Della superstitiosa noce di Benevento/Parte Prima

Parte Prima
Dell'origine della Noce superstitiosa

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Parte Prima
Dell'origine della Noce superstitiosa
Al signor Gio. Camillo Bilotta Parte Seconda
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P A R T E
P R I M A

Dell’origine della Noce superstitiosa, e come quella fù da S. Barbato Vescovo di Benevento fatta tagliare, con ritrovarvi un Demonio in forma di serpente nelle radiche; et altri curiosi successi intorno à questo


Egnando in Benevento, circa gli anni di Christo DCLXVII. il Serenissimo Romualdo Sesto Ammirato de Duchi di BeneventoDuca di quella Città; si mosse una gravissima guerra in Italia; avvengache Gostante Imperatore di Costantinopoli [p. 2 modifica]impatiente di vedere più una sì nobile, e vaga Provincia dal suo Imperio dismembrata; si volse alla recuperatione di essa, non solo con tutte le sue forze, ma anche con la propria persona, e condottosi con grossa armata in Taranto pose in quelle riviere l’esercito à terra, e cominciando à scorrere, et à depredare la Puglia regione meno forte delle altre comprese sotto il Beneventano Ducato, et havendo spianata da fondamenti Lucera ne divenne della Campagna assoluto Signore; sendo che Romualdo standosene spensierato, e tutto intento al nuovo governo dello stato (lasciatoli da Grimoldo suo Padre pochi mesi prima per l’assontione fatta di quello al Reame de Longobardi) fusse stato colto all’improviso dall’esercito Imperiale; Il quale dopò la presa di Lucera si era condotto all’assedio d’Acerenza in Basilicata fortezza in que tempi di non poca consideratione, et havendovi per più giorni tenuto l’assedio con tentare per ogni via di sorprenderla, vedendo alla fine che l’impresa era malagevole, mentre il luogo per sito fortissimo era da buon numero di [p. 3 modifica]soldati con valore; et fedeltà custodito; risolse di abandonarla, e porre l’assedio à Benevento, sperando di haverlo à pigliare per fame; mentre il giovanetto Romualdo Herchemperto de’ Duchi di Benevento inesperto nelle stratagemme militari non attendea ad altro, che ad ingrossare il suo esercito per venire à giornata con gl’Imperiali, et in tanto non havendo le biade, che abondantemente più d’ogni altro luogo dà la Puglia havea per mantenimento del detto esercito consumate in bona parte quelle di Benevento, e contorni; onde nella Città se ne cominciava à sentire scarsezza; Cominciò adunque à marciare l’esercito Imperiale la volta di Benevento, dove questo presentendo si retirò Romualdo con la miglior gente del suo esercito, e con quella maggior provisione di vettovaglie, che in breve tempo potè radunare, et inviò un Cavaliero Longobardo di sangue, che era stato fedelissimo del Rè suo padre, et anco suo Aio, chiamato Giesualdo, per Pavia à domandare à quello soccorso, e frà tanto attendea à fortificarsi dentro questa Città al più che potea.

Gionto l’esercito con l’Imperador [p. 4 modifica]Gostante à Benevento; ne circondò la Città da per tutto con succedere quasi giornalmente leggieri scaramuzze fra Beneventani, et Imperiali; et ancorche questi facessero tutto il loro sforzo per sorprenderla; ad ogni modo i lor disegni più volte riuscirno vani, difendendosi quei di dentro molto valorosamente con la speranza del prossimo soccorso, che da Lombardia dal Rè Grimoaldo aspettavasi, et in cotal guisa si continuò per molti mesi; Ma alla fine cominciandosi à sentire nella Città non poca scarsezza de viveri, poiche ne era poco provista, come di sopra dicemmo; e per l’ampiezza di essa sendo all’hora di quarantamila fuochi, come si hà da una antica numeratione della Corte Arcivescovale; e però come Città grande non potea sostener lungo assedio; alche si aggiungea lo haver dentro le mura uno esercito, naturalmente noioso; onde per tutte queste cause si cominciava à scorgere ne’ Cittadini alcun sentimento di volersi rendere à patti; Dal che fare erano distolti dal Duca Romualdo, et altri Nobili della Città col porre loro avanti gli occhi lo esempio di Lucera [p. 5 modifica]di Puglia pochi mesi prima dall’istesso esercito Imperiale non pure sacchegiata, ma fin da’ fondamenti spianata; et perciò si stava con molta afflittione, et universalmente per la tardanza del soccorso si cominciava à perdere la speranza di quello.

