Delle notti/Undicesima Notte

Undicesima Notte

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Edward Young - Delle notti (1745)
Traduzione dall'inglese di Giuseppe Bottoni (1770)
Undicesima Notte
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XI. N O T T E.


V Annientamento.


- -ARGOMENTO.



Prosiegue a trattare lo stesso argomento. Varnichilazione è la più funesta idea, che possa cadere in mente alV uomo. Spiega i * morali disordini, che nascono dal detto empio sistema: e fa vedere V infelice, e pericoloso partito, a cui appigliano coloro, che adottando il materialismo, aspettano a vederne la falsità alV orlo del sepolcro.

Se Pimmortalitade è sogno, è fola,
Io questa solo adoro: e tal menzogna,
Che V uoin consola, aver dovria la palma
Sovra un ver che tormenta. Almen la speme,
5Che c’ispira costei, fa che del mondo
Possa V uomo goder, e la futura
Vita è della presente anima, e base*
Ma se T uoin le divide, a lui non resta
Che piangere, e soffrir nel breve esilio.
10Quegli, che 1* immortai propria esistenza
In due parti divide, e della prima
Soltanto è pago, ogni suo ben distrugge
Nella vita che gode, * allor che tronca
La propria essenza, i mali suoi raddoppia.
15Se del nulla, ch’abborro, io debbo un giorno
Esser misera preda, oh qual profondo,
J£ disperato, e nuovo orror m 1 assale!
Quai terribili affetti il mio pensiero
Cingon di tetra nube, e del mio core
20Fanno strazio fatai! Oh quanto immenso
A me d’intorno delle mie sventure
L’orizzonte si fa! Misera l’erra!
Barbaro Cielo! I miei lamenti udite.

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Era dolce sollievo a? mali miei
25D’un più’ lieto avvenir la speme. Oh DióJ
Questo avvenire è il nulla? A me rijjn resta
Dunque che per soffrir l’ora, che fugge?
Quanto avvilito io sono! In quale abisso
Precipito dal vago etereo seggio, *
30Ove a voi mi portò speme gradita!
Il baratro, ove cadde il più superbo ’
Degli angelici spirti, è me)i profondo
Dello, cupa magione, ov’io mi perdo..
Perche, barbaro amico, a me mi rendi,
35Se un dolce sonno in un più delce ingaimo
Finor mi tenne? Ahi che terribil vista
Rendemi quell’inganno! Oh Dio! S’estingue
A questi lumi il giorno: io più non veggio
Che tenebre, che orrore: io d’ogni bene
40Mi veggo ignudo, e in questa notte orrenda
Più focose le brame in scn mi sento!
Ogni nuovo pensier, che in me si desta,
V anima mi trafigge. A me che giova
L< immaginar, che di più lieta sorte
45jfy poteva goder? Barbara idea,
Che C atro suo velen sparge su mali,
Clioraio deggio soffrir! Qual prò, s’io nacqui
Per trar miseri giorni, e in seno al nulla
Ritornare a perir! Quanto credei
50Dono del Creator, dunque si rende
Dolorosa sventura? E di quesV alma
Le potenze, che un dì cantai superbo,
Altro non son che il mio maggior tormento?
Scienza, di cui tentai scoprir gli arcani
55Con ambiziosa sete, ah volgi altrove
Lo specchio tuo, che a disperar ini porta.
Non mostrarmi, a me stesso: in seno al nulla,
Se in me rivolgo il ciglio, io già mi veggo,
E pin misero son quanto più intendo *
60Qual piacere io provài volgendo in mente
Un generoso nume! Osando il core
D ergersi fino a lui p spinsi lo sguardo

