Della moneta (1788)/Capitolo XXII
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CAP. XXII.
Progressione numerica delle Monete.
Qualunque uomo, sia pur egli il più incolto bifolco, se passa da una Nazione ad un’altra, anzi spesse volte mutando solo provincia nella stessa Nazione, è costretto a formarsi nuove idee di progressioni monetarie, e ad avvezzarsi a nuove specie e a nuove denominazioni di monete e dei valori delle medesime. Sebbene si calcoli quasi dappertutto in lire, soldi, denari, ciò non ostante quanto all’uso manuale delle monete effettive (che negli uomini plebei è assai più famigliare del calcolo), bisogna ch’ora si divida il soldo in sei, ora in quattro, ora in due parti: che ora si conti in uno Zecchino 9. lire, ora 10., ora 13., ora 16., ora 17., ora 21., ora 32., ora 44. ec., con sempre aggiunti alcuni soldi o anche denari. Eppure in pochi giorni s’avvezza l’uomo il più rozzo a tali cambiamenti di denominazioni, quand’abbia interesse a ben saperli, per non essere pregiudicato dalla troppo frequente frode dei contrattanti. Fingiamo ora che nel pubblicarsi la nuova monetazione si comprino dalla Zecca a giusto prezzo tutte le correnti piccole monete d’argento e di rame, e specialmente quelle poche che corrispondevano prima alle loro denominazioni, come le lire e i soldi effettivi. Avverrà, che in breve tempo le monete nuove circolanti saranno più assai che le antiche. Supponiamo che tutt’i libri delle finanze, dei pubblici monti, dei luoghi pii, dei magistrati, di tutti que’ corpi in somma che dipendono immediatamente dal Principe, siano regolati secondo il nuovo sistema di monetazione, e che i mercatanti siano avvisati di segnare in avvenire i loro crediti secondo le nuove denominazioni, sotto pena che i loro libri, fatti dopo la monetazion nuova secondo le denominazioni antiche, non faccian fede in giudizio: se questo facciasi, non si potrà a meno sicuramente, che in pochi giorni si rendano famigliarissime le nuove denominazioni; e i mercanti e bottegai nel contrattare esprimeranno tutto al più ne’ primi giorni quante lire o soldi vogliono con l’addizione moneta vecchia, o moneta nuova (come in alcuni luoghi esprimesi sempre corso di tariffa, o corso abusivo, ossia moneta corta, o moneta lunga), finchè sia dimenticato il vecchio corso, e le monete vecchie abbiano acquistato dalla piazza mercantile il valore che meritano secondo le nuove denominazioni; il che non potrà a meno di farsi in poche settimane. In tal guisa sarà leggero e poco durevole l’imbarazzo del nuovo sistema. Nè credo io già, che alcuno voglia farmi carico dell’imbarazzo dei mercanti, ch’essendo soliti nel commercio esterno a ragguagliare le monete forestiere colle nazionali, e tutt’i generi ancora secondo le convenute denominazioni di lire soldi e denari, dovrebbero adesso riformare tutta la loro aritmetica. Non è vero in primo luogo, che tutte le piazze mercantili dividano per lire soldi e denari, mentre si dividono in molti luoghi le monete, e si valutano i generi per fiorini, scudi, talari, risdalleri ec. denominazioni che deve saper tutte il Negoziante una per una, ed usare per ciascuna altrettanti diversi metodi ne’ suoi calcoli, mentre avendo nel proprio paese la progressione decimale delle monete e dei valori, non ne sarà che più semplice e più spedita ogni operazione aritmetica.
