Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
138 | dell’uomo di lettere |
è l’imagine vera dello Stile Asiano. In un mondo di parole non vi dice più di quello, che altri vi direbbe in un solo periodo.
Il puro Laconico usa anzi geroglifici che parole; e in esso, come dissi delle pitture di Parrasio, plus intelligitur quam pingatur. Studet enim, ut paucissimis verbis plurimas res comprehendat1; ciò che di Tucidide disse l’Alicarnasseo2. Tre suoi gran periodi entrano in una linea. Tre linee sono poco meno d’una compiuta orazione. Ogni parola sua, anzi quasi ogni sillaba, è, quali Demostene diceva essere i detti di Focione, un colpo di scure3.
Il Mezzano fra questi due, che come elettro d’amendue si tempera e si compone, è l’Attico, che senza l’insipidezza dell’Asiano, senza l’oscurità del Laconico, ha la chiarezza di quello e l’efficacia di questo; e, come in un corpo ben formato, nè tutto è nervo nè tutto è carne, ma l’uno v’ha la sua parte per la forza, l’altra v’ha la sua per la bellezza. A fui chi toglie una parola, toglie non come a Lisia de sententia, ma come a Platone de elegantia4. Ha quello, che Seneca controversista5 chiamò pugnatorium mucronem (di che manca l’Asiatico); ma l’usa con altra maniera d’armeggiar più sicuro e più acconcio del Laconico, il quale ad ogni colpo fa una passata, e viene alle strette, e, non tirando (come diceva Regolo di sè stesso) senon punte di fitta, e tutte alla gola della causa, corre sempre pericolo ne genu sit aut talus, ubi jugulum putat6.
Gli Stili differenti sotto il genere di Qualità, non hanno, come i già detti, viziosi gli estremi e ottimo il mezzo; ma s’avvantaggiano di bontà l’un sopra l’altro, sì come sono l’un più dell’altro perfetti.
Per ispiegare la loro natura più chiaramente, raccorderò quello che insegnarono Aristotile7 e M. Tullio8: che l’arte del persuadere ha tre potentissimi mezzi, con che suole ottenere il suo fine: questi sono