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Entro quel vel, che la sua fronte augusta
>Coprc, e tentai vedere un raggio almeno
65Del mio Bene f attor. Che miro adesso?
Miro un tiranno fier, che vuol ch’io viva 5
E mi nega il mio ben. Egli è ricolmo
jy ogni felicità, di cui non vuole
Che un sol raggio mi giunga. Il tutto eipuote,
70E la miseria mia per lui rimane
Indifferente oggetto. Oh notte oscura,
Renditi ancor più nera, e a! ciglio mio
- Lo nascondi per sempre. Io non ne soffro
La spaventosa idea. Fonnava un tempo
75Questo Nume supremo il mìo contento,
La mia felicità. Lo fuggo adesso, •;
Se pur del nulla è mostruoso amico,,
Solitario tiranno, amale stragi,
E sul nulla regnar fa suo diletto*
80Di quanto egli ha creato io più non posso
Essere spettalor. Or la sua gloria
E’ tormento per me. Dell" universo
Lo splendore m’offende, e i mali mìei
Rende più acerbi ancor. A me che giova *
85D’ammirar la natura allor ch’io soffro;
La vastità vederne allor eli io debbo
Gemere, e confessar, che delle sue /
Meraviglie sì grandi è la maggiore * ’
La miseria delC uomo; e il core in petto
90Sentirmi inorridir mirando in mezzo
Al suo regno in colui, che sol ne puote
La bellezza ammirar, quell’èsser solo
Ch’ebbe in don la ragion, desinali è schiavo f
Che sospira ad un ben, che mai ritrovar’
95E che a strazio maggior si vuol che viva?
La virtude c follìa, delitto enorme
Fj contro la ragion: troppo ci costa,
E quanto soffre i uom per farne acquisto
Privo è di premio. Una menzogna ancora
100La Religion si rznde; ed io non veggio
Più doveri per Cuom. Se alcun ne resta,

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E" di fugare i seduce nii inganni,
Le fallaci speranze, i dolci voti,
Che agitarono il cor, che in lui destaro
105Nobil fierezza: ah folle! Io mi credei
V Eternità goder! Fuggite ornai,
Vani fantasmi, e niun di voi ritorni
lacerarmi il cor: perchè sì lungi
Errar mi feste a far V acerbo acquisto
110D’usi* idea sì ferale - Adunque il volo i
Fermino i voti miei sulla mia tomba*
Tutto si turba, e voi ragion, saviezza,
Lungi lungi da me. Voi di quest* alma
Il governo prendete, e sensi, e voi,
115Indocili passioni, a vostro cenno
Regolate il mio cor. E tu distendi,
O torpida ignoranza, un velo amico
Sul mio destino: il Nume mio tu sei,
Tu solo a questo sen la pace apporti*
120- Se qual bruto morir io deggio, io voglio
Viver qual bruto-, e là mia sorte appunto
£’ un breve gioco, e poca polve impura •
i Qual vergognoso, e barbaro pensiero,
Che degli einpj il maggiore in seno a morte
125Dorma del saggiti al f ianco, e pace eguale
Goda, sebben dalle ruine altrui
Trasse il lustro, il piacer de* giorni suoi!
Prima che vita avesse adunque ogni uomo
Colpevole divenne? E qual delitto
130Di perdono incapace estinto vuole
Tutto V umano germe entro la tomba?
Perchè soltanto contro il germe umano
Si fulminò V orribile condanna:
Ognun viva infelice, e sia mortale?
135Onnipotente Dio ( ménti? io non veggio
Che r odiosa tua possa ) io ti rinfaccio
Z’ origine del mondo, e rea mi sembra,
Se far misero altrui colpa si chiama.
Io non ti chiesi già questa infelice
140Vita. Polente Nume > o tu mi rendi