Prese questo per occasione un Santo Sacerdote chiamato Barbato, et inspirato da Dio cominciò publicamente à predicare per le piazze; non che per le Chiese, dicendo, che la Città si trovava in quel pericolo; per li molti, e gravi peccati, che in publico, et in privato si commetteano; dalche oltre l’offesa di Dio ne nascea non poco scandalo à tutte le altre regioni dell’Italia comprese sotto il Ducato Beneventano, che in quel tempo erano l’Apruzzo, la Calabria, la Puglia, la Terra di Bari, et Otranto, la Campagna felice, hora Terra di Lavoro, eccettuatone Napoli con altre Città di mare, che restorno all’Imperio Greco; la Basilicata, e col nome di Valle Beneventana si comprendeano quelle regioni, che hora noi chiamiamo il Prencipato.

Riprendea il santo huomo in [p. 6 modifica]particolare D. Ovidio de Lucijs nella vita di S. Barbato la superstitiosa adoratione, che si faceva ad un Serpente di bronzo, che à questo effetto teneano sospeso ad un arbore di Noce due miglia fuor della Città; dove in certi giorni prefissi andavano à fare mille superstitiose idolatrie; avvengache un Demonio fusse entrato nelle radici di quella Noce per ingannare quei miseri, in diversi modi; et intorno à ciò deve avertirsi, che la natione Longobarda fù molto dedita alle idolatrie, et all’adoratione di animali bruti, posciache come testifica il P. Martino Delrio della Compagnia di Giesù nelle disquisitioni magicali lib. 4. cap. 2. quest. 6. sect. 4. num. 11. altre volte anche adororno le teste delle Capre.

Erano le ferventi prediche di San Barbato, accompagnate da efficaci orationi, e molte penitenze, perche la bontà divina li concedette gratia d’illuminare, e fare avvedere di tal cecità quel popolo, onde essendo quelle esaudite, la Città tutta si cominciò à compungere; e si parlava non poco di quello, che San Barbato havea detto; il che pervenendo alle orecchie del Duca [p. 7 modifica]Romualdo, ordinò che fusse menato da lui; dove gionto il Santo huomo il Duca in nome della Città tutta promise di toglier via quella superstitione, purche esso lo assecurasse, che da quello assedio non ne sarebbe venuto danno alcuno alla Città; Fecelo volontieri il Santo, assecurandolo in nome di Dio, e per certezza di questo volse, che il Duca con seguito della Città tutta intervenisse in una processione, che egli volea fare dall’Arcivescovato alla Chiesa di Santa Maria di Porta Somma, che era in quel luogo, dove è hora il Castello nella più alta parte della Città, con pregare la Beata Vergine, che la liberasse da quel pericolo; Essendosi adunque ordinata una sollennissima processione; e gionta in quella Chiesa sparse ivi San Barbato, infiammato di spirito divino, molte lagrime, et affettuosi prieghi alla Beata Vergine, pregandola ad intercedere per quell’afflitto, e contrito popolo appresso sua Divina Maestà, e parendoli di havere ottenuta la gratia da quella benignissima Madre di misericordia, prese il Duca Romualdo per la mano, e ritiratolo in un [p. 8 modifica]baloardo delle mura della Città ivi vicino gli fè à occhi veggenti vedere la Madre di Dio, che intercedeva per la Città di Benevento appresso il suo figliuolo Giesù Christo; Delche restando il Duca sommamente maravigliato,e consolato, ritornato alla Chiesa raccontò al popolo la visione con molte lagrime di allegrezza sparse da quello, e con molto accrescimento di opinione di santità del Santo Sacerdote Barbato, il quale da parte di Dio continuava à promettere la presta liberatione dell’assedio al Duca, et al popolo.

