Dell'uomo di lettere difeso ed emendato/Parte seconda/26
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26.
Che debbono usarsi varj Stili, si come varia è la materia del Discorso.
Convien’ora mostrare, quale Stile, qual Forma, o, come Ermogene la chiama, Idea di dire, usar si debba da chi compone. Intorno a che, è da sapere, che nella maniera di spiegare qualunque cosa si vuole, ciò che più è degno da osservarsi, tutto alla Quantità e alla Qualità si riduce. La prima dalla Lunghezza o Brevità si misura; la seconda dalla Efficacia o Debolezza del dire. E perchè nell’uno e nell’altro di questi due generi v’ha due termini estremi e’l mezzo fra essi; quindi è, che sotto la Quantità cade il Lunghissimo, il Mezzano, il Brevissimo; sotto la Qualità, il Sublime, il Mezzano, e l’Infimo. I tre primi hanno avuti Popoli, che di essi si servieno: del Lunghissimo gli Asiani, del Brevissimo gli Spartani, del Mezzano gli Attici. I tre secondi hanno avuti Oratori, che, giusta la fede che ne fa M. Tullio1, sono stati in ognuna di quelle forme di dire eccellenti.
È il puro Asiatico diffusissimo; e, parli di ciò che si vuole, ha per costume di dire, come quell’Albuzio riferito da Seneca2, Non quidquid debet, sed quidquid potest. Stile carnefice degli orecchi, come Scaligero lo nominò, che in un mare di parole non ha una bricia di sale. Nullo enim certo pondere innixus, verbis humidis et lapsantibus diffluit. Cujus orationem bene existimatum est in ore nasci, non in pectore3. Onde miracolo fia (ciò che Aristotile disse ad un’importuno ciarlone), che si truovi chi abbia piedi per potersene andare, e abbia orecchi per volerlo sentire. Avete osservate le prime lettere de’ Privilegj scritti in pergameno? Quanti tratti di penna, quante cifre, quanti scherzi in arabesco concorrono a formarle? e poi in fine ella non è più che un’A, una B, una lettera come l’altre che semplicemente si formano. Questa è l’imagine vera dello Stile Asiano. In un mondo di parole non vi dice più di quello, che altri vi direbbe in un solo periodo.
Il puro Laconico usa anzi geroglifici che parole; e in esso, come dissi delle pitture di Parrasio, plus intelligitur quam pingatur. Studet enim, ut paucissimis verbis plurimas res comprehendat4; ciò che di Tucidide disse l’Alicarnasseo5. Tre suoi gran periodi entrano in una linea. Tre linee sono poco meno d’una compiuta orazione. Ogni parola sua, anzi quasi ogni sillaba, è, quali Demostene diceva essere i detti di Focione, un colpo di scure6.
Il Mezzano fra questi due, che come elettro d’amendue si tempera e si compone, è l’Attico, che senza l’insipidezza dell’Asiano, senza l’oscurità del Laconico, ha la chiarezza di quello e l’efficacia di questo; e, come in un corpo ben formato, nè tutto è nervo nè tutto è carne, ma l’uno v’ha la sua parte per la forza, l’altra v’ha la sua per la bellezza. A fui chi toglie una parola, toglie non come a Lisia de sententia, ma come a Platone de elegantia7. Ha quello, che Seneca controversista8 chiamò pugnatorium mucronem (di che manca l’Asiatico); ma l’usa con altra maniera d’armeggiar più sicuro e più acconcio del Laconico, il quale ad ogni colpo fa una passata, e viene alle strette, e, non tirando (come diceva Regolo di sè stesso) senon punte di fitta, e tutte alla gola della causa, corre sempre pericolo ne genu sit aut talus, ubi jugulum putat9.
Gli Stili differenti sotto il genere di Qualità, non hanno, come i già detti, viziosi gli estremi e ottimo il mezzo; ma s’avvantaggiano di bontà l’un sopra l’altro, sì come sono l’un più dell’altro perfetti.
Per ispiegare la loro natura più chiaramente, raccorderò quello che insegnarono Aristotile10 e M. Tullio11: che l’arte del persuadere ha tre potentissimi mezzi, con che suole ottenere il suo fine: questi sono Insegnare, Dilettare, e Muovere. E perchè ognun. di loro ha differentissimo ufficio dall’altro, differenti ancora ha i caratteri e le forme, delle quali si serve, l’Infimo per Insegnare, il Mezzano per Dilettare, il Sublime per Dilettare, il Sublime per Muovere.
L’infimo genere, ecco i termini fra i quali il Padre della latina eloquenza lo chiuse: Acutum, omnia docens, et dilucidiora non ampliora faciens, subtili quadam et pressa oratione limatum12. In lui principali sono la distinzione, la chiarezza, l’ordine, la politezza e proprietà delle parole, senza traslati espressive e significanti. Non ha lampi, non tuoni, non fulmini, nè quelle ampie e magnifiche forme di dire, con che maestosamente grandeggia l’Orazione.
Il Mezzano13 insigne et florens est, pictum et expolitum, in quo omnes verborum, omnes sententiarum illigantur lepores: neque enim illi propositum est perturbare animos, sed placare potius; nec tam persuadere, quam delectare. Concinnas igitur sententias exquirit magis quam probabiles; a re sæpe discedit, intexit fabulas, verba apertius transfert, eaque ita disponit, ut pictores varietatem colo rum. Paria paribus refert, adversa contraris, sæpissimeque similiter extrema definit, etc.