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V Evernitade, ed il pensier mi togli*
Vtil questo non è, se pur degg’io
Vegetare, e morir. Inutil dono l’’< >
E’ quest’alma per me, c?te in se ragiona, Se
145per render più acerbi i mali miei,
’Se perchè tutto il rio tenor vedessi
D’ogni sventuru mia, d’ogni tormento
Prodigo tu ne fosti, e in faccia a morte
Dovessi palpitar; che dono ingrato! ’ S
150Se dal placido nulla un dì mi trasse
Il braccio tuo, perchè la vita appunto 1
Fosse la pena mia, perchè confuso
Non mi lasciasti insiem co’ varj, e tanti
Esseri, ch’esser ponno, e mai sar anno?
155Perchè voler ch’io nasca, e un altro insetto
Non creare tri mia vece? E poi per una
Barbara preferenza a me dell’alma
Concedi il ricco don, sol perch’io soffra,
PercV io possa morir la vita accordi?
160Ma se la tua felicità dell’uomo
I tormenti potean render più bella $
Perchè insultarvi ancor? Qual prò sul nostre
Capo tener sospeso un del di stelle,
E sì ricco formar splendido albergo
165Per chi di pianto > e di dolor si pasce?
Nè vago, e inèìem fecondo il suol rendesti.
Che per mirar sulV erbe molli, e i fiori
V uomo dal lento ed instancabil morso
Della noja consunto, o per un bene,
170Che mai gustar potrà, struggersi in vano?
Alle lucide sfere il moto impresse V>
II tuo cenno, perchè dal lor viaggio
ledesse l’uom qual de’ suoi mali il corso
Fosse senza temvr d’errore, e lutti
175Del suo penar gl’istanti avesse in faccia?
Ahimè! Che un tristo, e miserabil tetto
Per sì misero fato era migliore.
Era minor sventura esser sepolti
In profonde caverne, in antri oscuri;

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180E tal carcere all’ uom minor tormento A
Recato avria della fiammante aurata,
Sfera, cAe rende il suo pensiero ardito 9
brame accende, e a tutta forza- il trae tK
Verso il primo Fattor. Ma in mezzo a questa
185Sublime, speme, in mezzo a tai trasporti )
Ci attende, e chiama il sozzo verme in quella
Polve, che preme, e V implacabil movie
Tutti ci avvolge in sempiterno obblìo* jv*,;
Morte, che sèi nell’ uomo il sólo amico,
190Vieni, deh vien, che in te soltanto io veggi o
Del cielo un dono, e ogni mio mal distruggi.
Ah non soffrir, ch’ io più m’ aggiri in questo
Ermo deserto, se sperar non posso
Altra cuna più lieta, ov’ io respiri,. f
195Da sì lungo penar, dove di pace
Le dolcezze conosca. O morte! E come
Ancor tu ti cangiasti? Un tempo io vidi
Al di là dell’ orror, che ti circonda, - *y
Vidi un Sole immortai, di cui gli amici jj<
200Rai nel ferir queste pupille, aurata:
Luce spargean sulla funesta nube,
Che l’ urna avvolge; ed or che in grembo al nulla
Apre l’ urna il suo seno, oh quale immenso
E terribile abisso in quella io veggio!
205Qual baratro discopre a chi sognate - ’
Le glorie avea del ciel! Che gola orrenda
 Apre,e dilata a divorarmi!... Adunque
Inghiottire egii dehbe in un momento
Quest’ arima, che in se vedea se stessa,- . v
210Che vitk e corse di natura i regni,
Che se stessa pòrto di stella in stella,
E discoprire, e conversar le piacque».
Coi più nobili spirti, e più sublimi,
Che d’ eguagliar tentò: quest’ alma istessa
215St mirabil, sì grande estinta resta
Neir orror di colei, che tutto tteside? <<
Quando sarà distrutto il mondo, e ascoso
Sarà del tetro, universale orrore:

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Quando la non più vaga eterea volta
220Dell’amari germe chiuderà la tomba,
Tomba, che tutto inghioite, e nulla rende,
Queste note funebri in fronte porti:
z, Sotto gli avanzi de* distrutti mondi
„ Nella confusa, universal mina
225„ Insiem colia più vii materia informe,
Che mai vita non ebbe, immobìl giace
„ l’uomo superbo, che ragion sublime
„ Ebbe in dono, che figlio era del cielo,
51 Della terra signor, predu de" vermi,
230„ Che visse un giorno allo spavento in braccio,
E nelV altro di duol rimase estinto.
S’arresti il passo $ e fren si ponga a queste
Esecrabili voci a noi dettate
Dall’incredulo fier, che tutti uccide
235Gli esseri: ah folle! E perchè mai di tante
Opre sublimi far strage sì fiera?
Geloso è il Ciel di quelle, e l l’increato
Fattor non è qual morta pianta annosa,
Che rami getta per lasciargli estinti
240Neil’aprirsi del fior. Dell’universo
Nell’immenso naviglio un sol frammento
Non si perde, nè umor. Dal soglio eccelso
Fa discendere il Nume, e lo distrugge,
Chi vuol che sovra il niente abbia l’impero*
245Il vero Nume è quel, che tutto crea,
E che tutto conserva. Un nume è questo *
Benefico, pei* cui piacer si rende
Donare un sommo ben, gode in produrre
Esseri sempre nuovi, a solo oggetto ’
250Che crescano i felici. 0 mio Filandro!
Che tu vivi immortai, me: dice il core/;
Se tu vivesti in questo suolo ingrato. #
Fedele alla virtù, servo alla pena,
Nascer non t’avria fatto, il ciel, se un premio
255Del tu* «offrir, di tua virtù, de’ tuoi
Giorni non era a te dal ciel serbato.
Mondo, che in pochi istanti io lascio e/qualu

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Don m*avria fatto il ciel, se tu formavi,
L’unica mia speranza? Oh quanto incerti
260Sonò i tesori tuoi! di questi il sommo *
I cari amici son: ma quante ancora
Fuggon presto da noi! Filandro «.. Elia*
Figlia • ««già dal mio sen giste alla tomba!.
Ovunque il ciglio io volga, il mondo io veggio %
265Che a me d’intorno si scompone,, e cinto
Da gran ruine in abbandono io resto
No, più amar non vogl’io che il bel soggiorno.
De’ fidi amici, e questo, suol disprezzo,
Da cui partirò, e che più tristo ancora. Senza
270di quei rimase* Il vero saggia
Di quest’ore fugaci a 1 sensi suoi
II peso lascia, e vuol che Palma impeli
Sull’ampia, etertiitade* la questa tutte
Occupa le potenze, e si figura
275Le sue venture, a preveder s’impegna.
Ogni brama ripone, e spera ia questa
La sua felicità. Lascia, ogni cura..*
All’Amante suo Nume, a lui si fida;.:
Nò alla sorte, ed all’usta volge wi pensiero,
280Di due sostanze varie è l’uom composto,.
Onde ha duplice vita* e doppia, morte.
Puote l’uomo soffrir. L’ultima all’uomo.
Terribile si rende. Il viver corto,».
Che sulla terra ei gode, il Sol sostiene
285Con benefici influssi, e raggi amici....
Ma la vita dell’alma un più, gentile
Cibo richiede, e il suo vigor dipenda
U a * ra gg* di quel Sol, che il sol produsse
Quando l’Eterno Sol dall’uom si fugge,
290E cbe l’astro; maggior «L’*Kuno abbandona,
Immerso resta in un perfètto orrore;
Doppia soffre la morte e questo, è il fato
D’ognun, che muor con la sua colpa in fronte
Nè duopo v’ha che al jm ecipi zio. orrenda
295S’adopri a trarlo il ciel > libero piomba,
Come per legge di natura al snolo,

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Se posto è In libertà, tende ogni grave.
Pria che possano unirsi e l’nomo, e Dio f
Un convien che si cangi: insiem non maj.
300Luce, e tenebre andran, nè Dio si cangia.
Che se dovrai soffrir tal doppia mprte,
Come potresti il sommo eterno Nume
Tacciar di crudeltà? Quel Nume intende,
Che sia felice l’uom, se l’uomo il vuole;
305Accordar volle il cielo all’uomo, a lutti
Gli Esseri intelligenti il dono eccelsa.
Ma pien di risohio ancor di far contrasto
À’ suoi prpvidi influssi, e questo dono
Necessario «filtrò. Privo cu quello
310È l’angelico spirto, e ¥ uom non era
Che stromento, che agisce, allor che mosso
È da straniera forza, e mai di lode
Capace, o di rossor stato saria..
Senza di Questo dono inutil fora,
315Oziosa la ragion» Colui, che chiede
Di non poter giani mai di sua «velatura
Essere la cagion, dimanda insieme
Di non poter giammai tentar P acquisto 1
Di sua felicità. Questa dal Cielo
320Si vuol, ci s’offre, ed accettarla ancora t.
Or cortese, or severo il cieJ c’invita;
Ma tirannica forza ei non adopra
Dell’eternosuo fato è l’uom soltanto
L’artefice,. e dall’uom solo dipende,,
325Se precipita in seno al cupo abisso:
1Ù in questo piomberà colui, che aspetta
Ad imparar da morte il grande arcano
Deiriiiwnortalita, che in seno ei porta»
Perchè rifiuti ancor la dolce idea
330D’un più lieto avveuir? D J»e l’apprendi,
Quando questo avvenir tema risveglia ft
Più non si britma, e qual menzogna appare,
Se ne muore il desìo; che sempre insieme
Vanno incredulità, tema, e àìì%to*.
335Quando dell’avvenir l’idea si desta

