Della moneta (1788)/Capitolo XXIII

Capitolo XXIII - Riforma delle monete vecchie

../Capitolo XXII ../Capitolo XXIV IncludiIntestazione 4 dicembre 2016 100% Da definire

Capitolo XXIII - Riforma delle monete vecchie
Capitolo XXII Capitolo XXIV
[p. 132 modifica]

CAP. XIII.

Riforma delle Monete vecchie.


I
O mi lusingo che le massime sin qui esposte spettanti al buon regolamento delle monete saranno facilmente abbracciate da chiunque voglia seriamente meditare sopra questo soggetto, anzi io penso che saranno venute in mente più volte a coloro, che presiedono al regolamento delle monete, e che avrebbero già prodotta la necessaria riforma delle medesime, se non gli avesse intimoriti la difficoltà dell’esecuzione; quella difficoltà appunto, che poco prevista da alcuni, fa che intraprendano talvolta delle novità rovinose, e troppo temuta da altri, ritarda i più utili provvedimenti. Molte difficoltà ed ostacoli sono stati prevenuti e tolti già ne’ Capi antecedenti. Uno però ne resta, che suol parere il più grave, e che perciò merita d’essere qui colla più scrupolosa diligenza esaminato.

Poche Nazioni credo che sianvi, ove alle monete erose non sia stato assegnato un valore numerario superiore assai al loro valore reale. Essendo esse desinate al minuto commercio unicamente, nè [p. 133 modifica]dovendosene far uso pel commercio esterno, le hanno riguardate i Principi più come segno, che come monete: quindi hanno creduto che poco importasse la quantità e qualità del metallo ond’eran composte. Trovandosi dunque in bisogno di denaro per le pubbliche spese, e non volendo caricare i Sudditi d’una nuova imposizione han creduto poter guadagnare grosse somme con avvilire il titolo, o scemare il peso delle monete erose, lasciandole al medesimo numerario di prima. Quindi avvenne, che cento lire per esempio in moneta di rame, calcolato insieme il valor del metallo e le spese della monetazione, non arrivano in alcuni luoghi ad uguagliare il valore vero di cinquanta lire in monete d’argento. Se la quantità delle monete erose così deteriorate non avesse mai ecceduto il bisogno della interna circolazione, non vi sarebbe stato gran male, perchè le monete erose sarebbero state considerate unicamente come segni atti a rappresentare le monete nobili, come fanno le monete di carta. Se avesse voluto il Popolo servirsi di tali monete per pagare i tributi al Principe, e restituirgli così la cattiva moneta che ne avea ricevuto, sarebbe mancata ai bisogni del minuto commercio una quantità di piccole monete, e avrebbe dovuto il popolo ricomprarle di nuovo dal Principe, [p. 134 modifica]dandogli in cambio le buone monete d’oro e d’argento. Così non ci sarebbe stato alcun disordine, se non fosse cresciuta giammai, oltre il bisogno della minuta circolazione, la quantità delle monete erose. Ma seguì comunemente un tale accrescimento, che si può attribuire ad una o più delle seguenti cagioni. 1.° I Principi trovandosi in bisogno di denaro piuttosto che accrescere le imposizioni hanno accresciuta la quantità delle monete erose deteriorate. 2.° Hanno dato qualche volta la Zecca ad impresa, e per tutto stipendio agli impresarj hanno loro permesso di fabbricare a proprio vantaggio una quantità di monete erose, e gli impresarj talvolta non si sono contenuti nei limiti della quantità permessa. 3.° Il vantaggio enorme che si trova nel cambio delle monete erose deteriorate contro le nobili, ha eccitato molti, specialmente forastieri, ad imitare le monete erose cattive, ed introdurne una quantità grossa nel paese, esportandone l’oro e l’argento. 4.° Sono entrate in paese molte monete erose delle Nazioni confinanti, le quali sono state facilmente accettate dal popolo, perchè erano intrinsecamente migliori delle erose proprie, sebbene fossero in proporzione tanto inferiori di valore alle nobili. La vigilanza delle leggi non ha mai potuto impedire questo traffico, e ho visto io a spendersi [p. 135 modifica]le monete erose forestiere anche in que’ paesi ov’era castigato colle più gravi pene chiunque avesse solo indosso o in casa una moneta proibita. Tanto è vero ciò che ho replicato più volte, che le leggi politiche non possono mai distruggere le necessarie leggi della