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capo secondo 17

derei che se Napoleone sognava una riunione d’Italia, ei sognasse quella all’imperio francese; che il suo regno d’Italia fosse destinato a sorte pari a quella del suo regno d’Olanda, e Napoli a quella d’Amburgo; che quell’ordinamento napoleonico d’Italia non fosse in somma se non ciò che chiamavasi nella lingua franca allor corrente, una organizzazione interinale o provvisoria. — Ma ad ogni modo n’eran rimasti il bel nome, la bella idea d’un regno d’Italia. Il Napoleonico era stato parziale, e manco male, il nuovo sognossi intiero; il Napoleonico era stato dipendente, e manco male, il nuovo sognossi indipendente; il Napoleonico era stato sotto un principe straniero, e il nuovo sognossi sotto uno nazionale, o che diventasse nazionale, qualunque fosse, o, per servirci della frase allor volgare, “fosse il diavolo” purchè fosse re d’Italia. E fu sognato di siffatto regno da non pochi. Prima da Gioachino Murat e suoi partigiani nel 1814 e 1815; e quasi nel medesimo tempo da’ Milanesi sollevati il dì della morte di Prina, e dai deputati che furono mandati a Parigi; poi, da altri congiurati del 1815; poi, da tutti quelli del 1820 e 1821. E ne fu sognato allora e poi, non solo da congiurati e società segrete, ma da uomini di governo e di stato; e non solamente da quelli che ebber nome di amici, ma da quelli che l’ebbero di nemici a siffatte novità.