De mulieribus claris/XLIII
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CAPITOLO XLIII.
Rea Ilia, madre di Romolo.
Rea Ilia, madre di Romolo e Remo, fu già splendida tra gli Toscani di spettabile fama, perchè ella ebbe suo principio per gli Silvj, re degli Albani, i quali1 erano discesi successivamente da Enea, duca glorioso de’ Trojani , e fu figliuola di Numitore, re degli Albani. Essendo ella giovinetta, avvenne, che Amulio, fratello più giovane di Numitore, istimolato dalla cupidità della signoria, dispregiata la ragione degli uomini, per forza cac ciò Numitore del regno. Contro al quale acciocchè egli non fusse crudele, s’interpose la fraterna pietà; e contentossi di confinarlo in villa a privato riposo. Ma contro a Lauso giovanetto, figliuolo di Numitore, acciocchè si togliesse chi lo cacciasse del regno, fu crudele con aspro animo; e morto quello, salvò Ilia sua sorella ancor fanciulla; ma acciocchè egli gli togliesse le speranze di marito e di figliuoli, fecela monaca tra le Vestali; e costrinsela a promettere perpetua virginità. La quale cresciuta in compiuta etade, istimolata da lussuria congiunsesi con alcuno maschio, benchè non si sappia per che modo; e questo si manifestò per la gravidezza, per la quale ella partori in un medesimo luogo Romolo e Remo edificatori della città di Roma: per il qual peccato, benchè fusse donna reale, secondo le leggi, e gli ordini della religione antica, e per comandamento del re i figliuoli furono esposti alle fiere ad esser divorati, ed essa sepolta viva2. E benchè lo suo corpo sia seppellito nella terra, la nobile opera de’ figliuoli3 levò alta la sua nominanza, e fece, che quella rimase a quegli che vennero, la quale lo tiranno si sforzò di nascondere con sacra legge. E guardando questa con la mente e vedendo le sacre vestimenta e le bende per alcuno spazio coprire i furti di Venere; non mi posso tenere, che io non derida della matterìa d’altrui. Sono alcuni i quali come avari, acciocchè ditraggano4 alle figliuole alcuna particella di dote, sotto pretesto di devozione, non so se io dico serrano o perdano ne’ chiostri delle monache le piccole fanciulle, e alcuna volta grandi, ma isforzate, dicendo: Se avrò sagrificate quelle vergini a Dio, le quali colli suoi prieghi disporranno meglio li fatti suoi, e morendo, guadagneranno la beata vita. Oh cosa da ridere! non sanno eglino, che una donna in ozio è della milizia di Venere; e quelle avere sommamente invidia alle pubbliche meretrici, e che elle riputano migliore luogo le celle di quelle che il loro chiostro. E guardando agli matrimonj delle donne secolari, e agli vani adornamenti, ai balli e ai dì di festa , e se non aver avuta niuna esperienza di matrimonio: chiamano sè vedove5 dal principio di questa vita, piangono la sua fortuna , bestemmiando e maledicendo l’anima di suo padre con tutta la sua mente lo suo velo6 e suoi chiostri: e per consolare i suoi cuori tristi ricorrono solamente ai pensieri, per che modo possano rompere la sua prigione e fuggire, o almeno metter drento i suoi amanti; cercando pigliare furtivamente lo diletto, lo quale l’è stato tolto palesemente, essendole sottratto lo matrimonio. E queste sono le contemplazioni, non dico di tutte, ma della maggior parte, e i prieghi a Dio, i quali passano al cielo perchè siano prosperi i fatti7 de’ loro padri, e sieno santi quegli che l’hanno imprigionate! Oh miseri padri, e parenti, quali quelli sieno! se egli pensano,
Note
- ↑ Cod. Cass. regnj. Test. Lat. reges.
- ↑ Betus. Test. Lat. quod ob crimen, quantumcumque regia fuerit fœmina, istituto veteri, regioque jussa expositi sunt filii, et ipsa viva infossa est.
- ↑ Cod. Cass. difignurarli. Test. Lat. natorum
- ↑ Cod. Cass. ditrarrannò. Test. Lat. subtrahant.
- ↑ Cod. Cass. sevedere. Test. Lat. viduas.
- ↑ Cod. Cass. la sua vita. Test. Lat. villas et claustra.
- ↑ Cod. Cass. prosperii effettii.