natura. L’accrescimento eccessivo delle monete basse prodotto da una o più di queste cagioni, ha recato i maggiori imbarazzi nel commercio, e la massima confusione nel sistema delle monete. La natura che tende all’equilibrio si è sforzata di rimetterlo, e ci sarebbe riuscita, se alcune operazioni politiche non ben intese, facendo un argine agli utili sforzi della natura, non avessero prolungato il disordine. A misura che si sono deteriorate le monete erose, si è accresciuto per tacito consenso del popolo il valore numerario delle monete nobili, il che non poteva a meno di restituire l’equilibrio fralle monete. Ma avrebbe perduto il Principe il profitto che voleva cavare dall’avvilimento intrinseco delle monete erose, onde s’è trovato in necessità di resistere continuamente colle leggi al successivo accrescimento dei valori numerarj. Sebbene, trovandosi spesse volte troppo deboli le leggi contro un gagliardo impeto della natura, si è contentato il Principe di non ricevere le monete pe’ tributi, se non al corso di tariffa, e ha tollerato, [p. 136 modifica]che si spendessero in commercio a corso abusivo, secondo i crescenti valori numerarj. Che se il valore abusivo fosse stato una volta da una espressa legge permesso, nè vi fosse stato timore di nuove riduzioni, avrebbe acquistato comodamente il giusto suo corso; mentre non essendo, che tollerato, e temendosi sempre dal popolo una nuova riduzione, non può giungere il corso abusivo a restituire il perfetto equilibrio fra le monete, o non ci può giungere, che lentissimamente. Un tale accrescimento del valore numerario delle monete nobili avrebbe veramente recato gravissimi danni a molte persone, come ai creditori, e a tutti quelli ch’hanno stipendj, pensioni ec. fissati in valori numerarj, e non in monete effettive. Ma questa crisi istessa, con cui avrebbe la natura restituito l’equilibrio fra le monete, avrebbe fatto universalmente conoscere ciò che ho ricordato spesse volte, che i valori numerarj non devono fare alcuna regola; che non si deve giammai contrattare in quelli, che non sono valori, ma pure denominazioni; che da essi derivano i maggiori inconvenienti, fintantochè non si trovi la maniera (qual è la esposta nel Capo 17.) di renderli costantemente corrispondenti ai valori reali. In tanto ha tentato il popolo di restituire al Principe nel pagamento de’ tributi le monete cattive al prezzo, cui [p. 137 modifica]le aveva ricevute, e il Principe si è trovato in necessità di rifiutare le monete erose, nei pagamenti de’ tributi, che eccedevano certe determinate piccole somme, nè vi fu altro modo di conservare quel profitto che aveva avuto il Principe nel distribuirle. Un accrescimento de’ tributi antichi, o una nuova imposizione avrebbe somministrato al Principe tutta quella somma che ha voluto guadagnare nella deteriorazione delle monete erose, ed avrebbe risparmiato tanta confusione alle monete, tanto disordine e tanti intoppi al commercio. Ma nella universale ignoranza delle scienze economiche non prevedevano i ministri i tristi effetti della guasta moneta, e non avrebbero forse creduto i popoli d’esser meglio trattati con una nuova imposizione, che coll’avvilimento dell’intrinseco valore delle monete erose. Ma il male è fatto: trattasi ora di trovarvi il rimedio. Pare che già siano seriamente occupate molte Nazioni del pensiero di fare una nuova monetazione, in cui si conservi fra i reali valori e i numerarj la più giusta corrispondenza. Ma intanto cosa si farà delle vecchie monete erose sproporzionate di troppo colle nobili? Seguendo le massime, che ho spiegato nel decorso di questo libro non si potrà fare che una di queste tre cose. 1.° Diminuire il valore numerario delle monete erose, finchè sia [p. 138 modifica]proporzionato a quello delle nobili. 2.° Nella stessa proporzione accrescere il numerario delle monete nobili. 3.° Ritirare le monete erose vecchie, e restituirne per un egual numerario delle nuove d’un maggior valore reale, cioè corrispondente al valore delle nobili. Tutto l’inciampo alla riforma della monetazione consiste forse in questo solo articolo, di sapere quale dei tre partiti suddetti s’abbia a prescegliere. Vediamo se riesce di spianare anche questa difficoltà.

