Del principe e delle lettere (Alfieri, 1927)/Libro terzo/Capitolo X
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Capitolo Decimo
Che da tali nuove lettere nascerebbero a poco a poco dei nuovi popoli.
Roma, dall’aver cacciati i re, ricevea quell’impulso a virtú, che per tanti anni la facea sempre poi crescere e cosí sterminatamente grande al fin la facea. E questo negar non si può, mirando agli effetti. Dall’avere ella poi soggiogate molte nazioni, e massime le suddite ai re, ne riceveva, insieme coi loro monarchi in Campidoglio strascinati, le ricchezze, le morbidezze, i vizi tutti, ed i guasti costumi. Roma da queste regie pesti ben tosto poi ricevea, sotto altro nome, dei novelli e ferocissimi re; e da questi finalmente poi riceveva ella il suo ultimo avvilimento e sterminio.
Cosí, nei tempi nostri, l’Inghilterra dall’aver cacciata la regal podestá, serbando tuttavia dietro l’infrangibile scudo delle leggi i suoi re, in meno di un secolo saliva ella in forza ed in gloria grandissima; e la vediamo ai dí nostri far fronte ella sola e vincere spesso, e non mai soggiacere finora, a molte delle maggiori monarchie dell’Europa congiurate in suo danno. Perciò nove milioni appena d’inglesi si sono veduti in quest’ultima guerra di America stare a fronte di venti e più milioni di francesi, di dieci o non so quanti di spagnuoli, e di cinque o sei tra olandesi e americani. Politica maraviglia, di cui non si può trovar la ragione, se non se confessando che un uomo libero equivale almeno a sei schiavi. Ma pure, combattendo gli americani per la loro libertá, non soggiacquero in questa guerra agli inglesi, i quali in America faceano assai piú la parte di schiavi e tiranni essi stessi che non di liberi uomini.
Ma, lasciando questo (che al mio tema non spetta) se io in questi due popoli, nel moderno inglese e americano, e nell’antico romano, osservo le cagioni della lor libertá, e quindi dei loro progressi, felicitá, virtú e grandezza; trovo pur sempre esserne stata principalissima origine la loro piena attenuta conoscenza dei propri diritti. Diritti, ad essi, come agli altri uomini tutti, dalla natura accordati, ma dal principato che contro natura è, menomati, tolti, scambiati e corrotti. Alla custodia di tali e cosí sacri diritti vegliavano in Roma i tribuni, in Inghilterra la camera dei Comuni, e non so finora chi ci veglierá nella nascente libertá dell’America: benché, per non aver essa né ottimati né clero, assai meno necessaria vi sará tal custodia; poiché tutti non cercano mai di pregiudicare al dritto di tutti. La libertá dunque nasce, e vien promulgata, conservata e difesa da quegli uomini principalmente che, insegnando ai popoli i loro diritti, somministrano loro gli opportuni mezzi al difenderli. La libertá in oltre è la sola e vera esistenza di un popolo; poiché di tutte le cose grandi operate dagli uomini la ritroviamo sempre esser fonte. In Roma dunque ed in Londra erano e sono necessariamente illuminati e sovrani oratori quegli uomini, cui con sí bel privilegio la libertá destinava e destina a stabilire, conservare ed accrescere le piú sacre e legittime prerogative di tutti. Ma fra noi, popoli servi che non abbiamo tribuni, chi altri mai ci potrá insegnare a conoscere i nostri diritti, a ripigliarceli e a difenderli, se ciò gli scrittori non fanno? e se le lettere, piú che ad ogni altra cosa, a questa non giovano; se anzi, fattesi esse ministre di falsitá e di lordura, sotto un aspetto pur tanto diverso dalla loro naturale istituzion primitiva, si veggono appiè del trono in un col servaggio nel fango bruttare, non debbono elle giustamente venir reputate dai popoli per una delle piú fetide pesti della lor societá? le sacre lettere che, di tanto traviate, riduconsi pure ad insegnare, laudare e proteggere il falso, con quell’arte e lusinga cosí possente ognora su gli uomini tutti, la elegante eloquenza. Ciascuno militi nel mondo sotto le proprie insegne. L’interesse e lo scopo dei principi si è il comandare quanto piú essi possono; e, per ottener tal vittoria, incontro ai popoli schierano l’ignoranza e gli eserciti. L’interesse e lo scopo dei popoli, (e il solo degno di loro) si è, o dev’essere, il valersi di tutte le proprie facoltá pel maggior vantaggio di ciascun individuo e di tutti; ma a questo alto scopo manifestamente si oppone il cieco obbedire ad un solo. Dunque, infin che venga quel giorno, in cui contra i principeschi satelliti schierare si possano degli uomini cittadini e distruggerli, incontro alla principesca ignoranza in copia schierar vi si debbono arditi e veraci scrittori, che ai tremanti loro conservi insegnino a farsi uomini e cittadini, e che ai tremanti principi ricordino che, per sé soli, degli uomini tutti i minori son essi.
