Dell'arte della guerra/Libro quarto
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DELL’ARTE
DELLA GUERRA
DI NICCOLÒ MACHIAVELLI
LIBRO QUARTO
Luigi.
Zanobi. Io sono per stare dove voi mi metterete, ancora che io stessi più volentieri ad ascoltare; perchè, infino a quì, mi sono più soddisfatte le domande vostre che non mi sarieno piaciute quelle che a me, nello ascoltare i vostri ragionamenti, occorrevano. Ma io credo che sia bene, signore, che voi avanziate tempo e abbiate pazienza, se con queste nostre cerimonie vi infastidissimo.
Fabrizio. Anzi mi date piacere, perchè questa variazione de’ domandatori mi fa conoscere i varj ingegni e i varj appetiti vostri. Ma restavi cosa alcuna che vi paia da aggiugnere alla materia ragionata?
Zanobi. Due cose desidero, avanti che si passi ad un’altra parte: l’una, è che voi ne mostriate se altra forma di ordinare eserciti vi occorre; l’altra, quali rispetti debbe avere uno capitano prima che si conduca alla zuffa, e, nascendo alcuno accidente in essa, quali rimedj vi si possa fare.
Fabrizio. Io mi sforzerò soddisfarvi. Non risponderò già distintamente alle domande vostre, perchè, mentre che io risponderò a una, molte volte si verrà a rispondere all’altra. Io vi ho detto come io vi proposi una forma di esercito, acciocchè, secondo quella, gli potesse dare tutte quelle forme che il nemico e il sito ricerca; perchè, in questo caso, e secondo il sito e secondo il nemico si procede. Ma notate questo: che non ci è la più pericolosa forma che distendere assai la fronte dell’esercito tuo, se già tu non hai un gagliardissimo e un grandissimo esercito; altrimenti tu l’hai a fare piuttosto grosso e poco largo, che assai largo e sottile. Perchè, quando tu hai poche genti a comparazione del nemico, tu dei cercare degli altri rimedj, come sono: ordinare l’esercito tuo in lato che tu sia fasciato o da fiume o da palude, in modo che tu non possa essere circondato; o fasciarti da’ fianchi con le fosse, come fece Cesare in Francia. E avete a prendere in questo caso questa generalità: di allargarvi o ristrignervi con la fronte, secondo il numero vostro e quello del nemico; ed essendo il nemico di minore numero, dei cercare di luoghi larghi, avendo tu massimamente le genti tue disciplinate, acciocchè tu possa non solamente circondare il nemico, ma distendervi i tuoi ordini; perchè ne’ luoghi aspri e difficili, non potendo valerti degli ordini tuoi, non vieni ad avere alcuno vantaggio. Quinci nasceva che i Romani quasi sempre cercavano i campi aperti e fuggivano i difficili. Al contrario, come ho detto, dei fare se hai o poche genti o male disciplinate; perchè tu hai a cercare luoghi, o dove il poco numero si salvi, o dove la poca esperienza non ti offenda. Debbesi ancora eleggere il luogo superiore, per potere più facilmente urtarlo. Nondimanco si debbe avere questa avvertenza: di non ordinare l’esercito tuo in una spiaggia e in luogo propinquo alle radici di quella, dove possa venire l’esercito nemico; perchè in questo caso, rispetto alle artiglierie, il luogo superiore ti arrecherebbe disavvantaggio; perchè sempre e commodamente potresti dalle artiglierie nemiche essere offeso senza potervi fare alcuno rimedio, e tu non potresti commodamente offendere quello, impedito da’ tuoi medesimi. Debbe ancora, chi ordina uno esercito a giornata, avere rispetto al sole e al vento, che l’uno e l’altro non ti ferisca la fronte; perchè l’uno e l’altro ti impediscono la vista, l’uno con i razzi, l’altro con la polvere. E di più il vento disfavorisce l’armi che si traggono al nemico e fa più deboli i colpi loro. E quanto al sole, non basta avere cura che allora non ti dia nel viso, ma conviene pensare che, crescendo il dì, non ti offenda. E per questo converrebbe, nello ordinare le genti, averlo tutto alle spalle, acciocch’egli avesse a passare assai tempo nello arrivarti in fronte. Questo modo fu osservato da Annibale a Canne e da Mario contro a’ Cimbri. Se tu fossi assai inferiore di cavalli, ordina l’esercito tuo tra vigne e arbori e simili impedimenti, come fecero ne’ nostri tempi gli Spagnuoli, quando ruppono i