derei che se Napoleone sognava una riunione d’Italia,
ei sognasse quella all’imperio francese; che
il suo regno d’Italia fosse destinato a sorte pari
a quella del suo regno d’Olanda, e Napoli a quella
d’Amburgo; che quell’ordinamento napoleonico
d’Italia non fosse in somma se non ciò che
chiamavasi nella lingua franca allor corrente,
una organizzazione interinale o provvisoria. — Ma
ad ogni modo n’eran rimasti il bel nome, la bella
idea d’un regno d’Italia. Il Napoleonico era stato
parziale, e manco male, il nuovo sognossi intiero;
il Napoleonico era stato dipendente, e manco
male, il nuovo sognossi indipendente; il Napoleonico
era stato sotto un principe straniero, e il
nuovo sognossi sotto uno nazionale, o che diventasse
nazionale, qualunque fosse, o, per servirci
della frase allor volgare, “fosse il diavolo” purchè
fosse re d’Italia. E fu sognato di siffatto regno
da non pochi. Prima da Gioachino Murat e suoi
partigiani nel 1814 e 1815; e quasi nel medesimo
tempo da’ Milanesi sollevati il dì della morte
di Prina, e dai deputati che furono mandati a
Parigi; poi, da altri congiurati del 1815; poi, da
tutti quelli del 1820 e 1821. E ne fu sognato allora
e poi, non solo da congiurati e società segrete,
ma da uomini di governo e di stato; e non
solamente da quelli che ebber nome di amici, ma
da quelli che l’ebbero di nemici a siffatte novità.