Gli arditi e veraci scrittori son dunque gli onorati, naturali, e sublimi tribuni dei non liberi popoli. Eletti a cosí alto incarico dalla sola forza del natural loro impulso, sotto mille forme diverse, ma tutte calde, convincenti ed energiche, appresentano e scolpiscono nel cuor di quei popoli l’amor del vero, del grande, dell’utile, del retto e della libertá, che necessariamente da questi tutti deriva. Il teatro, la storia, i poemi, l’eloquenza oratoria, le lettere tutte in somma, e sotto gli aspetti tutti, una vivissima scuola divengono di virtú e di libertá. Proibiti, è vero, e impediti e perseguitati verranno tai libri; ma quindi letti saranno e meditati e giovevoli. Tutto penetra nei presenti tempi; e se finora le veritá tutte non si sono fatte la dovuta strada, si dée ascrivere al timore, o al non bastante ingegno di chi assunto si era di svelarle. Ma principalmente ascrivere si debbe questo indugio di veritá e di luce a un deplorabile errore di alcuni moderni sommi scrittori che, licenziosi e non liberi, anzi degni fabri di servitú, il loro ardire piuttosto rivolgeano ad offendere con laidezze i costumi, come se abbastanza corrotti non fossero; ovvero tutte le loro deboli forze rivolgeano a schernire ad abbattere una religione per la sua fievolezza e vecchiaia giá vinta; una religione, i di cui abusi non possono nuocere senza il principe che gli acconsenta e fomenti, e i di cui abusi nuocono sempre assai meno di lui.
Ma questi veri tribuni-scrittori tanto piú alto ufficio si assumerebbero, e ne verrebbero a conseguire una gloria tanto maggiore a quella degli antichi tribuni, quanto a ciò eleggendosi da se stessi, non ad un solo popolo intendono di giovare, ma ai popoli tutti; non ai loro soli coetanei, ma alle piú remote generazioni. E da questo aspetto delle lettere (nuovo affatto per noi, ma antico per esse e sacro, e solo veramente legittimo e delle lettere degno) nascerne di necessitá col tempo ne dovrebbe un nuovo aspetto di governi e di popoli.
