanesi sollevati il dì della morte di Prina, e dai deputati che furono mandati a Parigi; poi, da altri congiurati del 1815; poi, da tutti quelli del 1820 e 1821. E ne fu sognato allora e poi, non solo da congiurati e società segrete, ma da uomini di governo e di stato; e non solamente da quelli che ebber nome di amici, ma da quelli che l’ebbero di nemici a siffatte novità. [p. 18 modifica]Nè di tuttociò mancheranno agli storici futuri citazioni e documenti. Ma io scrivo a’ contemporanei; i quali sanno quanto o meglio di me, che il sogno del regno d’Italia fu Se non universale, molto frequente a quell’epoca.

3. E che fosse sogno basterebbe forse a dimostrarlo, il fatto che non s’effettuò. Accenniamone tuttavia le ragioni, chiare ora. Principi, uomini di governo, popolani, congiurati, e sudditi varii, volevano il regno, ognuno a modo suo; i congiurati, i popolani non tanto il regno, quanto gli ordini sognati liberi nel regno sognato, un sogno allora aggiunto all’altro, la libertà all’indipendenza. I prìncipi avrebbon voluto indipendenza, ma non guari libertà. I grandi, nobili, ricchi, notabili d’ogni maniera volevano aristocrazie; i non distinti per nulla, democrazie, secondo il solito. E secondo il solito Napoli s’avventava; e contro al solito Milano aspettava, Torino si muoveva; con una differenza, un disaccordo di mosse, da far presagire un disaccordo anche maggiore di scopo, quando fosse venuto a palesarlo ciascuno. Ed Austria era lì a valersi del disaccordo; Francia non v’era ad opporsi; Inghilterra ed altri non se ne curavano. Gli assennati l’avevan preveduto; alcuni generosi s’eran sacrificali; molti ambiziosi s’eran perduti. E n’erano usciti grandi insegnamenti, non nuovi per vero dire ma sem[p. 19 modifica]pre utili a ritrovare: che non si debbono frammischiar le imprese di libertà e d’indipendenza; che questa deve passare prima di quella, e sopra tutto che il regno d’Italia è cosa impossibile in tanta varietà di opinioni, di disegni, di provincie.

4. Del resto, fatti antichi e ragioni perpetue concordano a ciò provare. Niuna nazione fu riunita in un corpo, men sovente che l’Italiana. L’Italia anteriore a’ Romani fu divisa tra Tirreni, Liguri, Ombroni, Fenici, Pelasgi, Greci, Galli e forse altre genti, concorse nella nostra penisola, occidentale rispetto al mondo d’allora, a quel modo che si concorse poi nell’America moderna, o si concorre ora nell’Oceania. — I Romani riunirono sì la penisola a poco a poco, ma posero a ciò non meno tempo che a conquistare l’intiero mondo lor noto; la conquista de’ Salassi fu l’ultima fatta da Augusto prima di chiudere il tempio di Giano, prima di fermare i limiti, e lasciar come arcano d’imperio il non oltrepassarli. Ei non fu dunque, se non insieme con tutto un mondo, che l’Italia rimase riunita sotto l’imperio. E così poi di nuovo, insieme con molte altre provincie, sotto Teoderico, per una trentina d’anni. E quindi, se si voglia parlare d’un regno d’Italia propriamente detto, dell’Italia riunita in sè senz’altre appendici, non se ne troverà in tutta la storia se non un esempio, intermediario tra la [p. 20 modifica]distruzione dell’imperio e Teoderico, un periodo di tredici o quattordici anni sotto Odoacre. Dopo Teoderico l’Italia si ridivise tra Goti e Greci: i Greci la riunirono per altri dieci anni; ma come provincia di lor imperio lontano. Poi fu divisa tra Greci e Longobardi; poi tra Longobardi Beneventani, Franchi e Greci; poi tra Beneventani, Imperatori Franchi, Borgognoni, Tedeschi o Italiani, Saracini e Papi; poi tra Sassoni, Beneventani, Saracini e Papi; poi variamente ad ogni anno, ad ogni mese, tra Imperatori, Papi, Comuni Guelfi, Comuni Ghibellini, Normanni, Angioini, Aragonesi; poi tra Francia ed Austria e Stati come poterono indipendenti; poi Spagna e Stati; poi Francia, Austria e Stati; poi Francia sola, e residui di Stati; ed ora Austria e Stati. Io non so per vero dire qual possa dirsi sogno politico, se non dicasi questo: d’un ordinamento, che non ha nella storia patria se non un esempio di quattordici anni, e che non sarebbe se non restaurazione di un regno barbaro di millequattrocento anni fa.

5. Ma si potrebbe fare ciò che non si fece mai, diranno gl’immaginosi. — E risponderanno coloro che per parlar di cose future vogliono partire almeno da fatti presenti: Torino, Milano, Firenze, Roma, Napoli, Parma e Modena sono sette città capitali al dì d’oggi (senza contar Lucca destinata a riunirsi con Toscana); in sei di quel[p. 21 modifica]le regnano sei principi; ed uomini, città o stati non diminuiscono di condizione mai se non per forza, non mai per accordo, di buon volere, nè per uno scopo eventuale. Sogno è sperar da una sola città capitale, che voglia ridursi a provinciale; maggior sogno che sei si riducano sott’una; sogno massimo che s’accordin le sei a scegliere quell’una. — E tanto più che ciò non è desiderabile, nè per le sei sceglienti, nè per l’una prescelta, nè per la nazione intiera. Si grida in tutt’Europa (bene o male, non importa), si grida ora quasi unanimemente dappertutto contro alle grandi capitali, contro a ciò che si chiama centralizzazione de’ governi, degli interessi, delle ricchezze, contro alla spogliazione delle provincie. E chi ha sette capitali si ridurrebbe a spogliarne sei a vantaggio d’una? Lo sperarlo sarebbe non più sogno ma pazzia; sarebbe un voler fare coll’opinione ciò che è più contrario all’opinione presente; ciò è impossibile quanto evitabile, evitabile quant’è impossibile; è, diciam la parola vera, puerilità, sogno tutt’al più da scolaruzzi di rettorica, da poeti dozzinali, da politici di bottega.

6. E poi, quando non fosse sogno per tutte queste ragioni, tal rimarrebbe per quest’una. Che diventerebbe il papa in un regno d’Italia? Re esso? Ma ciò non è possibile, non si sogna da nessuno. [p. 22 modifica]Suddito? Ma allora sì, che ei sarebbe dipendente; e non solo, come al peggior tempo del medio evo, suddito dubbioso del monarca universale, ma suddito certo d’un re particolare. Ciò non sarebbe tollerato dalle altre nazioni cattoliche; non sarebbe dalle stesse acattoliche; ciò anderebbe contro a tutti gl’interessi, tutti i destini della Cristianità; ciò non sarebbe tollerato da una parte della nazione stessa italiana, che noi tollerò nel medio evo. E v’ha chi dice che ciò fu male, e chi che ciò fu bene. Io dico che ad ogni modo ciò fu, ciò sarebbe in simili occasioni; ondechè il tentarlo o solamente proporlo sarebbe dividere e non riunire la nazione nostra, sarebbe quindi non migliorare ma peggiorare le nostre condizioni. — Ed io mi vergogno d’aver fatto un altro capitolo inutile.