Francesi nel Reame alla Cirignuola. E si è veduto molte volte come con i medesimi soldati, variando solo l’ordine e il luogo, si diventa di perdente vittorioso, come intervenne a’ Cartaginesi, i quali, sendo stati vinti da Marco Regolo più volte, furono dipoi, per il consiglio di Santippo lacedemonio, vittoriosi, il quale gli fece scendere nel piano, dove, per virtù de’ cavalli e degli liofanti, poterono superare i Romani. E mi pare, secondo gli antichi esempj, che quasi tutti i capitani eccellenti, quando eglino hanno conosciuto che il nemico ha fatto forte uno lato della battaglia, non gli hanno opposta la parte più forte, ma la più debole; e l’altra più forte hanno opposta alla più debole; poi, nello appiccare la zuffa, hanno comandato alla loro parte più gagliarda, che solamente sostenga il nemico e non lo spinga, e alla più debole, che si lasci vincere e ritirisi nell’ultima schiera dell’esercito. Questo genera due grandi disordini al nemico: il primo, ch’egli si truova la sua parte più gagliarda circondata; il secondo è che, parendogli avere la vittoria subito, rade volte è che non si disordini; donde ne nasce la sua subita perdita. Cornelio Scipione, sendo in Ispagna contro ad Asdrubale cartaginese, e sapendo come ad Asdrubale era noto ch’egli nell’ordinare l’esercito poneva le sue Legioni in mezzo, la quale era la più forte parte del suo esercito, e, per questo, come Asdrubale con simile ordine doveva procedere; quando dipoi venne alla giornata, mutò ordine, e le sue Legioni messe ne’ corni dell’esercito, e nel mezzo pose tutte le sue genti più deboli. Dipoi, venendo alle mani, in un subito quelle genti poste nel mezzo fece camminare adagio ed i corni dell’esercito con celerità farsi innanzi; dimodochè solo i corni dell’uno e dell’altro esercito combattevano, e le schiere di mezzo, per essere distante l’una dall’altra, non si aggiugnevano; e così veniva a combattere la parte di Scipione più gagliarda con la più debole d’Asdrubale; e vinselo. Il quale modo fu allora utile; ma oggi, rispetto alle artiglierie, non si potrebbe usare; perchè quello spazio che rimarrebbe nel mezzo, tra l’uno esercito e l’altro, darebbe tempo a quelle di potere trarre; il che è perniciosissimo, come di sopra dicevo. Però conviene lasciare questo modo da parte, e usarlo, come poco fa dissi, faccendo appiccare tutto lo esercito e la parte più debole cedere. Quando uno capitano si truova avere più esercito di quello del nemico, a volerlo circondare che non lo prevegga, ordini lo esercito suo di equale fronte a quello dello avversario; dipoi, appiccata la zuffa, faccia che a poco a poco la fronte si ritiri e i fianchi si distendano; e sempre occorrerà che il nemico si troverrà, senza accorgersene, circondato. Quando uno capitano voglia combattere quasi che sicuro di non potere essere rotto, ordini l’esercito suo in luogo dove egli abbia il refugio propinquo e sicuro, o tra paludi o tra monti o in una città potente; perchè, in questo caso, egli non può essere seguito dal nemico e il nemico può essere seguitato da lui. Questo termine fu usato da Annibale, quando la fortuna cominciò a diventargli avversa e che dubitava del valore di Marco Marcello. Alcuni, per turbare gli ordini del nemico, hanno comandato a quegli che sono leggiermente armati, che appicchino la zuffa, e, appiccata, si ritirino tra gli ordini; e quando dipoi gli eserciti si sono attestati insieme e che la fronte di ciascuno è occupata al combattere, gli hanno fatti uscire per li fianchi delle battaglie, e quello turbato e rotto. Se alcuno si truova inferiore di cavalli, può, oltre a’ modi detti, porre dietro a’ suoi cavalli una battaglia di picche, e, nel combattere, ordinare che dieno la via alle picche; e rimarrà sempre superiore. Molti hanno consueto di avvezzare alcuni fanti leggiermente armati a combattere tra’ cavalli; il che è stato alla cavalleria di aiuto grandissimo. Di tutti coloro che hanno ordinati eserciti alla giornata, sono i più lodati Annibale e Scipione quando combatterono in Affrica, e perchè Annibale aveva l’esercito suo composto di Cartaginesi e di ausiliarj di