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capo secondo | 21 |
le regnano sei principi; ed uomini, città o stati non diminuiscono di condizione mai se non per forza, non mai per accordo, di buon volere, nè per uno scopo eventuale. Sogno è sperar da una sola città capitale, che voglia ridursi a provinciale; maggior sogno che sei si riducano sott’una; sogno massimo che s’accordin le sei a scegliere quell’una. — E tanto più che ciò non è desiderabile, nè per le sei sceglienti, nè per l’una prescelta, nè per la nazione intiera. Si grida in tutt’Europa (bene o male, non importa), si grida ora quasi unanimemente dappertutto contro alle grandi capitali, contro a ciò che si chiama centralizzazione de’ governi, degli interessi, delle ricchezze, contro alla spogliazione delle provincie. E chi ha sette capitali si ridurrebbe a spogliarne sei a vantaggio d’una? Lo sperarlo sarebbe non più sogno ma pazzia; sarebbe un voler fare coll’opinione ciò che è più contrario all’opinione presente; ciò è impossibile quanto evitabile, evitabile quant’è impossibile; è, diciam la parola vera, puerilità, sogno tutt’al più da scolaruzzi di rettorica, da poeti dozzinali, da politici di bottega.
6. E poi, quando non fosse sogno per tutte queste ragioni, tal rimarrebbe per quest’una. Che diventerebbe il papa in un regno d’Italia? Re esso? Ma ciò non è possibile, non si sogna da nessuno.