Diminuire il valore legale numerario delle correnti monete erose è lo stesso che impoverire altrettanto coloro che tali monete erose possedono. Supponiamo una Nazione ove il Gigliato corra 15. lire, che vuol dire 300. soldi, ed ogni soldo sia composto di quattro monete di rame, denominate quarti di soldo, ossia quattrini. Supponiamo pure che il Gigliato, secondo la giusta proporzione delle monete, equivalga, non a 1200. quattrini, ma a 1800., talchè riducendo il soldo a sei quattrini correnti, da quattro che ne conteneva, sia ristituito l’equilibrio fra le monete. Sarà per una tale operazione diminuito d’un terzo il valore numerario dei quattrini, cosicchè chi ne ha sei non avrà più un soldo e mezzo, come aveva prima, ma un soldo solo. Non sarà difficile il dimostrare [p. 139 modifica]che col soldo di sei quattrini non si potrà comprare una maggior quantità di generi, di quella che si comprava prima col soldo di quattro quattrini. Il pizzicagnolo, per esempio, compra la sua provvisione con monete nobili e non con quattrini. Fingiamo ch’abbia speso un Gigliato a comprare trenta libbre di formaggio, egli lo vorrà vendere undici soldi per libbra, cioè col dieci per cento d’utile. Finchè era il soldo di quattro quattrini accettava egli dal compratore 44. quattrini per una libbra di formaggio, perchè veniva a ricavare così da tutto il formaggio suo 1320. quattrini, coi quali poteva acquistare col cambio il Gigliato speso e trenta soldi di guadagno. Ma dopo che il soldo è stato ridotto da quattro quattrini a sei, se si contentasse il pizzicagnolo di 44. quattrini per una libbra di formaggio, che vuol dire di 1320. quattrini per tutto il formaggio che aveva comprato, non porrebbe con questi quattrini riavere il Gigliato speso, mancandovi ancora 480. quattrini. Dovrà dunque pretendere come prima undici soldi per ogni libbra cioè 66. e non 44. quattrini. Egli è dunque evidente che il prezzo dei generi sussisterà al medesimo numero di soldi cui era prima, e ci vorranno nel minuto commercio sei quattrini per comprare ciò che prima si aveva con quattro. Dunque ogni [p. 140 modifica]posseditore di quattrini avrà fatta una vera perdita d’un terzo del suo avere in questa moneta. Ora i posseditori delle piccole monete di rame sono comunemente i più poveri dello Stato, e quand’anche volessimo supporre le monete erose egualmente compartite sopra tutti i cittadini, evidentissima cosa è che il danno sarebbe insensibile pe’ ricchi, che avranno per esempio una millesima parte della loro moneta in rame, e sarà gravissimo pel minuto popolo che avrà in rame la maggior parte della sua moneta. Si può dire francamente che il danno dei cittadini per questa riduzione sarà, preso tutto il complesso, esattamente proporzionale alla loro povertà. Tanto basta, cred’io, per mostrare quanto sia gravoso ed inconveniente il primo dei tre proposti metodi, cioè di scemare il valore numerario delle monete erose. Veniamo al secondo. Accrescere il valore numerario delle monete nobili è lo stesso, nella supposizione fatta poc’anzi, che ridurre il Gigliato dalle lire 15. alle 22. e mezza. Il pizzicagnolo non potrà comprare con ventidue lire e mezza più delle trenta libbre di formaggio che comprava prima con quindici, perchè le trenta libbre di formaggio vagliono sempre egualmente un Gigliato. Se il pizzicagnolo seguitasse a vendere il suo formaggio undici soldi per libbra, non [p. 141 modifica]ricaverebbe da tutto il suo formaggio che 330. soldi cioè 120. soldi meno di quello che ha speso per comprarlo. Dunque per riavere i 450. soldi del suo capitale, ed i 45. del suo utile dovrà vendere il formaggio a 