varie generazioni, pose nella prima fronte ottanta liofanti; dipoi collocò gli ausiliarj, dopo a’ quali pose i suoi Cartaginesi; nell’ultimo luogo messe gli Italiani, ne’ quali confidava poco. Le quali cose ordinò così, perchè gli ausiliarj, avendo innanzi il nemico e di dietro sendo chiusi da’ suoi, non potessono fuggire; dimodochè, sendo necessitati al combattere, vincessero o straccassero i Romani, pensando poi, con la sua gente fresca e virtuosa facilmente i Romani già stracchi superare. All’incontro di questo ordine, Scipione collocò gli Astati, i Principi e i Triarj nel modo consueto da potere ricevere l’uno l’altro e sovvenire l’uno all’altro. Fece la fronte dell’esercito piena di intervalli; e perch’ella non transparesse, anzi paresse unita, li riempiè di Veliti; a’ quali comandò che, tosto ch’e’ liofanti venivano, cedessero, e, per li spazi ordinarj, entrassono tra le Legioni e lasciassero la via aperta a’ liofanti; e così venne a rendere vano l’impeto di quegli, tanto che, venuto alle mani, ei fu superiore.
Zanobi. Voi mi avete fatto ricordare, nello allegarmi cotesta giornata, come Scipione nel combattere non fece ritirare gli Astati negli ordini de’ Principi, ma gli divise e fecegli ritirare nelle corna dell’esercito, acciocchè dessono luogo a’ Principi, quando gli volle spingere innanzi. Però vorrei mi diceste quale cagione lo mosse a non osservare l’ordine consueto.
Fabrizio. Dirovvelo. Aveva Annibale posta tutta la virtù del suo esercito nella seconda schiera; donde che Scipione, per opporre, a quella, simile virtù, raccozzò i Principi e i Triarj insieme: tale che essendo gli intervalli de’ Principi occupati da’ Triarj, non vi era luogo a potere ricevere gli Astati; e però fece dividere gli Astati e andare ne’ corni dell’esercito, e non gli ritirò tra’ Principi. Ma notate che questo modo dello aprire la prima schiera per dare luogo alla seconda, non si può usare se non quando altri è superiore; perchè allora si ha commodità a poterlo fare, come potette Scipione. Ma essendo al disotto e ributtato, non lo puoi fare se non con tua manifesta rovina; e però conviene avere, dietro, ordini che ti ricevino. Ma torniamo al ragionamento nostro. Usavano gli antichi Asiatici, tra l’altre cose pensate da loro per offendere i nemici, carri i quali avevano da’ fianchi alcune falce; tale che, non solamente servivano ad aprire con il loro impeto le schiere, ma ancora ad ammazzare con le falci gli avversarj. Contro a questi impeti in tre modi si provvedeva: o si sostenevano con la densità degli ordini, o si ricevevano dentro nelle schiere come i liofanti, o e’ si faceva con arte alcuna resistenza gagliarda; come fece Silla Romano contro ad Archelao, il quale aveva assai di questi carri che chiamavano falcati, che, per sostenergli, ficcò assai pali in terra dopo le prime schiere, da’ quali i carri sostenuti perdevano l’impeto loro. Ed è da notare il nuovo modo che tenne Silla contro a costui in ordinare lo esercito; perchè misse i Veliti e i cavalli dietro e tutti gli armati gravi davanti, lasciando assai intervalli da potere mandare innanzi quegli di dietro quando la necessità lo richiedesse; donde, appiccata la zuffa, con lo aiuto de’ cavalli a’ quali dette la via, ebbe la vittoria. A volere turbare nella zuffa l’esercito nemico, conviene fare nascere qualche cosa che lo sbigottisca, o con annunziare nuovi aiuti che vengano, o col dimostrare cose che gli rappresentino; talmente che i nemici, ingannati da quello aspetto, sbigottiscono e, sbigottiti, si possano facilmente vincere. I quali modi tennono Minuzio Ruffo e Acilio Glabrione Consoli Romani. Caio Sulpizio ancora misse assai saccomanni sopra muli e altri animali alla guerra inutili, ma in modo ordinati che rappresentavano gente d’arme, e comandò ch’eglino apparissono sopra uno con le, mentre ch’egli era alle mani con i Francesi; donde ne nacque la sua vittoria. Il medesimo fece Mario quando combattè contro a’ Tedeschi. Valendo, adunque, assai gli assalti finti mentre che la zuffa dura, conviene che molto più giovino i veri, massimamente se allo improvviso nel mezzo della zuffa