E si verificorono le sue promesse, mentre il Rè Grimoaldo mossosi con poderoso esercito di Lombardia se ne veniva di persona la volta di Benevento à dare soccorso al figliuolo, menando seco quel Giesualdo mandatoli per Ambasciatore à questo effetto dal Duca; Gionti che furono in Apruzzo circa le contrade del fiume Sangro volse Giesualdo avanzar di camino per dare nova al suo Signore; et all’assediati del presto soccorso, onde per le poste si condusse à Benevento, dove fatto prigione dalle sentinelle dell’esercito [p. 9 modifica]Imperiale, e condotto alla presenza dell’Imperador Gostante gli narrò il tutto; e come il soccorso era vicinissimo; delche sbigottitosi questo, e dubitando Ammirato nella vita di Romualdo Duca di Benevento di non esser colto nel mezo dall’esecito Regio, e Ducale volle tregua per alcuni giorni à fine di unire le sue genti tutte in uno luogo slargando lo assedio per poter più facilmente resistere à gl’incontri dell’uno, e dell’altro; ma perche havea presentito la gran scarsezza de’ viveri, che era nella Città; pensò che se quelli da Giesualdo fussero stati desperati del soccorso si sarian facilmente resi, onde richiamatolo à se di nuovo, lo pregò caldamente, e gli fè molte promesse, perche volesse accostarsi alle muraglie fingendo esser fugito di prigione, e dire il contrario à gli assediati, cioè che il Rè Grimoaldo non potea darli soccorso alcuno, e però provedessero à casi loro; promise di farlo Giesualdo, ma in effetto fè il contrario, posciache avvicinatosi sotto le mura disse come il soccorso era vicino, e con la propria persona del Rè, ma perche tenea per fermo, che l’Imperadore l’harebbe fatto morire, raccomannò [p. 10 modifica]caldamente al suo Signore i suoi figliuoli, e casa. Apportò questaa novella somma allegrezza alla Città tutta; ma al fedelissimo Giesualdo fù subito per ordine dell’Imperadore avisato di ciò mozzo il capo, e quello per la punta d’una picca scagliato fin dentro le mura di Benevento.

Non fù disuguale la ricompensa da Romualdo fatta alla fedeltà di Giesualdo, avvengache oltre alle remunerationi date largamente a’ suoi figliuoli si fè condurre la sua honorata testa in Palazzo, e togliendosi dal suo capo la corona Reale, ne cerchiò quel fortunato teschio volendo significare, che per la fedeltà sua lui si mantenea nel stato; e dopò haverli celebrate con molte lagrime sollennissimi funerali gli fè dare honorata sepoltura.

Ammirato de’ duchi di BeneventoHor non veggendosi l’Imperadore gente da poter contrastare con Beneventani, e con l’esercito del Rè Grimoaldo, che già si approssimava, levato l’assedio, cominciò a retirarsi la volta di Napoli; per il che gli assediati fattosi animo gli uscirono alla coda guidati da Mittola Conte di Capua, dalla parte [p. 11 modifica]di porta Gloriosa, hoggi porta di Calore, dove agiutati dal vantaggio del sito gli diedero una notabile rotta, con morte di molti de gl’Imperiali, il che si recarono i Capitani Greci a tant’onta, che essendo già l’Imperadore gionto a Napoli fù da Saburro suo Generale richiesto, che gli desse ventimila huomini scelti dell’esercito, che con essi gli bastava l’animo di vincere l’esercito del Rè Grimoaldo.