La seconda difficoltà di ragguagliare gli antichi crediti e debiti colle correnti monete è maggiore assai nel sistema presente, che nel nuovo proposto. La giustizia richiede, che tanto paghi il debitore, quanto ha ricevuto dal creditore. Due cagioni tolgono quest’eguaglianza comunemente a danno del creditore; cioè il successivo avvilimento dei metalli, e l’accrescimento dei valori numerarj delle monete. Chi desse 10,000. lire in pagamento d’un debito contratto cent’anni fa, darebbe assai meno di quel che è stato imprestato, perchè in primo luogo 10,000. lire, a cagione dei tanto cresciuti valori numerarj delle monete, fanno presentemente assai minor numero di Zecchini, che non facevano cent’anni fa, e questo danno lo avrebbe il creditore per essere stato fatto il contratto in lire. Se fosse stato fatto il contratto in Zecchini, se ne pagherebbe adesso il medesimo numero che ne è stato ricevuto, ma non perciò sarebbe eguale al debito il pagamento. Per la gran copia d’oro e d’argento che è cresciuto in commercio da cent’anni a questa parte, un dato numero di Zecchini rappresenta presentemente assai minore quantità di generi, che non rappresentava cent’anni fa. Questi due danni sussistono per intiero nel sistema presente. Nel sistema nuovo non vi sarebbe che il secondo, essendo tolto il primo dei crescenti valori numerarj. Fissato che sia al tempo della nuova monetazione il confronto delle lire nuove con le vecchie, con una semplicissima regola di proporzione si ridurranno alle nuove monete in qualunque tempo gli antichi crediti, senz’alcun danno, se non quello del successivo avvilimento del denaro, cui si potrebbe forse rimediare facilmente, ma ciò non entra nel presente mio argomento.
Resta ad esaminare il confronto della divisione per dodici colla divisione per dieci da me proposta. Egli è verissimo, che il numero dodici avendo più divisori che il numero dieci, è più comodo per ogni commercio. Per tal motivo han suggerito alcuni una nuova aritmetica, in cui la progressione delle cifre da destra a sinistra fosse in ragion duodecupla, e non in ragion decupla. Se l’aritmetica non fosse stata inventata a caso come tutte le altre scienze, si sarebbe al certo dovuto preferire la progressione duodecupla; ma le dieci dita delle mani, con cui cominciano tutti gli uomini a numerare hanno probabilmente prodotta la decupla progressione, che usiamo. Ora che in tutto il Mondo non abbiamo che nove cifre numeriche e lo zero, chi volesse aggiugnere due altre cifre, e adoperarle tutte in progressione duodecupla, avrebbe a soffrire grandissima fatica per avvezzare se stesso ad un tal calcolo, e gli converrebbe assolutamente dimenticare l’aritmetica antica, per acquistar l’uso di calcolare speditamente colla nuova. Ma finchè avrà a fare con altri che calcolano colla progression decupla, non la potrà mai dimenticare. Dunque se tutto il Mondo non s’accordasse a riformare l’aritmetica, non sarebbe d’alcun uso, ma anzi di grandissimo incomodo e sorgente di frequentissimi errori, la riforma in quella Nazione che sola l’introducesse. Dunque il progetto di riformare in questa parte l’aritmetica non si dovrà avere in altro conto, che d’una bella ed ingegnosa chimera. Tolto il vantaggio suddetto della progressione duodecupla introdotta in tutta l’aritmetica, i pregj del numero dodici si riducono a poca cosa, e non sono assolutamente paragonabili col comodo del calcolo decimale, per cui colla addizione successiva degli zeri, e colla sottrazione delle ultime cifre a sinistra riducesi così facilmente qualunque specie di moneta a qualsivoglia specie superiore o inferiore. Tanto è vero che il vantaggio del numero dodici per la maggior copia de’ suoi divisori è poco considerabile nelle monete, che non v’è forse Nazione alcuna che lo goda realmente. In fatti non v’è chi abbia pensato giammai a far le lire di soldi dodici. In secondo luogo non avendo alcuna Nazione denari effettivi, il soldo non si divide comunemente che in sei, in cinque, in quattro, o in due monete effettive. Così il soldo Bolognese e Piemontese non ha che tre divisori il 6., il 3., il 2. Il soldo Romano non ne ha che uno il 5. Il Milanese ne ha due il 4., il 2. Il Veneziano un solo il 2. Il soldo di dieci denari effettivi da me proposto ne avrà tre, cioè il 10., il 5., il 2.; onde non sarà niente inferiore ad alcun altro. Se mi domandasse taluno come potrebbesi dividere giammai nel mio sistema fra tre persone adequatamente uno scudo, una lira, un soldo: io gli chiederei come si divida in tre il soldo Milanese, come si divida in quattro il soldo Piemontese, e lo pregherei di riflettere, che non si sa, che debba più frequentemente occorrere di dividere fra tre persone uno scudo, una lira, un soldo, che una somma per esempio di quindici lire, di dodici soldi, di sei denari. Ho forse dato più importanza a questo soggetto che non meritava, e sarò forse incolpato d’essermi occupato troppo di queste minutezze; ma trattavasi di svellere con evidenti dimostrazioni dei pregiudizj forse troppo radicati, in una materia che non credo indifferente al ben pubblico.