si potesse di dietro o da lato assaltare il nemico. Il che difficilmente si può fare se il paese non ti aiuta; perchè, quando egli è aperto, non si può celare parte delle tue genti come conviene fare in simili imprese; ma ne’ luoghi silvosi o montuosi, e per questo atti agli agguati, si può bene nascondere parte delle tue genti, per potere, in uno subito e fuora di sua opinione assaltare il nemico; la quale cosa sempre sarà cagione di darti la vittoria. È stato qualche volta di grande momento, mentre che la zuffa dura, seminare voci che pronuncino il capitano de’ nemici essere morto, o avere vinto dall’altra parte dell’esercito; il che molte volte a chi l’ha usato ha dato la vittoria. Turbasi facilmente la cavalleria nemica o con forme o con romori inusitati; come fece Creso, che oppose i cammegli agli cavalli degli avversarj; e Pirro oppose alla cavalleria Romana i liofanti, lo aspetto de’ quali la turbò e la disordinò. Ne’ nostri tempi il Turco ruppe il Sofì in Persia e il Soldano in Sorìa, non con altro se non con i romori degli scoppietti; i quali in modo alterarono con gli loro inusitati romori la cavalleria di quegli, che il Turco potèo facilmente vincerla. Gli Spagnuoli, per vincere l’esercito d’Amilcare missero nella prima fronte carri pieni di stipa tirati da buoi, e, venendo alle mani, appiccarono fuoco a quella; donde che i buoi, volendo fuggire il fuoco, urtarono nell’esercito di Amilcare e lo apersero. Soglionsi, come abbiamo detto, ingannare i nemici nel combattere, tirandogli negli agguati, dove il paese è accomodato; ma, quando fusse aperto e largo, hanno molti usato di fare fosse, e dipoi ricopertole leggiermente di frasche e terra e lasciato alcuni spazi solidi da potersi tra quelle ritirare; dipoi, appiccata la zuffa, ritiratosi per quelli, e il nemico seguendogli, è rovinato in esse. Se nella zuffa ti occorre alcuno accidente da sbigottire i tuoi soldati, è cosa prudentissima il saperlo dissimulare e pervertirlo in bene, come fece Tullo Ostilio e Lucio Silla; il quale, veggendo come, mentre che si combatteva, una parte delle sue genti se ne era ita dalla parte nemica, e come quella cosa aveva assai sbigottiti i suoi, fece subito intendere per tutto lo esercito come ogni cosa seguiva per ordine suo; il che non solo non turbò lo esercito, ma gli accrebbe in tanto lo animo, che rimase vittorioso. Occorse ancora a Silla che, avendo mandati certi soldati a fare alcuna faccenda, ed essendo stati morti, disse, perchè l’esercito suo non si sbigottisse, avergli con arte mandati nelle mani de’ nemici perchè gli aveva trovati poco fedeli. Sertorio, faccendo una giornata in Ispagna, ammazzò uno che gli significò la morte d’uno de’ suoi capi, per paura che, dicendo il medesimo agli altri, non gli sbigottisse. È cosa difficilissima, uno esercito già mosso a fuggire, fermarlo e renderlo alla zuffa. E avete a fare questa distinzione: o egli è mosso tutto, e quì è impossibile restituirlo; o ne è mossa una parte, e quì è qualche rimedio. Molti capitani Romani con il farsi innanzi a quegli che fuggivano, gli hanno fermi, faccendoli vergognare della fuga; come fece Lucio Silla, che, sendo già parte delle sue Legioni in volta cacciate dalle genti di Mitridate, si fece innanzi con una spada in mano, gridando: Se alcuno vi domanda dove voi avete lasciato il capitano vostro, dite: Noi lo abbiamo lasciato in Beozia che combatteva. Attilio Consolo a quegli che fuggivano oppose quegli che non fuggivano, e fece loro intendere che, se non voltavano, sarebbero morti dagli amici e da’ nemici. Filippo di Macedonia, intendendo come i suoi temevano de’ soldati sciti, pose dietro al suo esercito alcuni de’ suoi cavalli fidatissimi, e commisse loro ammazzassono qualunque fuggiva; onde che i suoi, volendo più tosto morire combattendo che fuggendo, vinsero. Molti Romani, non tanto per fermare una fuga, quanto per dare occasione a’ suoi di fare maggiore forza, hanno, mentre che si combatte tolta una bandiera di mani a’ suoi e gittatala tra i nimici e proposto premj a chi la riguadagnava. Io non credo che sia fuora di proposito aggiugnere a questo