Ma il Sublime, tutto maestà, tutto imperio, in quella soavissima violenza che fa a gli animi di chi lo sente, trasformandoli in tutti gli affetti, e rapendoli ad ogni consenso, raccoglie quanto d’altezza ne’ sensi, di forza nelle ragioni, d’arte nell’ordine, di peso nelle sentenze, d’efficacia nelle parole può aversi. Ampio, eloquente, magnifico. Un torrente, ma limpidissimo; un fulmine, ma regolato. Con somma varietà di figure, con mutazione d’affetti, senza disordine misti. Quasi una nuvola, che nel tempo medesimo dà acqua e fuoco, fulmini e pioggia. Di questa forma di dire prenderò l’imagine che Quintiliano ne disegnò14: Quæ saxa devolvit, et pontem indignatur, et ripas sibi facit. Multa, ac torrens. Judicem vel obnitentem contra ferens, cogensque ire qua rapit. Ea defunctos excitat. Apud eam Patria clamat, et alloquitur aliquem. Amplificat, atque extollit orationem, et vi superlationum quoque erigit. Deos ipsos in congressum quoque suum, sermonesque deducit, etc.
Questi sono i caratteri delle Forme del dire nel puro esser loro, accennate solo, non descritte. I maestri dell’arte, che giusta la loro professione ne trattano, compiutamente sodisfaranno a chi è vago d’averne più piena cognizione. A me basta averne quanto era di bisogno sapere per intelligenza dell’avviso seguente. Ed è, che, conforme alla varietà delle cose che si trattano, variare si dee lo Stile, accommodandolo ad ognuna, come la luce a’ colori, che in sì varie forme sì costantemente si trasforma. Una medesima non è la scena, che serve alle Tragedie, alle Comedie, alle Pastorali. Questa vuole campagne e boschi, quella case cittadinesche communali, la tragica palagi reali e tempj. Il luogo si dee confare all’azione. Parimenti l’Orazione vuole adattarsi al suggetto; nè sublimi materie con istile plebeo, nè bassi argomenti con sublime eloquenza si trattano.
In fin ci vuole nell’uso degli Stili quell’accortezza, quel senno, che ebbero alcuni antichi Fonditori di statue, che formarono non d’ogni metallo ogni Dio, ma, giusta le varie loro nature in varie tempre mischiandoli, gli espri mevano sì, che morbidi o crudi, orridi o avvenenti, splendidi o foschi riuscissero: e in ciò lodatissimo fu il giudicio d’Alcone, che lavorò un’Ercole tutto di ferro, laborum Dei patientia inductus, disse Plinio15.
Anzi non solo adatto alla natura degl’interi suggetti, di che si parla, dee usarsi universalmente lo stile; ma in ogni componimento conviene tante volte variarlo, quanto diverse sono le cose che lo compongono. E sì come nelle azioni tragiche talvolta la scena si muta in boschereccia, per esprimere qualche particella o dell’antica Satira o della moderna Pastorale; così, dove in un discorso occorre materia propria d’altro genere che di quello che il preso suggetto comprende, per esprimerla decentemente, conviene mutar forma di dire, usando a tempo suo, come avvisò Seneca16, aliquid tragice grande, aliquid comice exile.
Di più le parti d’uno stesso discorso varie maniere d’orazione richieggono, e tanto varie, come dissimili sono il Raccontare dal Provare e’l Provare dal Muovere. Omnibus igitur dicendi formis utatur Orator; nec pro causa tantum, sed etiam pro partibus causæ17. Così chi ben mira un componimento di qualche mole, non vi troverà minor varietà di quella che sia in un’azione di scena, in cui molti personaggi di stato e d’ufficio differenti compajono: e come colà
Intererit multum, Davus ne loquatur, an Heros;
Maturusne senex, an adhuc florente juventa
Fervidus; an Matrona potens, an sedula Nutrix;
Mercatorne vagus, Cultorne virentis agelli;
Colchus, an Assyrius; Thebis nutritus, an Argis18;
e nella varietà di questi personaggi anche la varietà degli affetti loro ai vuole osservare; imperochè
Tristia mœstum
Vultum verba decent, iratum plena minarum,
Ludentem lasciva, severum seria dictu;
così proporzionatamente nelle prose, alla varietà delle cose si dee variamente acconciare lo Stile. E quel solo è perfetto e unico Oratore (disse, dopo lungo cercar che fece di lui, Cicerone19), qui et humilia subtiliter, et magna graviter, et mediocria temperate potest dicere.
Note
- ↑ In Orat. ad Brut.
- ↑ Proœm. lib. 7. Controv.
- ↑ A. Gell. l. 1. c. 15.
- ↑ Plin. l. 35. c. 10.
- ↑ De jud. Thuc.
- ↑ Plut. præc. reipub.
- ↑ Gell. l. 2. c. 20.
- ↑ Procem. l. 2. contr.
- ↑ Plin. l. 1. Ep. 20.
- ↑ Rhet. l. 1.
- ↑ Orat. ad Brutum.
- ↑ Cic. ubi sup.
- ↑ Ibid.
- ↑ Lib. 13. cap. 10.
- ↑ Lib. 34. c. 4.
- ↑ Ep. 101.
- ↑ Quintil. lib. 12. cap. 29.
- ↑ Horat. in Arte.
- ↑ In Orat. ad Brut.