Concesse Gostante li ventimila huomini scelti à Saburro, il quale con essi postosi in campagna si tratteneva attendendo l’esercito Regio; volle Grimoaldo investirlo, ma il suo figliuolo Romualdo, che già seco era unito, lo pregò, che lasciasse à lui tal cura; perciòche portava ferma speranza in Dio di superarlo, il che sarebbe tornato à maggior gloria della loro potenza; onde attaccatosi la zuffa in un luogo detto Formie (che hoggi è vicino Mola di Gaeta) si combattè valorosamente da ambi le parti in modo, che non si conosceva da qual parte havesse à cadere la vittoria; in questo mentre un valoroso soldato Longobardo chiamato [p. 12 modifica]Amelongo, che solea portar la lancia del Rè, battè di sella un Greco; e sollevollo in aria quanto l’altezza di un huomo; la qual cosa spaventò in guisa i Greci che come se fussero cacciati da tante furie tutti si misero bruttamente à fuggire; onde Romualdo ritornò trionfando à Benevento, e Saburro in luogo della promessa vittoria riportò à suoi danno e dishonore; perilche Gostante volse l’ira contro gli amici, havendo spogliata Roma di tutti quelli ornamenti, che di tante passate guerre gli eran remasti; onde tornaro à Napoli carico di prede, e proseguendo a sfornir la Calabria d’ogni comodità, mentre il simil tenore tiene in Sicilia con incredibil capacità, assorbendo parimente le cose sagre, e le profane, fù per opra di Mizzizio Armeno suo Prefetto, come convenne alla sfrenata ingordigia, e rapacità sua l’anno 669 ucciso in Saragozza, à cui succedette nell’Imperio Eraclio Costantino suo figliuolo.

Essendo adunque non solo liberato Benevento dall’assedio, ma il Ducato tutto dalle scorrerie dell’essercito Imperiale, volendo il Duca, e la Città [p. 13 modifica]adempire il voto, e promessa fatta a Dio di desistere dall’idolatria, ricorsero Vipera nella Chronologia de’ Vescovi di Benevento a San Barbato, il quale in questo mentre per la morte d’Ildebrando XXXII. Vescovo di Benevento era stato acclamato, et eletto Prelato di questa Chiesa; e conferitosi detto Santo nel luogo della superstitiosa Noce con tutto il Clero in processione, D. Ovidio de Lucijs nella vita di S. Barbato e con molto concorso di popolo fè quella tagliare, anzi da’ fondamenti sradicare; e nelle radici vi trovò un Demonio in forma di horribilissimo Serpente, quale il Santo Vescovo con l’acqua benedetta ammazzò.