ragionamento quelle cose che intervengono dopo la zuffa, massime sendo cose brevi e da non le lasciare indietro e a questo ragionamento assai conformi. Dico, adunque, come le giornate si perdono o si vincono. Quando si vince, si dee con ogni celerità seguire la vittoria e imitare in questo caso Cesare e non Annibale; il quale, per essersi fermo da poi ch’egli ebbe rotti i Romani a Canne, ne perdè lo imperio di Roma. Quello altro mai dopo la vittoria non si posava, ma con maggiore impeto e furia seguiva el nemico rotto, che non l’aveva assaltato intero. Ma quando si perde, dee un capitano vedere se dalla perdita ne può nascere alcuna sua utilità, massimamente se gli è rimaso alcuno residuo di esercito. La commodità può nascere dalla poca avvertenza del nemico, il quale, il più delle volte, dopo la vittoria diventa trascurato e ti dà occasione di opprimerlo; come Marzio Romano oppresse gli eserciti cartaginesi, i quali, avendo morti i duoi Scipioni e rotti i loro eserciti, non stimando quello rimanente delle genti che con Marzio erano rimase vive, furono da lui assaltati e rotti. Per che si vede che non è cosa tanto riuscibile quanto quella che il nemico crede che tu non possa tentare, perchè il più delle volte gli uomini sono offesi più dove dubitano meno. Debbe un capitano pertanto, quando egli non possa fare questo, ingegnarsi almeno con la industria che la perdita sia meno dannosa. A fare questo ti è necessario tenere modi che il nemico non ti possa con facilità seguire, o dargli cagione ch’egli abbia a ritardare. Nel primo caso, alcuni, poi ch’egli hanno conosciuto di perdere, ordinarono agli loro capi che in diverse parti e per diverse vie si fuggissono, avendo dato ordine dove si avevano dipoi a raccozzare; il che faceva che il nemico, temendo di dividere l’esercito, ne lasciava ire salvi o tutti o la maggior parte di essi. Nel secondo caso, molti hanno gittato innanzi al nemico le loro cose più care, acciocchè quello, ritardato dalla preda, dia loro più spazio alla fuga. Tito Dimio usò non poca astuzia per nascondere il danno ch’egli aveva ricevuto nella zuffa; perchè, avendo combattuto infino a notte con perdita di assai de’ suoi, fece la notte sotterrare la maggior parte di quegli; donde che la mattina, vedendo i nemici tanti morti de’ loro e si pochi de’ Romani, credendo avere disavvantaggio, si fuggirono. Io credo di avere così confusamente, come io dissi, soddisfatto in buona parte alla domanda vostra. Vero è che, circa la forma degli eserciti, mi resta a dirvi come alcuna volta per alcun capitano si è costumato fargli con la fronte a uso d’uno conio, giudicando potere per tale via più facilmente aprire l’esercito nemico. Contro a questa forma hanno usato fare una forma a uso di forbici, per potere tra quello vacuo ricevere quello conio e circondarlo e combatterlo da ogni parte. Sopra che voglio che voi prendiate questa regola generale: che il maggiore rimedio che si usi contro a uno disegno del nemico, è fare volontario quello ch’egli disegna che tu faccia per forza; perchè, faccendolo volontario, tu lo fai con ordine e con vantaggio tuo e disavvantaggio suo; se lo facessi forzato, vi sarebbe la tua rovina. A fortificazione di questo non mi curerò di replicarvi alcuna cosa già detta. Fa il conio lo avversario per aprire le tue schiere? Se tu vai con esse aperte, tu disordini lui ed esso non disordina te. Pose i liofanti in fronte del suo esercito Annibale per aprire con quegli l’esercito di Scipione; andò Scipione con esso aperto e fu cagione e della sua vittoria e della rovina di quello. Pose Asdrubale le sue genti più gagliarde nel mezzo della fronte del suo esercito, per spingere le genti di Scipione; comandò Scipione che per loro medesime si ritirassono, e ruppelo. In modo che simili disegni, quando si presentano, sono cagione della vittoria di colui contro a chi essi sono ordinati. Restami ancora, se bene mi ricorda, dirvi quali rispetti debbe avere uno capitano prima che si conduca alla zuffa. Sopra che io vi ho a dire, in prima, come uno capitano non ha mai a fare giornata se non ha vantaggio, o se non è