Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/137


parte seconda 137

26.

Che debbono usarsi varj Stili, si come varia è la materia del Discorso.

Convien’ora mostrare, quale Stile, qual Forma, o, come Ermogene la chiama, Idea di dire, usar si debba da chi compone. Intorno a che, è da sapere, che nella maniera di spiegare qualunque cosa si vuole, ciò che più è degno da osservarsi, tutto alla Quantità e alla Qualità si riduce. La prima dalla Lunghezza o Brevità si misura; la seconda dalla Efficacia o Debolezza del dire. E perchè nell’uno e nell’altro di questi due generi v’ha due termini estremi e’l mezzo fra essi; quindi è, che sotto la Quantità cade il Lunghissimo, il Mezzano, il Brevissimo; sotto la Qualità, il Sublime, il Mezzano, e l’Infimo. I tre primi hanno avuti Popoli, che di essi si servieno: del Lunghissimo gli Asiani, del Brevissimo gli Spartani, del Mezzano gli Attici. I tre secondi hanno avuti Oratori, che, giusta la fede che ne fa M. Tullio1, sono stati in ognuna di quelle forme di dire eccellenti.

È il puro Asiatico diffusissimo; e, parli di ciò che si vuole, ha per costume di dire, come quell’Albuzio riferito da Seneca2, Non quidquid debet, sed quidquid potest. Stile carnefice degli orecchi, come Scaligero lo nominò, che in un mare di parole non ha una bricia di sale. Nullo enim certo pondere innixus, verbis humidis et lapsantibus diffluit. Cujus orationem bene existimatum est in ore nasci, non in pectore3. Onde miracolo fia (ciò che Aristotile disse ad un’importuno ciarlone), che si truovi chi abbia piedi per potersene andare, e abbia orecchi per volerlo sentire. Avete osservate le prime lettere de’ Privilegj scritti in pergameno? Quanti tratti di penna, quante cifre, quanti scherzi in arabesco concorrono a formarle? e poi in fine ella non è più che un’A, una B, una lettera come l’altre che semplicemente si formano. Questa

  1. In Orat. ad Brut.
  2. Proœm. lib. 7. Controv.
  3. A. Gell. l. 1. c. 15.