L’opinione è la innegabile signora del mondo. L’opinione è sempre figlia in origine di una tal qual persuasione e non mai della forza. Ora chi negarmi ardirá che gli eccellenti scrittori non siano stati sempre assai piú fabri e padroni dell’opinione, a lungo andare, che i principi? Ragionano quelli, e sforzano questi; ma la veritá, allorché vien presentata sotto forme intelligibili da ogni classe di uomini, può penetrare in ogni uomo, e diventa ella quindi propria di tutti; all’incontro la forza del principe, che per via del timore penetra puranche nel cuore di tutti, e l’abborrimento e la rabbia vi genera, in chi sta ella risposta questa sí temuta forza, fuorché nel volere di tutti, o dei piú? Ora, io domando: come potrá esser mai che i tutti od i piú, conoscendo essi appieno la ragione ed il vero, vorranno pure far male, paura e danno a se stessi, per giovare ad un solo? Il qual uno, dalla stessa ragione vien loro rappresentato e dimostrato pel loro primo oppressore e nemico; ed impotente, e sprezzabile, e risibil nemico, ogniqualvolta i tutti, od i piú, con la loro ignoranza e cecitá non lo avvalorino essi soli. Tali per l’appunto venivano reputati i re da ogni piú infimo popolano di Roma nei tempi sublimi della repubblica: e di un cosí retto giudizio cagione sola ne era pur l’opinione, la quale, per via di libertá e dei tribuni, era stata infino nei piú infimi felicemente trasfusa. La ragione dunque e la veritá, per via di scrittori penetrando infino al piú infimo di noi, tosto verremo a riguardare i re tutti per quello appunto ch’ei sono. E in una moltitudine d’uomini, dal veramente conoscere i propri diritti al ripigliarseli e difenderli, egli è brevissimo il passo.
Ma tanta, a parer mio, può essere l’influenza degli eccellenti scrittori su la opinione, ch’io ardisco asserire che se Roma, oltre i salutari censori che tanto l’accrebbero e tanto ne prolungarono la virtú e la vita, avesse anche instituito con grandi onori un magistrato composto dei piú sublimi scrittori riconosciuti giá tali, e consecrati d’allora in poi unicamente allo scrivere; e se, mostrando cosí di farne grandissima stima, avesse Roma rivolto una parte dei sublimi naturali ingegni a ricercare la gloria scrivendo; cosí fatti magistrati scrittori, coi libri loro piú durevoli e convincenti che le tribunizie concioni nel fòro, avrebbero combattuto in tanti modi, e con sí forti armi il nascente lusso, la insaziabile aviditá d’impero, la venalitá dei magistrati, e tutti gli altri abusi in somma che a precipitosa rovina la traevano, che la vera repubblica sarebbe forse durata assai piú. E di grazia si rifletta che se a Cesare, giá oltre il Rubicone varcato, altro piú non si poteva opporre che armi civili o servile obbedienza; a Cesare giovinetto ancora, agli individui degli eserciti suoi, come altresí a Mario a Silla ed ai loro eserciti e, piú tempo addietro, alle violenti risse dei Gracchi; a tutte queste rovinose pesti si sarebbe forse potuta vittoriosamente opporre la forza della sana opinione, se maestrevolmente ella fosse stata conservata, rinnovellata e corroborata dai continui ed alti insegnamenti della ragione e del vero, che sotto infinite forme fatti penetrare dai molti eccellenti scrittori fin nel piú infimo cittadino di Roma, tutti nel dritto sentiero rattenuti piú a lungo gli avrebbero. E si noti per cosa certissima che la influenza degli scritti, allorché tendono a rinnovare o confermare una sana opinione, riesce molto superiore al poter delle leggi; appunto perché il libro cortesemente soggioga col solo convincere, e la legge duramente fa forza coll’assolutamente costringere. Io perciò mi riprometterei piuttosto di pervenire piú brevemente e efficacemente a innestare nel cuore di una moltitudine una qualunque veritá, porgendogliela replicatamente per via di diletto, in una teatrale rappresentazione da tutti intesa e gustata, che non per via di una diretta concione, e molto meno per via di una costringente, ancor che giusta e legittima, legge.
La ragione ed il vero sono quei tali conquistatori che, per vincere e conquistare durevolmente, nessun’altra arme debbono adoperare che le semplici parole. Perciò le religioni diverse e la cieca obbedienza si sono sempre insegnate coll’armi; ma la sana filosofia e i moderati governi coi libri.