necessitato. Il vantaggio nasce dal sito, dall’ordine, dall’avere o più o migliore gente, La necessità nasce quando tu vegga, non combattendo, dovere in ogni modo perdere; come è: che sia per mancarti danari e, per questo, lo esercito tuo si abbia in ogni modo a risolvere; che sia per assaltarti la fame; che il nemico aspetti di ingrossare di nuova gente. In questi casi sempre si dee combattere, ancora con tuo disavvantaggio, perch’egli è assai meglio tentare la fortuna dov’ella ti possa favorire, che, non la tentando, vedere la tua certa rovina. Ed è così grave peccato, in questo caso, in uno capitano il non combattere, come è d’avere avuta occasione di vincere e non la avere o conosciuta per ignoranza o lasciata per viltà. I vantaggi qualche volta te gli dà il nemico e qualche volta la tua prudenza. Molti, nel passare i fiumi, sono stati rotti da uno loro nemico accorto, il quale ha aspettato che sieno mezzi da ogni banda e, dipoi, gli ha assaltati; come fece Cesare a’ Svizzeri, che consumò la quarta parte di loro, per essere tramezzati da uno fiume. Trovasi alcuna volta il tuo nemico stracco per averti seguito troppo inconsideratamente, dimodochè, trovandoti tu fresco e riposato, non dei lasciare passare tale occasione. Oltre a questo, se il nemico ti presenta, la mattina di buona ora, la giornata, tu puoi differire di uscir de’ tuoi alloggiamenti per molte ore; e quando egli è stato assai sotto l’armi e ch’egli ha perso quel primo ardore con il quale venne, puoi allora combattere seco. Questo modo tenne Scipione e Metello in Ispagna, l’uno contro ad Asdrubale, l’altro contro a Sertorio. Se il nemico è diminuito di forze, o per avere diviso gli eserciti, come gli Scipioni in Ispagna, o per qualche altra cagione, dei tentare la sorte. La maggior parte de’ capitani prudenti piuttosto ricevano l’impeto de’ nemici, che vadano con impeto ad assaltare quelli: perchè il furore è facilmente sostenuto dagli uomini fermi e saldi, e il furore sostenuto facilmente si convertisce in viltà. Così fece Fabio contro a’ Sanniti e contro a’ Galli, e fu vittorioso; e Decio suo collega vi rimase morto. Alcuni che hanno temuto della virtù del loro nemico, hanno cominciato la zuffa nell’ora propinqua alla notte, acciocchè i suoi, sendo vinti, potessero, difesi dalla oscurità di quella, salvarsi. Alcuni, avendo conosciuto come l’esercito nemico è preso da certa superstizione di non combattere in tale tempo, hanno quel tempo eletto alla zuffa, e vinto. Il che osservò Cesare in Francia contro ad Ariovisto, e Vespasiano in Sorìa contro a’ Giudei. La maggiore e più importante avvertenza che debba avere uno capitano, è di avere appresso di se uomini fedeli, peritissimi della guerra e prudenti, con gli quali continuamente si consigli e con loro ragioni delle sue genti e di quelle del nemico: quale sia maggiore numero, quale meglio armato, o meglio a cavallo, o meglio esercitato; quali sieno più atti a patire la necessità; in quali confidi più, o ne’ fanti o ne’ cavalli. Dipoi considerino il luogo dove sono, e s’egli è più a proposito per il nemico che per lui; chi abbia di loro più commodamente la vettovaglia; s’egli è bene differire la giornata o farla; che di bene gli potesse dare o torre il tempo; perchè molte volte i soldati, veduta allungare la guerra, infastidiscono e, stracchi nella fatica e nel tedio, ti abbandonano. Importa sopra tutto conoscere il capitano de’ nemici e chi egli ha intorno: s’egli è temerario o cauto, se timido o audace. Vedere come tu ti puoi fidare de’ soldati ausiliarj. E sopra tutto ti debbi guardare di non condurre l’esercito ad azzuffarsi che tema o che in alcuno modo diffidi della vittoria; perchè il maggiore segno di perdere è quando non si crede potere vincere. E però in questo caso dei fuggire la giornata, o col fare come Fabio Massimo che, accampandosi ne’ luoghi forti, non dava animo ad Annibale d’andarlo a trovare; o, quando tu credessi che il nemico ancora ne’ luoghi forti ti venisse a trovare, partirsi della campagna e dividere le genti per le tue terre, acciocchè il tedio della espugnazione di quelle lo stracchi.