16. soldi e mezzo per libbra. Non basteranno più dunque 44. quattrini, come bastavano prima, per comprare una libbra di formaggio, ma bisognerà spenderne 66. Dunque chi si troverà avere 66. quattrini, con cui comprava prima una libbra e mezza di formaggio, non può ora comprarne che una libbra sola. Dunque ha perduto un terzo del suo avere. Dunque è egualmente gravoso ed inconveniente alzare il valore numerario delle monete nobili, che diminuir quello delle monete di rame. Non vi resta pertanto altra maniera plausibile di riformare le vecchie monete erose, che in ritirandole e distribuendone in vece per un egual numerario altrettante nuove d’un valore proporzionato a quel delle nobili. Questa operazione non ha altro inconveniente che d’esser gravosa al pubblico Erario, che dovrebbe soccombere al rimborso di tutto l’eccesso ch’hanno presentemente i valori numerarj delle monete erose. Ma quest’incomodo non è così grave come taluni lo credono. La ricchezza del Principe è la ricchezza della Nazione. Tutt’i buoni Principi non [p. 142 modifica]distinguono il loro interesse da quello della Nazione. I tributi si pagano al Principe, perchè gl’impieghi ne’ pubblici bisogni. Dunque o avrà il Principe nel suo tesoro con che fare la spesa della rifusione e riforma delle monete erose, o non ne avrà. Se ne ha, non gli sarà grave al certo impiegare tal somma in un uso alla Nazione vantaggioso cotanto. Se non ne ha, faccia per la riforma delle monete ciò che fa per tutti gli altri pubblici bisogni. Non sono in sua mano i tributi? Non gli accresce egli a suo piacere quando ne abbisogna? Quell’operazione che avrebbe dovuto fare quando ha deteriorato le monete erose, la faccia adesso. Se il Principe in tempi ch’erano così scarsi i lumi economici ha preso un abbaglio, lo ha preso però di buona fede, credendo maggior male accrescere i tributi che deteriorare le monete erose, e dispensarne più del bisogno. Non tutte le cose che si tentano riescono bene. Quanto non costa alla Nazione una guerra intrappresa per suo bene, e per disgrazia riuscita male? Non dev’egli per questo il Popolo pagarne le spese? Non si può ben governare lo Stato senza fare alcuna volta un passo falso. Tal è la condizione delle umane cose, che l’errore si mischia sempre alla verità, il male al bene: nè si devono perciò ommettere i buoni [p. 143 modifica]regolamenti sul timore che alcuno ne riesca male. Sarebbe lo stesso, che voler rompere ogni Società per evitare que’ mali che dalla Società stessa necessariamente derivano. Ecco tolto il grande ostacolo. Se la riforma della monetazione è necessaria, se non si può fare giustamente e comodamente, se non a spese del Principe, si faccia a conto dell’Erario. Se questo non è in forze a sostenere la spesa, regoli il Principe i tributi in guisa che gli somministrino onde poterlo fare. Ciò riescirà tanto più facile nell’occasione d’un nuovo sistema monetario, qual è il proposto da me ne’ Capi precedenti. Non si potrà a meno allora di cambiare tutte le denominazioni de’ tributi, e in tanta novità di cose, fluttuante il popolo fra il piacere d’aver acquistato una buona moneta in cambio della cattiva, e fra il confuso sentimento d’essere stato nel riparto de’ tributi aggravato, non saprà ben decidere s’abbia migliorata o peggiorata la sua sorte, finchè vedendo per effetto della buona monetazione rinvigorite le arti, rifiorito il commercio, restituita la giustizia ne’ contratti, tolti infiniti imbarazzi dall’uso delle monete, sì nel corso comune, che pel pagamento de’ tributi, benedirà la mano benefica del Principe, che con lieve ferita lo ha guarito da tanti mali che l’opprimevano.