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Air incredulo in seno, e vuole a forza
L’alma occuparne, ei s’avvilisce, a trema:
Crede... Ma che? Vantar sicura fronte,
Stimar sola il futuro, e poi temerlo?
340Ali che questo timor dimostra appunto *
Quel che io difendo inalterabil dogma*
Si, l’incredulità se stessa annienta,
E contro il suo voler confessa ancora,
Che una vita immortai l’anima attende.
345Perchè con vana, ed orgogliosa idea
Te stesso tormentar, far fronte ancora?
Vivi da saggio, e ti consoli il vero.
Dir ti potrò ciò che avvenir ti debba,
Se da saggio vivrai? Senza sdegnarsi
350Restar potrà la tua ragione altera?
Ascolta, e impresso nel tuo sen rimanga
Ciò che moral necessità si rende:
Quanto è più puro il cor, pura è la fede
Quando nel!’ alma tua questa si avveri
355Cangiamento felice, inutil resta
Ogni mio ragionar, si mostra allora
L’esistenza immortai d’una robusta
Vivida luce adorna. Un pio seguace
D’evangelica insegna, appunto come
360• L’angelo di Milton (*) nel Sol soggiornai
Nello splendor nuotando ei più non vede
Torbida nube, e la sua brama accesa
Neil’empirea magion già lo trasporta.
Lorenzo, ascendi sulla sfera ardente
365Di questo sol, che la salita è lieve.
Ei t’invita, ei discende, e trarti ei vuole
Onde un giorno sortì. Tacito, e pieno
Di rispetto, e stupor fissa lo sguardo
Nelle pagine sacre, in cui trionfa
370Ogni prova immortai: Pàgine eccelse,
Che il creato giammai potria produrre,
Che annientar non potrà 1* ultimo incendio
Nè di quelle un accento andrà smarrito

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Nella mina universal del mondo; a
375Che tutte son profondamente impresse Nelle
angelir.be menti, in sen del Nume»
E ardisci ancor eoa temerario orgoglio,.
Sprezzar quel Dio, che su nel ciel si adora?
Infelice! E non vedi in pianto amaro
380Struggersi al fianco tuo le Spirto eccello,
Che il ciel ti die per difensore, e guida?;
A questi detti miei fanno i mortali <
Fan <gli angelici cori eco festosa:.
Ma T incredulo fier, - quest’ alma forte
385Grazie mi rende, ed in suo cor si ride
Del: notturno sognar, ch’ io gli presento
Oh quai da un guasto cor tetri vapori.
S’ ergono ad oscurar quel trono illustre, a:
Ove sedea ragion! Guida all’ orgoglio -.
390È la fervida ménte, e quello è guida >
A vergognosi eccessi:. È degl’ indegni,
Fervidi penetranti ardita insegna
Un libero pensar: cingon di quella.
La temeraria fronte, e vanno alteri
395Di quella adorni ad affrontar l’ olimpo.
Ma nel pender se stessi, in far contrasto,
All’ alma, al cielo, alla ragione, albero,
Giungono a riposar nella tremenda
Sicurezza, che mentre inganna r e piace,
400Del sacrilego ardir pena si rende •