Zanobi. Non si può egli fuggire altrimenti la giornata, che dividersi in più parti e mettersi nelle terre?
Fabrizio. Io credo, altra volta, con alcuno di voi avere ragionato come quello che sta alla campagna non può fuggire la giornata, quando egli ha uno nemico che lo vogli combattere in ogni modo; e non ha se non uno rimedio: porsi con l’esercito suo discosto cinquanta miglia almeno dall’avversario suo, per essere a tempo a levarsegli dinanzi quando lo andasse a trovare. E Fabio Massimo non fuggì mai la giornata con Annibale, ma la voleva fare a suo vantaggio; e Annibale non presumeva poterlo vincere andando a trovarlo ne’ luoghi dove quello alloggiava; chè s’egli avesse presupposto poterlo vincere, a Fabio conveniva fare giornata seco in ogni modo, o fuggirsi. Filippo, Re di Macedonia, quello che fu padre di Perse, venendo a guerra con i Romani, pose gli alloggiamenti suoi sopra uno monte altissimo per non fare giornata con quegli; ma i Romani lo andarono a trovare in su quello monte e lo ruppono. Cingentorige, capitano de’ Franciosi, per non avere a fare giornata con Cesare, il quale fuora della sua opinione aveva passato un fiume, si discostò molte miglia con le sue genti. I Viniziani, ne’ tempi nostri, se non volevano venire a giornata con il Re di Francia, non dovevano aspettare che l’esercito francioso passasse l’Adda, ma discostarsi da quello, come Cingentorige. Donde che quegli, avendo aspettato, non seppono pigliare nel passare delle genti la occasione del fare la giornata, nè fuggirla; perchè i Franciosi, sendo loro pripinqui, come i Viniziani disalloggiarono, gli assaltarono e ruppero. Tanto è che la giornata non si può fuggire quando il nemico la vuole in ogni modo fare. Nè alcuno alleghi Fabio, perchè tanto in quel caso fuggì la giornata egli, quanto Annibale. Egli occorre molte volte che i tuoi soldati sono volonterosi di combattere, e tu cognosci, per il numero e per il sito o per qualche altra cagione, avere disavvantaggio, e desideri fargli rimuovere da questo desiderio. Occorre ancora che la necessità o l’occasione ti costringe alla giornata, e che i tuoi soldati sono male confidenti e poco disposti a combattere; donde che ti è necessario nell’uno caso sbigottirgli e nell’altro accendergli. Nel primo caso, quando le persuasioni non bastano, non è il migliore modo che darne in preda una parte di loro al nemico, acciocchè quegli che hanno e quegli che non hanno combattuto, ti credano. E puossi molto bene fare con arte quello che a Fabio Massimo intervenne a caso. desiderava, come voi sapete, l’esercito di Fabio combattere con l’esercito d’Annibale; il medesimo desiderio aveva il suo maestro de’ cavalli; a Fabio non pareva di tentare la zuffa; tantochè, per tale disparere, egli ebbero a dividere l’esercito. Fabio ritenne i suoi negli alloggiamenti; quell’altro combattè, e, venuto in pericolo grande, sarebbe stato rotto, se Fabio non lo avesse soccorso. Per il quale esemplo il maestro de’ cavalli, insieme con tutto lo esercito, cognobbe come egli era partito savio ubbidire a Fabio. Quanto allo accendergli al combattere, è bene fargli sdegnare contro a’ nemici, mostrando che dicono parole ignominiose di loro; mostrare di avere con loro intelligenza e averne corrotti parte; alloggiare in lato che veggano i nemici e che facciano qualche zuffa leggiere con quegli, perchè le cose che giornalmente si veggono, con più facilità si dispregiano; mostrarsi indegnato e, con una orazione a proposito, riprendergli della loro pigrizia e, per fargli vergognare dire di volere combattere solo, quando non gli vogliano fare compagnia. E dee, sopra ogni cosa, avere questa avvertenza, volendo fare il soldato ostinato alla zuffa: di non permettere che ne mandino a casa alcuna loro facoltà, o depongano in alcuno luogo, infino che egli è terminata la guerra, acciocchè intendano che, se il fuggire salva loro la vita, egli non salva loro la roba, l’amore della quale non suole meno di quella rendere ostinati gli uomini alla difesa.
