Dell'uomo di lettere difeso ed emendato/Parte seconda/25
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25.
Lo smarrimento di quegli, che incontrano difficoltà sul cominciare.
In ogni arte, in ogni impresa, più di tutto il rimanente, difficile è il cominciare. Lo sforzo e la costanza maggiore lo chieggono i primi passi; dopo i quali, come montata l’erta d’una gran rupe, sempre dipoi più spianato e agevole s’incontra il camino. Potrebbero tutte l’Arti dire de’ loro principj ciò, che il Sole, ammaestrando Fetonte, disse del suo viaggio:
Ardua prima via est, per quam vix mane recentes
Enituntur equi1.
Ancor ne’ guadagni delle mercatanzie il più difficile è uscire di povertà. Pecunia (disse lo Stoico) circa paupertatem plurimam moram habet, dum ex illa ereptat. Onde Lampi2, uomo ricchissimo, a chi lo richiese, come, d’uomo mendico ch’egli era, fosse divenuto sì facultoso, Le poche ricchezze, disse, io le feci vegliando ancor la notte; le molte, ora le fo dormendo ancora il giorno. Stentai da principio per un danajo più che ora non fo per un talento: nè l’esser’ora sì ricco altro mi costa, che la prima fatica ch’io feci finir d’esser povero.
Ciò non inteso da’ poco pratici del mestier di comporre, fa, che incontrando su le prime sterili i pensieri, secca la vena, e povero di concetti l’ingegno, s’impazientino, e o sè come inabili a riuscire condannino, o l’arte come troppo malagevole ad apprendersi abbandonino. Non si raccordano, che dalle tenebre della notte alla luce chiarissima del meriggio non si fa immediatamente passaggio. Vanno inanzi i primi chiarori, che sono poca luce stemperata con molta caligine; indi l’Alba men fosca, che su l’orlo dell’Orizzonte biancheggia; poscia l’Aurora più ricca di luce, più carica di colore; e finalmente il Sole: ma questo, nello spuntare sul nostro emisfero, torbido e vaporoso, obliquo, debile, e tremante, che dall’Orizzonte (come chi a stento s’aggrappa per iscoscesa pendice) a poco a poco fino alle cime del cielo sormonta. Non sovvien loro, che uomo non s’è prima d’esser bambino, ně abile al corso prima d’essere ito carponi per terra, portando su le mal ferme gambe e su le tenere braccia la vita vacillante e cadente ad ogni passo: nè spedito di favella, prima d’avere avuto in bocca il silenzio, poscia i vagiti, indi una lingua scilinguata e balbettante, con voci dimezzate e storpie, sino a scolpire con fatica babbo e mamma; e questo, prendendo di bocca altrui ad una ad una le sillabe e le voci, e rendendone, come l’eco, i pezzi, più imitando l’altrui favella che favellando.
I grandi uomini non si fanno di getto, come le statue di bronzo, che in un momento bell’e intere si formano; anzi si lavorano come i marmi a punta di scarpello e a poco a poco. Gli Apelli, i Zeusi, i Parrasj, que’ gram maestri del disegno, alle cui pitture non si potea dire che mancasse l’anima per parer vive, perchè sapevano parer vive ancora senza anima, quando cominciarono a maneggiare i pennelli e stendere i colori, credete voi che non dessero a cinquanta per cento le botte false, e che i loro lavori non avessero di bisogno che vi si scrivesse al piè, di cui fossero quelle imagini, acciochè un Lione non fosse creduto esser’un Cane? La natura istessa, che pur’è sì grande artefice, e maestra d’ogni più eccellente fattura, parve a Plinio, che inanzi d’applicarsi al lavorio de’ Gigli, opera di gran magistero, s’addestrasse con farne quasi l’abbozzamento e ’l modello ne’ Convolvi, fioretti candidi e semplici, perciò detti da lui veluti naturæ rudimentum, Lilia facere condiscentis3. Se aveste veduto il Campidoglio di Roma, e in esso il tempio di Giove, ricco delle spoglie di tutto il mondo, l’avreste voi riconosciuto per quello che una volta fu, quando
Juppiter angusta vix totus stabat in æde,
Inque Jovis dextra fictile fulmen erat4?
Che se ben’è vero, che talvolta, giusta l’antico proverbio, i fiumi reali hanno navigabili anche le fonti; e chi è per riuscire in qualche professione di Lettere oltre a’ termini dell’ordinario eccellente, straordinarj segni ne dà fin da principio, come Ercole Monstra superavit prius quam nosse posset, strozzando bambino nella culla i dragoni, e con ciò preludendo all’Idra, e dando il primo saggio delle sue forze; questo però, come cosa di pochi, non fa legge per tutti, nè tanto pruova la facilità quanto la felicità delle prime operazioni, e anzi l’abilità dell’ingegno che l’uso dell’arte.
Non si lasci dunque l’impresa, per malagevoli che riescano i principj; nè s’abbandoni Proteo, se avvien ch’egli fugga da’ primi nodi che gli si mettono. Non vogliamo farla da maestri prima d’essere scolari: e ricordianci, che i Principianti fanno assai, se cominciano.
Eccovi per consolazione alcuni versi del Re de’ Poeti, coll’applicazione a vostro proposito5:
Qualis spelunca subito commota Columba,
Cui domus et dulces latebroso in pumice nidi,
Fertur in arva volans, plausumque exterrita pennis
Dat tecto ingentem; mox aere lapsa quieto,
Radit iter liquidum, celeres neque commovet alas;
tale appunto sarà il vostro ingegno. Ora gli bisogna batter fortemente l’ali, e inviarsi al volo con molta fatica: non andrà guari, che senza scuotere ala nè batter penna darà felicissimi voli; e ciò sarà, quando, acquistato l’uso di comporre, per fare quanto vorrete, basterà che vogliate, e sarà fatto.