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capitolo lxvii. 295

la potenza d’Italia, avvenne che di quella sconfitta e gran mortalità la notte fuggendo per luoghi diserti, di molti dispersi e vaghi n’arrivò a Canosa, città dieci migliaja, la qual città allora servava fè alla parte de’ Romani: i quali tutti sendo deboli, e stanchi, bisognosi, disarmati, nudi e percossi di ferite, non impaurita del caso, nè della potenzia del vincitore, Busa gli ricevè nelle proprie case amichevolmente, e ritenuegli in albergo. Innanzi all’altre cose confortò quegli, dicendo, che eglino avessero buon animo; e trovato i medici fece curare i feriti1 con un’affezione di madre, quegli che erano nudi rivestì, e a tutti sovvenne con maravigliosa cortesia; a’ disarmati diede arme, e continuamente de’ suoi beni fece loro le spese. E fortificati quei miseri, volendosi partire, pigliando speranza, volontariamente diede da spendere a tutti, e in niuna bisogna di quegli fu scarsa. E certo egli fu maraviglioso a dire, e in femmina molto più laudabile, che se fusse avvenuto ad uomo. Gli antichi ebbero per usanza di magnificare per cortesia Alessandro di Ma-

  1. Cod. Cass. inimici. Test. Lat. vulneratos.