Zanobi. Voi avete detto com’egli si può fare i soldati volti a combattere parlando loro. Intendete voi, per questo, che si abbia a parlare a tutto l’esercito, o a’ capi di quello?
Fabrizio. A persuadere o a dissuadere a pochi una cosa è molto facile perchè, se non bastano le parole, tu vi puoi usare l’autorità e la forza; ma la difficoltà è rimuovere da una moltitudine una sinistra opinione e che sia contraria o al bene comune o all’opinione tua; dove non si può usare se non le parole le quali conviene che sieno udite da tutti, volendo persuadergli tutti. Per questo gli eccellenti capitani conveniva che fussono oratori, perchè, senza sapere parlare a tutto l’esercito, con difficultà si può operare cosa buona; il che al tutto in questi nostri tempi è dismesso. Leggete la vita d’Alessandro Magno, e vedete quante volte gli fu necessario concionare e parlare pubblicamente all’esercito; altrimenti non l’arebbe mai condotto, sendo diventato ricco e pieno di preda, per i deserti d’Arabia e nell’India con tanto suo disagio e noia; perchè infinite volte nascono cose mediante le quali uno esercito rovina, quando il capitano o non sappia o non usi di parlare a quello; perchè questo parlare lieva il timore, accende gli animi, cresce l’ostinazione, scuopre gl’inganni, promette premj, mostra i pericoli e la via di fuggirli, riprende, priega, minaccia, riempie di speranza, loda, vitupera, e fa tutte quelle cose per le quali le umane passioni si spengono o si accendono. Donde quel principe o Repubblica che disegnasse fare una nuova milizia e rendere riputazione a questo esercizio, debbe assuefare i suoi soldati a udire parlare il capitano, e il capitano a sapere parlare a quegli. Valeva assai, nel tenere disposti gli soldati antichi, la religione e il giuramento che si dava loro quando si conducevano a militare; perchè in ogni loro errore si minacciavano non solamente di quelli mali che potessono temere dagli uomini, ma di quegli che da Dio potessono aspettare. La quale cosa, mescolata con altri modi religiosi, fece molte volte facile a’ capitani antichi ogni impresa, e farebbe sempre, dove la religione si temesse e osservasse. Sertorio si valse di questa, mostrando di parlare con una cervia la quale, da parte d’Iddio, gli prometteva la vittoria. Silla diceva di parlare con una immagine ch’egli aveva tratta dal tempio di Apolline. Molti hanno detto essere loro apparso in sogno Iddio, che gli ha ammoniti al combattere. Ne’ tempi de’ padri nostri, Carlo VII Re di Francia, nella guerra che fece contro agli Inghilesi, diceva consigliarsi con una fanciulla mandata da Iddio, la quale si chiamò per tutto la Pulzella di Francia; il che gli fu cagione della vittoria. Puossi ancora tenere modi che facciano che i tuoi apprezzino poco il nemico; come tenne Agesilao spartano, il quale mostrò a’ suoi soldati alcuni Persiani ignudi, acciocchè, vedute le loro membra dilicate, non avessero cagione di temergli. Alcuni gli hanno costretti a combattere per necessità, levando loro via ogni speranza di salvarsi, fuora che nel vincere; la quale è la più gagliarda e la migliore provvisione che si faccia, a volere fare il suo soldato ostinato. La quale ostinazione è accresciuta dalla confidenza e dall’ amore del capitano o della patria. La confidenza, la causa l’armi; l’ordine, le vittorie fresche e l’opinione del capitano. L’amore della patria è causato dalla natura; quello del capitano, dalla virtù più che da niuno altro beneficio. Le necessitadi possono essere molte, ma quella è più forte, che ti costringe o vincere o morire.