In quello luogo poi con giusta permissione di Dio sono state commesse tante, e tante sceleragini quanto per fama ogn’uno sà, essendo come uno nido di stregoni, e fattucchieri, i quali sogliono quivi radunarsi, come nel progresso di questa Istoria sentirassi; anzi fin da quel primo principio, che San Barbato fè sradicare la superstitiosa noce con buttare per terra l’idolo del Serpente di bronzo, che era alato, e con due teste come a punto è quello, che usano di fare per arme i Signori Viperi Nobili Beneventani, che in quel tempo [p. 14 modifica]cominciorno ad inalberarlo per loro insegna, (come a suo luogo diremo) Non lasciò il Duca Romualdo l’adoratione del Serpente, ma secretamente fattosene fare un simulacro d’oro di quello, chiamato Amfisibena, che parimente hà due teste, et è conforme l’armi de’ Signori Bilotti anco Nobili Beneventani, che ancor essi in quell’istesso tempo l’alberarono (come si dirà appresso) lo teneva in somma veneratione, con offerirli sacrificij, e commettere molte idolatrie; il che dispiacendo non poco a Theodorinda sua moglie ne avisò San Barbato, il quale pregò la Duchessa, che desse quel simulacro in suo potere, e replicandoli quella, che il Duca ne harebbe sentito dispiacere grande, e si sarebbe per ciò mosso a sdegno contro di essa; il Santo huomo l’assicurò, che non gli sarebbe per ciò avvenuto disgusto alcuno; onde essa gli mandò l’idolo mentre il Duca era a caccia; il Santo l’aspettò con opportuna occasione, e rimproverolli con efficaci parole l’ingratitudine, che usava verso la divina Maestà; mentre anche dopo havere ricevute tante gratie, continuava in uno sì [p. 15 modifica]abominevole peccato; delche essendosi grandemente turbato il Duca gli domandò come lo sapeva, e dicendoli il Santo Vescovo, D. Ovidio de Lucijs nella vita di S. Barbato che la divota Teodorinda sua moglie per far, che lui si emendasse da un sì grave fallo, non pure gli lo havea detto, ma anche consegnato il simulacro; per il che il Duca confuso non sapea che dirsi; et havendo questo ragionamento inteso un suo Cameriero, persona molto di lui intrinseca; se gli accostò dicendoli, che se la moglie sua li havesse usato tanto ardire l’harebbe ammazzata; dalle quali parole sdegnato il Santo maledisse quel Cavaliero, et ad un tratto spiritò, entrandoli un Demonio adosso; et in quella miseria continuorno i suoi posteri; onde publicatosi il successo per la Città fu causa, che non solo il Duca, ma tutto il popolo si ravvedesse maggiormente di un tale errore; et il Santo Vescovo di quel Simulacro del Serpente d’oro ne fè fare un bellissimo calice, che sino al presente si conserva nell’Arcivescovato di Benevento con somma veneratione; e tutto questo fatto stà compreso nel seguente Hinno di San Barbato, che ci è [p. 16 modifica]parso qui trascrivere per maggior beneficio de’ Lettori.


H Y M N U S.

In laudem S. BARBATI Episcopi Beneventani.


B
Arbatae Christi famulae

Longobardorum speculum
Verbo fulgens, et operae
Samnites, hoste liberas.

Beneventano Principi
Matrem ostendis Virginem
Praeces agentem Filio
Pro libertate populi;

Et Costantini Caesaris
Mentem iratam mitigas
Urbis nefandam arborem
Vellendo fidem propagas.

Romual Theodorindam;
Et plebem Christo copulas
Tu simulacrum Viperae
Vertis in Dei calicem.

Miles accendens Principem
In necem Dei famulae
Daemonis aula noscitur
Cum multis eius posteris.

[p. 17 modifica]Tua lotura manuum,
Sanat laesos languoribus
Sis ergo nobis omnibus
Medela delinquentibus.

Praecamur inde supplices
Christum pro nobis rogita,
Qui tua festa colimus,
Ut facias nos colites.

Cui sit et Patri gloria
Una cum Sancto Spiritu. Amen.


Et vi è traditione antica, che questa superstitiosa Noce prima di essere sradicata, Infra tract. latin. cap. 4 come si è detto, verdeggiava con perpetue frondi tutto l’anno, e ne’ tempi presenti per le confessioni di molte streghe ne’ Tribunali dell’Inquisitione si hà, che in detto superstitioso luogo apparischi di notte uno arbore di Noce grandissimo, e verdeggiante anco di mezo inverno; e di questa Noce trattando il Machabei nostro Poeta nel suo trionfo del Sannio, così disse.

De la famosa Noce il chiaro grido
Ne gli estremi paesi, e ne’ vicini,
E sparso sì, che l’habitante infido
Dicesi possessor de’ suoi confini:
[p. 18 modifica]Quindi i popoli tristi appresso il Nido
Del gran Plutone, e de’ suoi Cittadini
Per cotal Noce han privilegio tale,
Che nocer non gli può schiera infernale.


Et il Poeta Perugino di questa stessa Noce cantò.

Indi à caval veloce più che vento

Sopra ‘l concupiscibile appetito
A la Noce sin và di Malevento.

E dee avertirsi, che Malevento è stata alcune volte chiamata questa Città, e però trattandosi della Noce superstitiosa, e cattiva, questo più tosto volle servirsi della congiontione di Male, che di Bene vento.


Il Fine della Prima Parte.